Graziella Enna, nata nel 1969 a Oristano, laureata in lettere classiche presso l’Universita degli studi di Cagliari, insegnante di lettere.

I  poeti classici nella Divina Commedia: il preumanesimo di Dante

Di Graziella Enna

Ai lettori della Divina Commedia non sfugge di certo la profusione di riferimenti al  mondo classico nelle frequenti citazioni di Virgilio, Ovidio, Lucano disseminate nel poema, tuttavia Dante incontra questi e altri poeti nel corso della sua ascesa verso il regno celeste. Nel quarto canto dell’Inferno Dante visita il Limbo, un luogo di “duol sanza martìri”. Virgilio impallidisce quando vi entra perché rivive la sua angoscia personale e l’afflizione di chi vi abita, che fa tremare l’aria di sospiri. Gli spiriti del Limbo nella loro esistenza hanno scelto di operare il bene ma non hanno potuto conciliarlo con il messaggio cristiano, perciò non possono essere assimilati ai dannati ma neppure ambire alla felicità eterna. Il criterio adottato per la loro collocazione nel Limbo riguarda il fatto che i contenuti dei loro testi si potessero interpretare in chiave cristiana, procedimento tipico adottato nel Medioevo, come è ben noto. Oltre a Virgilio, che dal Limbo è uscito per soccorrere Dante nel suo cammino, Dante incontra altri quattro illustri poeti. Il luogo deputato ad accoglierli si differenzia per la presenza della luce e il connotati di un locus amoenus che richiamano i Campi Elisi Dell’oltretomba virgiliano. Il gruppetto di quattro ombre è distinto dalle altre per i meriti che hanno acquistato nella loro vita: (Inferno, IV, 79-90)

Intanto voce fu per me udita:
“Onorate l’altissimo poeta;
l’ombra sua torna, ch’era dipartita”
.81

Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand’ombre a noi venire:
sembianz’avevan né trista né lieta.84


Lo buon maestro cominciò a dire:
“Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:87


quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.

Dante sente una voce, probabilmente emessa dalle quattro anime, che invita a onorare Virgilio che si era allontanato da loro. Poi vede avanzare  le quattro nobili anime che non avevano un aspetto né triste né lieto. Una di esse avanza per prima e tiene in mano una spada: è Omero, gli altri tre sono Orazio, Ovidio e Lucano. Omero è rappresentato con una spada perché è autore di opere epiche, e, sebbene Dante non conoscesse il greco si associa all’ammirazione che gli autori latini avevano espresso per lui. I poeti accolgono Dante nella loro schiera, (“la bella scola” del v.94), e affrontano argomenti che non vengono riferiti, riguardanti la celebrazione della poesia non solo nel passato ma anche nel presente, rappresentato appunto dall’affettuosa accoglienza riservata al nostro. La bella scola sarebbe anche rappresentativa degli stili della poetica medievale: Omero, Virgilio e Lucano quello  epico-tragico, Orazio quello satirico e Ovidio quello elegiaco. Dante si inserisce tra di loro ma non è chiaro se il suo sia un atto di superbia o di umiltà. Le interpretazioni più accreditate provengono, in primo luogo, dal figlio di Dante, Pietro che vede solo l’umiltà nel porsi come sesto e, in seconda istanza da due dati oggettivi: la volontà del poeta di ricollegarsi alla tradizione poetica del passato e la consapevolezza della propria grandezza.  I poeti, in quest’episodio così particolare rispetto ai topoi rappresentativi dell’Inferno, sono collocati in un castello il cui ingresso è interdetto alle altre anime del Limbo, quasi a voler rappresentare la nobiltà dell’ingegno poetico e dell’eterno valore della poesia, simboleggiate nell’episodio dagli antichi poeti e da uno nuovo, Dante, che, come detto, crea un elemento di continuità tra due civiltà distanti nel tempo. Dopo aver incontrato filosofi, tra cui Aristotele, Cicerone, Seneca e innumerevoli scienziati, si imbatte anche in Orfeo e Lino, considerati i primissimi poeti teologi. Dante, nelle tenebre dell’Inferno ha dunque collocato una plaga luminosa per onorare i magnanimi del mondo classico pagano, (in greco chiamati megalopsychòi), che hanno esercitato al massimo grado le  virtù di prudenza, fortezza, temperanza e giustizia e si sono distinti per la loro statura morale e intellettuale. La luce ha il significato simbolico evidente di quella dell’intelletto che sconfigge le tenebre dell’ignoranza. Nonostante il castello degli spiriti magni sia descritto con un complicato uso di simbolismi tipicamente medievali, si è parlato di un Dante preumanista, che gli consente di celebrare le virtù terrene degli uomini e uscire dai canoni morali del suo tempo tipici della concezione teocentrica della realtà.

