Il complesso dell’origine. Per una via dall’uscita
Vladimir D’Amora
Ci si trattenga sul complesso e sulla complexio, un’intimità di afferrare e essere afferrato: di passività e di attività: di soggettivazione e desoggettivazione: di origine come gnommero (ab-grund…?) originario: originale… Ci tenga una origine sia inizio, cominciamento: posizione d’essere: novum; sia forza che l’avvio esercita su ciò che e su chi è disposto: origine è comando! Se origine è comando e inizio, l’origine è una complessione: un abbraccio di controparola: un controbalzo in stallo: un contraccolpo in cui e per cui: inizio e comando: spontaneità e calcolo, libertà e costrizione: sono insieme identici e differenti: sono prima dell’inizio stesso, prima del comando stesso: tanto separati – come se nell’origine fosse una vita(lità): seppure una vita da nulla e per nulla… -, che non possono che, nello stesso tempo e reciprocamente, fermare e denegare la loro differenza! Ma l’origine, che in sé è separata: scena di un taglio già…, e che è contraccolpo: certamente è più originaria, allora, dell’originario: come se l’origine, pura, fosse sì macchiata violentata, ma non da altro che dalla sua stessa… purezza!; pure il contraccolpo in posizione di origine, la controparola (tra gli altri: celaniana…) in stallo di novum in-fante a-fasico: di ferita, di ‘precarietà’ come avvio disponente e disposizione avviante: come origine: comando sì, sebbene, anzi, proprio perché debole… – tale controbalzo complessivo è ciò che lascia – proprio evacuandoci ogni presupposizione di origine: ogni alveo con-testuale della parola… -, un resto non interrogato… Il complesso, allora? A pagina 14 de La notte, Manganelli scrive: Dunque, io avevo scritto nulla; ma per “io” intendevo quello dotato di nome, ma privo di pseudonimo. Aveva scritto lo pseudonimo? Probabile, ma lo pseudonimo pseudoscrive, ed è, tecnicamente, illeggibile dall’io, ma al più dall’io pseudonimo quadratico, il quale, è ovvio, non esiste; ma se il lettore è inesistente, io so che che cosa può leggere; quello che può scrivere lo pseudonimo di grado zero, qualcosa che non si può leggere da nessuno che non sia lo pseudonimo quadratico, l’inesistente. Infatti, quello che viene scritto è nulla. Il libro non significa nulla, e in ogni caso io non posso leggerlo se non rinunciando ad esistere. Forse è tutta una burla: come sarà chiaro, io sono ormai morto da molti anni, come l’amico che ho incontrato, e il libro che sfoglio è sempre incomprensibile, lo leggo, lo rileggo, lo perdo. Forse bisogna morire più volte. E prima: Io avevo acquistato e parzialmente letto un libro che un calunniatore onesto, uno storicista, un anagrafologo avrebbe definito “mio”. Ma se l’avessi scritto io, se fosse esistito un “io” capace di scrivere un libro, quel libro, che cosa avrebbe potuto spiegare l’assoluta, fastidiosa estraneità che mi divideva da quella cosa scritta? La letteratura è finzione… La finzione è costruzione di come-se: mette in dubbio, cioè, la realtà del suo oggetto… La letteratura, quindi, non è un drastico: come-non: cioè: la letteratura non sa l’ostinazione che la tenga tra realtà e finzione, tra linguaggio e mondo, tra vita e forma: in tale controbalzo la letteratura si insedia come in un altro – nichlistico però – inizio fondamento comando: fa, della precarietà, una situazione di una domanda costituente: del precario un soggetto: padrone del suo stesso assoggettamento! Un Manganelli, e il suo lettore depositivo, ossia non altro che né politicamente manipolato né letterariamente ermeneuticamente collaborativo: (un) Manganelli, che, proprio non parodiando la finzione, finge non altro, che una parodia: fa segno a una anarchia di origine… Laddove e quando all’autorità non si sostituisca la ragione (perché l’anarchia dei poeti e dei pensanti e degli studianti, altrimenti, fa il paio: è collusa proprio con quella del potere…!!), ecco che lettore e scrittore: ossia una relazione: si oltrepassano in un abbraccio, in un complesso: senza alcun punto di tangenza… In un complesso di un edipo che tale sia solo – chiamato.