Il Romanticismo musicale
Di Adriana Sabato
Tra la fine del Cinquecento e il principio del Seicento, con l’avvento dello stile monodico e la parallela istituzione del basso continuo, il flusso dell’energia musicale s’era polarizzato fra le due estremità dell’edificio sonoro, la melodia e il basso, con una rigorosa divisione delle sonorità: da una parte la melodia che descriveva gli “affetti” e dall’altra il sostegno e l’accompagnamento per il canto.
Il basso continuo, occorre precisare, è una tecnica di scrittura sviluppata nel periodo barocco per indicare l’accompagnamento a voci e strumenti che possiede un sistema grafico piuttosto semplice: esemplificando, questa pratica non è molto lontana da quel che si fa quando si accompagna leggendo le sigle degli accordi, come fanno i jazzisti e più in generale nella musica cosiddetta “leggera”.
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“Questa mutazione stilistica, scrive Renato Di Benedetto, segnò l’inizio d’un processo d’impoverimento, di prosciugamento, cristallizzazione dell’armonia in formule; processo che trova il suo assestamento più equilibrato e funzionale nell’opera razionalistico-sentimentale degli anni 1720-50, l’opera metastasiana”.
Nelle arie, la povertà dell’accompagnamento, la schematica semplicità dell’armonia, caratterizzata da formule come quelle che oggi si adoperano, sono lo sfondo neutro sul quale si snoda e si staglia, in assoluta evidenza, la linea della melodia.
Questa premessa è indispensabile per riflettere sulla questione del Romanticismo musicale in quanto l’armonia, come fulcro del processo compositivo, è il terreno privilegiato della ricerca “progressiva” del musicista romantico.
È fondamentale anche considerare che lo studio dell’armonia si dipana essenzialmente da un’analisi approfondita della musica vocale antica. Molte delle regole fondamentali dell’armonia cosiddetta classica derivano infatti dalla possibilità esecutiva vocale di un determinato passaggio o intervallo.
Il riferimento alla musica vocale appare quanto mai obbligatorio.
Appare necessario ora comprendere quali siano i concetti dell’armonia occidentale che affondano le radici nel passato ma, ancora oggi, sono alla base di molte composizioni e non solo nel mondo occidentale.
Gran parte della musica occidentale compresa tra il Seicento e l’Ottocento era tonale: ciò significa che attorno a una nota centrale, la tonica, sembrano tendere tutte le altre note. Nella musica tonale l’effetto della tonica è creato in larga misura dall’interazione reciproca dei vari accordi, in un linguaggio armonico denominato “armonia funzionale”.
Nella seconda metà del Seicento l’armonia funzionale era ormai diventata il linguaggio consolidato della musica: divenne il linguaggio in cui scrissero la loro musica compositori come Bach, Beethoven, Händel, Haydn e Mozart.
Ma nell’Ottocento questa pratica era ormai talmente consolidata da venire considerata fin troppo ovvia dai compositori.
Sempre all’interno dell’armonia funzionale, compositori come Fryderyk Chopin, Robert Schumann, Johannes Brahms e Richard Wagner tentarono nuove vie. Le loro tecniche comprendevano inedite connessioni di accordi, l’aggiunta di suoni estranei alla tonalità per buona parte della durata di un accordo, l’impiego di accordi dissonanti più che di triadi, l’uso sempre più frequente di note cromatiche e il rapido passaggio da una tonalità all’altra senza precisare nessuna di quelle attraversate. Obiettivo primario dei compositori divenne infatti quello di raggiungere effetti armonici inediti.
In seguito a queste tendenze, all’inizio del XX secolo l’armonia funzionale aveva esaurito la sua spinta propulsiva.
La melodia accompagnata rappresentava proprio la concezione della quale i musicisti romantici sanzionavano la fine: una fine, però, già consumata per mano di quei musicisti (del classicismo viennese) che E.T.A. Hoffmann – colui il quale, per gli scrittori francesi dell’Ottocento (Charles Baudelaire, Honoré de Balzac, Charles Nodier) ha incarnato il vero spirito romantico tedesco – e compagni chiamavano romantici.
Nell’ambito delle nuove vie esplorate dai compositori romantici c’è poi l’esplorazione spregiudicata e audace della dissonanza. Inoltre è bene precisarlo, il problema della forma nella musica romantica è particolarmente delicato e richiede d’essere affrontato con la necessaria cautela. Il romanticismo è presentato come il movimento che si scioglie dai vincoli delle regole classicistiche e accademiche e dà libero corso, senza condizionamento alcuno, all’espressione della personalità dell’autore. Nel nostro caso specifico, il musicista romantico sarebbe colui che rifiuta gli schemi della forma classica, e s’inventa di volta in volta la forma adeguata al percorso della propria intuizione poetica. Ma la forma-sonata, il riferimento è soprattutto ad essa, che i romantici ereditano dalle mani dei classici è tutt’altro che uno schema fisso, rigidamente vincolante, immutabilmente predisposto: fatto salvo il principio della gerarchia delle aree tonali il campo resta apertissimo all’invenzione del compositore, ch’è egli stesso a fissare gli estremi degli archi armonici e a graduarne la tensione. Ciò vale sia per i classici come per i romantici.
Sembrerebbe un paradosso, ma è proprio nell’Ottocento che la forma-sonata tende progressivamente a formalizzarsi e divenire istituzione fissa; è nell’Ottocento che entra nei manuali di composizione come schema rigido, dal percorso obbligato. Uno schema dal quale i romantici traggono linfa vitale per superarne l’ovvietà.
Ecco infine due esempi di come la forma – sonata classica si sia sviluppata nel corso del tempo, grazie alla genialità compositiva di W.A.Mozart e L.Van Beethoven:
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Buon ascolto.
L’immagine di copertina è presa da laboratoriomusica.wordpress.com