Quanto pesa la libertà
Di Geraldine Meyer
Maria è stata tanti anni in carcere. Non sappiamo perché e forse non è neanche importante. Sappiamo che il portone che, tempo addietro, si è chiuso alle sue spalle per “eliminarla” dal mondo libero, si chiude alle sue spalle, di nuovo, per scaraventarla nella libertà. Ma quale? È possibile, per lei, uscire davvero dal carcere, da un recinto stretto? O si troverà in un altro spazio, sicuramente più vasto, ma ancora recinto?
Questo ci racconta Alberto Schiavone nel suo Non esisto, in libreria con le Edizioni Clichy. Una donna che spera, pensa, sogna una storia diversa, un’altra storia. Ma che, da subito, uscendo si troverà a constatare come nessuno sia lì ad attenderla. Qual è l’altra storia che l’aspetta e, soprattutto, che valore assume la storia vissuta in carcere? Non si tratta di due storie contrapposte quanto, semmai, una storia senza soluzione di continuità. In bilico tra giusto e sbagliato. In un tempo/spazio in cui per lei tutto è difficile. Lavorare, avere una casa, amare. Declinazioni di una vita in cui la lettera scarlatta non si cancellerà. E non perché lei non ci provi. Ma lei ci proverà proprio portando sulla sua pelle ciò che è stato senza per forza dover provare vergogna o senso di colpa. Sa di avere sbagliato ma vuole andare avanti.
Un romanzo non sul carcere, sia ben chiaro, ma su ciò che resta di una donna che lo ha vissuto, ciò che resta di lei in lei e negli altri. Un testo scritto con una scrittura densa, frasi brevi in cui si dice, se non tutto, certo molto. Quasi in un flusso di coscienza, di pensieri fulminei, ricordi, immagini, dialoghi sincopati.
Cosa sono e che opportunità hanno le vite sghembe, quelle che una società che si pensa al centro considera marginali, sbagliate? In fondo i suoi incontri sono incontri tra solitudini, fatica, esistenze slabbrate. Anche senza sbarre a separare dalle strade, dai bar, dalla libertà. Maria è una donna forte e fragile allo stesso tempo, che ancora, in fondo, crede nella bellezza pur vedendola scivolare via ad ogni passo. Eppure non recrimina. Ricorda, aspetta senza attesa, forse anche senza speranza. Il suo stare al mondo è lo stare al mondo di chi si vede sempre accanto alle cose, mai in mezzo a loro. È il modo di stare al mondo di chi, appunto, non esiste. Perché la vera difficoltà, una delle declinazioni del carcere, anche fuori, è il non esistere negli sguardi dell’altro.
Forse per questo in alcuni punti del libro sembra (sembra) che Maria sia accarezzata da momenti di nostalgia per il dentro, quando le cose avevano una loro logica, quando il non esistere diventava esistere dentro un carcere. Ma fuori? Fuori cosa vuol dire esistere? Portarsi addosso alcuni ricordi di quando era bambina, di quando il piano inclinato degli eventi poteva ancora prendere un’altra direzione. O era già scritto che la sua vita fosse un destino?
Bisogna fare attenzione a parlare di libertà. Questo sembra dirci questo libro, invitandoci a usare le parole con la stessa cura con cui un contadino ara il suo terreno. Perché la libertà può avere un peso paralizzante se non è condivisa e condivisibile.
Romanzo
Edizioni Clichy
2023
170 p., brossura