Il buio che qualcuno non ha visto arrivare
Di Geraldine Meyer
Scrive Wittstock nella postfazione: “Per distruggere la democrazia, agli antidemocratici è bastato poco più di un mese. Chi fosse partito alla fine di gennaio lasciando uno Stato di diritto, si sarebbe ritrovato al ritorno, quattro settimane dopo, in una dittatura.”
Sì, può essere un lavoro rapido quello che uccide la democrazia, anche se le picconate per minarne le fondamenta hanno iniziato da un po’ il loro percorso.
Di questo ci parla il bel libro di Uwe Wittstock, Febbraio 1933. L’inverno della letteratura, in libreria con Marsilio nella traduzione di Isabella Amico di Meane e Giovanna Targia. Un mese, solo un mese da quando Hitler diviene cancelliere a quando i diritti civili vengono completamente spazzati via. Un mese che, forse in modo non chiaro per molti, è preludio non a un piccolo temporale ma a una vera e sanguinaria tempesta che travolgerà l’intera Europa. Wittstock racconta tutto ciò mettendosi sulle tracce di trentatré uomini e donne della cultura e dell’arte che dalla vitalità e liberalità della repubblica di Weimar si troveranno inghiottiti dal buio del regime nazista. Un libro costruito quasi in “presa diretta”, come se l’autore fosse lì con loro, in una contemporaneità che rende tutto ancora più teso e drammatico.
Molti i nomi evocati e raccontati nella loro postura intellettuale e nel loro percepire o meno il pericolo incombente, in quei giorni e nel futuro. Alcuni ben saldi sui loro valori, altri in bilico su una ambiguità forse più dettata dall’illusione e altri, almeno all’inizio, convinti dalla loro visione estetizzante della vita e dell’arte che Hitler, in fondo, non fosse un tremendo e pericoloso criminale. Tra Thomas Mann a Brecht, tra Doblin e Remarque e molti altri, Wittstock ci conduce su una strada lungo la quale, al netto di varie sfumature, i “cartelli indicatori” sembrano portare a una sottovalutazione del pericolo.
Editori, scrittori, attori, galleristi, direttori di teatro: un caleidoscopio di sentimenti, idee, pulsioni, aspirazioni che accompagnano azioni, paure, consapevolezze, fughe e, purtroppo, fatali ritardi nel capire cosa volesse dire restare in Germania continuando a pensarsi uomini e donne liberi.
Cosa ha rappresentato e come si è rapportata la cultura rispetto al buio più buio che si stava delineando? Tra chi scappa in Svizzera, chi cerca di costruire in Francia una comunità di espatriati, chi in mezzo alla bufera nascente dell’antisemitismo si ostina a portare in scena spettacoli che parlano della conciliazione tra religioni. È forse questo l’aspetto più interessante, e drammatico, del libro. Vedere e leggere come per molti di questi uomini e donne l’essere immersi nella cultura e nella politica non abbia costituito o forte anticorpo o, almeno, sensibile antenna per capire che Hitler non sarebbe stato un fenomeno passeggero.
E allora veniamo portati dall’autore nel mezzo degli eventi, narrati quasi giorno per giorno, con le uniformi delle SA e delle SS che battono il ritmo della storia, tra violenze, manifestazioni soffocate nel sangue, arroganza, cieco razzismo e delirante richiamo a una grandezza mitica che schiacciando la ragione vuole far prevalere una superiorità raziale scritta nel cielo.
Un inverno della cultura che è specchio e cartina di tornasole dell’inverno di una intera civiltà.
Gli Specchi
Storia
Marsilio
2023
303 p., brossura