Orsi danzanti. Libertà vo cercando ch’è sì cara
Di Geraldine Meyer
Orsi danzanti, di Witold Szablowsi, uscì nell’edizione polacca nel 2014. Ed è particolarmente interessante che in Italia, grazie a Keller Editore, arrivi proprio in questo complicato 2022. Interessante e utile approdo in un anno in cui, per molti, troppi, quanto sta accadendo sembra sia qualcosa di improvviso e inaspettato. Ma la storia insegna, a volerla ascoltare, che di improvviso e inaspettato non c’è nulla. Ciò da cui nasce il presente ha radici ben solide negli anni trascorsi. Tutto si tiene, in un ininterrotto filo di cause e effetti che, spesso, giocano a scambiarsi di ruolo.
Orsi danzanti è un bellissimo reportage solo parzialmente “spiegato” dal sottotitolo Storie di nostalgici della vita sotto il comunismo. Certo c’è anche l’elemento nostalgia che, in parte, può aiutare a comprendere alcune incrostazioni e derive ideologiche mai risolte. Ma probabilmente la parola chiave, o la serratura per provare ad aprire alcune porte, è libertà. Un concetto tanto prezioso quanto fragile e ricco di sfumature, contrariamente a quanto si pensa, figurandosela come un’idea dai confini netti e chiari. E per capire quanto non sia così, l’autore parte proprio con la storia degli orsi danzanti. Una tradizione secolare che ha visto i rom della Bulgaria addestrare gli orsi per portarli tra strade e villaggi, esibendoli in qualcosa che non può non suscitare dolore. Ma. C’è sempre un ma. Che non giustifica ma spiega e racconta. In questo caso racconta di come questi orsi vivevano letteralmente in simbiosi con i loro proprietari e le loro famiglie. In una condivisione di spazi, giorni, cibo, legami. Legami probabilmente perversi e malati. Perché si sta parlando, pur sempre, di animali ridotti in schiavitù, a cui venivano levati i denti per non essere pericolosi, e a cui veniva letteralmente infilato un anello al naso, doloroso e indispensabile orpello per ubbidire agli ordini. Quando cadde il comunismo i proprietari degli orsi furono costretti a liberarli affinché venissero portati in un’oasi protetta, creata da una fondazione austriaca sull’onda delle proteste indignate di tutto il mondo venuto a conoscenza di questa usanza. Tutto bene dunque? Non proprio. Perché gli orsi non erano più abituati alla libertà, con tutti i suoi rischi e con la necessaria dose di autonomia. E molti dei loro proprietari caddero in depressione o nella più cupa disperazione dopo essere stati costretti a liberarsi dei loro orsi. Sono, quelle dedicate a questa storia, pagine dure ma anche commoventi, dolorose, capaci di mettere in luce molte contraddizioni e ipocrisie della libertà stessa.
Inutile forse dire che questa storia di apertura funziona sicuramente da metafora di quanto accaduto a molti, dopo anni di regime comunista. Che a tutto provvedeva, nulla faceva mancare tranne, appunto, la libertà. E cosa ha comportato, per le popolazioni dell’Europa dell’est, la fine di quel regime dai mille occhi e orecchie che però garantiva casa, lavoro, cure, istruzione? È sempre salvifica una libertà improvvisa, a cui non si è né abituati né preparati?
Partendo da qui Szablowsi ci fa viaggiare poi a Cuba, in Ucraina, Albania, Kossovo, Serbia, Georgia, fino alla Londra di una donna polacca che vive in una stazione della metropolitana. E ci fa viaggiare in quella parte di Europa (Europa?) tramortita, disorientata dalla fine di quel regime che non aveva certo eliminato tensioni ma solo in parte assopite. Pronte ad esplodere una volta sparito l’addestratore di orsi. Per continuare a esplodere anche quando, da questa parte del “muro” non sappiamo o fingiamo di non sapere.
Un libro davvero prezioso, un reportage in cui la cronaca e le testimonianze si mescolano a un elemento letterario, quasi elegiaco. Seppure, a tratti, un’elegia a gambe all’aria.
Razione K
Reportage
Keller Editore
2022
282 p.,