A teatro
Di Nicola Vacca
Questo racconto fa parte di un nuovo progetto letterario, dal titolo Hotel Angoscia, a cui Nicola Vacca sta lavorando (NdR)
Quella sera dovevo andare a teatro. C’era una prima che non volevo perdermi. Non conoscevo la compagnia che andava in scena ma mi incuriosiva il titolo del testo che avrebbero rappresentato.
Cannibali e altre assurdità, una pièce scritta da un autore anonimo vicino a Ionesco.
Una storia di non sense, surreale e assurda, affascinante e incomprensibile.
Adoravo le storie illogiche proprio perché mi consentivano di perdermi nell’ignoto, nell’inspiegabile.
Ambrose Bierce nel Dizionario del diavolo scrive che l’assurdità è una fede nella quale non si ha avuto la disgrazia d’essere istruiti.
Nella vita come nella letteratura ero affascinato dalle situazioni limite oltre le quali mi sarebbe piaciuto spingermi per sentirmi sveglio.
Facendo un rapido bilancio della mia esistenza, mi rendevo conto che non avevo mai fatto i conti con l’imponderabile, almeno fino a quella sera in cui dovevo recarmi a teatro.
Mi stavo preparando per uscire. Avevo appena scelto la camicia da indossare quando il televisore si accende da solo in soggiorno.
In un primo momento penso a un falso contatto. Vado a spegnerlo e continuo a prepararmi per andare a teatro.
Accade di nuovo. Il televisore si accende nuovamente. Comincio a tremare. Penso di essere precipitato in un buco nero, oppure sto immaginando tutto. Ma che cos’è l’assurdo se non una forma spiccata d’immaginazione? Questi pensieri consolatori non mi aiutavano. L’assurdo era reale e stava accadendo a casa mia.
Perché quel televisore si accendeva da solo? Non dovevo lasciarmi suggestionare ma le cose precipitarono.
Le imposte delle finestre della cucina cominciarono a sbattere violentemente e fuori non c’era nemmeno un alito di vento.
Incomincio a spaventarmi e corro in cucina per fermare le imposte impazzite. Non riesco a aprire la finestra. Allora capisco di essere prigioniero di un mondo kafkiano. Devo assolutamente fuggire non è possibile vivere in una casa dove i televisori si accendo da soli e le imposte delle finestre urlano.
Cerco di guadagnare l’uscita. Mi dirigo verso la porta ma sono attratto da una forza di gravità che mi sbatte verso il muro.
Ma cosa sta succedendo? Io devo andare a teatro e mi trovo in questa situazione inspiegabile. Davvero assurdo, tutto quello che sta accadendo, eppure io ci sono finito dentro.
Riesco a arrivare alla porta. Voglio fuggire, non posso restare ancora un istante nella casa dell’assurdo.
Cerco di aprire ma dall’altra parte è come se ci fosse qualcuno che mi impedisce di fuggire.
I miei sforzi sono vani. Vorrei proprio vedere la faccia di chi mi impedisce di uscire. A un certo punto riesco a spalancare la porta e esco velocemente dal mio appartamento. Faccio solo un passo e mi accorgo che sotto di me c’è il vuoto.
Precipito. Mi rendo conto che l’assurdo mi sta sbranando. Quella sera non raggiunsi il teatro, ma il teatro dell’assurdo venne a casa mia.
In copertina L’enigma dell’ora, olio su tela, di Giorgio De Chirico