“Pedra roddulana non ponet mai lana”
di Laura Vargiu
“Pietra che rotola non mette mai muschio”, recita un vecchio detto del Nuorese. La gente di Oliena, piccolo centro della zona, lo ripeteva sovente riferendosi a quelle persone che, irrequiete e desiderose di conoscere il mondo, tradivano una certa insofferenza nei confronti del paese natìo. Ma anche tra le strade “strette e storte” di Nuoro, paese soltanto un poco più grande rispetto agli altri, le sentenze popolari non mutavano tono.
Scomparso a Cagliari nel 2006 quasi centenario, Mario Ciusa Romagna, nuorese, tra i maggiori intellettuali sardi del secolo scorso e autore di questa splendida raccolta di memorie, impara fin da bambino a fare i conti con tale “mentalità stravecchia, quella che lega uomini e bestie ad uno stesso posto”, la quale sembra impregnare persino i muri delle abitazioni addossate le une alle altre nella cui umidità, non a caso, spuntano muschi e licheni.
È attraverso la figura di Emanuele, chiamato anche ziu Romagneddu, lo zio materno che parlava continuamente ma dai “discorsi ermetici, pieni di mistero”, che meglio si comprende il significato del titolo assegnato al libro:
«[…] era di fatto un insofferente perché aveva capito che Oliena non poteva essere il centro del mondo, come gli abitanti lo vivevano, perché mancava di relazioni. “Il fatto è fatto”, diceva, “quando avvengono e si conoscono altri fatti, molti altri fatti. Senza relazione non esiste niente. E gli uomini sono quello che sono perché esistono altri uomini, molti altri uomini che agiscono”. Oliena lo chiudeva. Non amava il paese, per questo. Andava, evadeva quando possibile. Cercava altri uomini e altri fatti per confrontarsi, per rispecchiarsi, per essere se stesso. [… ] rispondeva: “È vero che la pietra che rotola non mette mai muschio, ma è anche vero che il muschio la fissa a terra, la nasconde e quindi alla fin fine la annienta. A Oliena tutti sono pietre cariche di muschio da secoli. Anzi da sempre. Qui gli uomini nascono col muschio.” […] Spesso batteva forte le scarpe come per liberarsi dalla terra, per non mettere radici. Gli davano fastidio.»
Ed è proprio lo stesso zio a fare ricorso a un altro detto, anch’esso paradossalmente ben radicato tra la gente: “Poledda ‘e mola non fachet caminu”, cioè l’asino che gira la mola pare percorra chissà quanta strada, ma in verità resta sempre fermo nello stesso posto.
La pietra e il muschio, dunque, come elementi in antitesi fra loro per esprimere la concezione dell’esistenza, del tempo che scorre e si fa allora storia; per simboleggiare rispettivamente ali e radici, che forse convivono in ogni essere umano, dinamismo e immobilismo, fare e non fare, agire e affidarsi pigramente alla provvidenza nella vana speranza che tutto non cambi. Ma niente rimane identico a se stesso: nemmeno la Nuoro di un tempo che con il suo borgo antico, come infine testimonia lo scrittore, non esiste più e “per ritrovarla bisogna andare ai romanzi nuoresi della Deledda”, così come al celebre Il giorno del giudizio di Salvatore Satta che offre un grande e affascinante affresco della città tra la fine dell’Ottocento e del primo Novecento.
Racconti, questi di Ciusa Romagna, carichi di Storia e storie, di ricordi, familiari e non solo, intrisi di pacata malinconia perché, in fin dei conti, se è pur vero che spesso dobbiamo spiegare le nostre ali, difficilmente possiamo dimenticare le nostre radici e a queste, prima o dopo, in un modo o nell’altro, finiamo per fare ritorno.
Un libro dal profondo valore letterario, curato dal giornalista Aldo Brigaglia e impreziosito in copertina e nelle pagine interne da alcuni disegni di Giovanni Ciusa Romagna (1907-1958), fratello dell’autore, uno dei maestri più rappresentativi dell’arte sarda la cui fama, al pari di quella dello zio paterno, lo scultore Francesco Ciusa (1883-1949), ha ben superato i confini dell’Isola.
Mario Ciusa Romagna collaborava a quotidiani e periodici nazionali e locali; durante gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale prese a lavorare per Radio Sardegna, occupandosi già a partire dal dopoguerra di diversi programmi culturali. Negli anni Cinquanta, fu tra gli ideatori e fondatori del Premio letterario intitolato a Grazia Deledda e della Biennale d’arte “Premio Sardegna” di Nuoro. Fu il curatore per Mondadori, nella collana “Lo Specchio”, dei Canti del poeta nuorese Sebastiano Satta. Con la stessa agenzia cagliaritana che nel 2005 pubblicò La pietra e il muschio, l’anno prima era uscito il volume Cronache d’arte. Movimenti, tendenze, protagonisti del Novecento in Sardegna, curato anch’esso da Brigaglia.
Memorie
Tema
2005
200 p., brossura