Oltre alla guida di Virgilio, un altro famoso poeta classico  accompagna Dante nella sua ascesa nei canti dal XXI al XXX del Purgatorio: è Stazio che incontra nella V cornice tra gli avari e i prodighi, della cui vita Dante fornisce una rilettura tutta sua, estremamente originale. Nel canto XXI mentre Dante e Virgilio procedono dopo un misterioso terremoto e un grido all’unisono delle anime che cantano “Gloria in excelsis deo”, appare dietro a loro un’anima che li saluta, augura loro pace e si meraviglia del fatto che due anime non destinate al Paradiso siano giunte fin lassù. Virgilio chiarisce la loro situazione e chiede all’anima la spiegazione del terremoto, causato dall’avvenuta liberazione di un’anima che ha compiuto la sua purificazione. La causa è dunque proprio lui che ha ultimato questo processo. A questo punto l’anima inizia la sua presentazione, vv. 82-102

“Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto
del sommo rege, vendicò le fóra
ond’uscì ’l sangue per Giuda venduto,84


col nome che più dura e più onora
era io di là”, rispuose quello spirto,
“famoso assai, ma non con fede ancora.87


Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto.90


Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma.93


Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati più di mille;96


de l’Eneïda dico, la qual mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz’essa non fermai peso di dramma.99

E per esser vivuto di là quando
visse Virgilio, assentirei un sole
più che non deggio al mio uscir di bando”.

Stazio visse ai tempi della conquista di Gerusalemme da parte di Tito ed era molto conosciuto con la fama di poeta che dura più a lungo e dà maggiore onore, ma era ancora privo di fede. Per la soavità della sua poesia dalla natia Tolosa  fu voluto a Roma dove ricevette la corona di poeta intrecciata col mirto. Scrisse la Tebaide e non portò a termine l’Achilleide. La scintilla che scatenò in lui la fiamma divina della poesia fu l’Eneide grazie alla quale scrisse opere degne di qualche valore. Pur di vivere nell’epoca di Virgilio avrebbe accettato di stare più a lungo nel Purgatorio.

Sentendo queste parole Virgilio intima a Dante di tacere ma non può astenersi da un accenno di sorriso che suscita la curiosità di Stazio che gliene domanda la ragione. Visto l’imbarazzo di Dante, Virgilio lo esorta a rispondere tranquillamente alla domanda: vv 124-129

Questi che guida in alto li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forte a cantar de li uomini e d’i dèi.126


Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti”.

La sua guida, gli dice Dante, è proprio quel Virgilio dal quale lui ha tratto l’ispirazione per cantare le gesta di uomini e dei che il motivo del suo sorriso è dato dalle parole che Stazio ha pronunciato in sua lode. Stazio sta per inchinarsi per abbracciare i piedi di Virgilio ma, dopo che lui gli ricorda che sono delle anime inconsistenti, ribadisce che per la grande venerazione che prova per lui, si comporta come se ancora avessero un corpo.

In quest’episodio emergono, venerazione, riconoscenza e  commozione nei confronti di Virgilio, come succede nel primo canto in cui Dante esprime gli stessi sentimenti per l’antico poeta al suo apparire, ma ha un significato  ancora più importante nella cantica. Uno dei motivi essenziali del Purgatorio è infatti l’esaltazione della poesia come attività di elevazione spirituale e sapienziale che, in questo caso, permette a Stazio, di sceglierne le virtù morali come condotta di vita, come spiegherà nel canto XXII.

Inizia un colloquio in cui Virgilio pone una domanda:  (vv.19-24)

Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà m’allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:21


come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?

Si scusa per l’eccessiva confidenza, gli parla come un amico chiedendogli come abbia potuto allignare in lui il peccato dell’avarizia nonostante la saggezza che si è sforzato di acquistare.

 Stazio risponde dicendo che è stato lontano dall’avarizia ma che ha espiato per millenni l’eccesso opposto che lo ha condotto alla prodigalità. Ma c’è stata una svolta nella sua vita che esprime in questi versi: (37-45)

E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
quand’io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l’umana natura:39


Per che non reggi tu, o sacra fame
de l’oro, l’appetito de’ mortali?’,
voltando sentirei le giostre grame.42


Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
potean le mani a spendere, e pente’ mi
così di quel come de li altri mali.

Se non avesse corretto il suo proposito, grazie al passo (dell’Eneide), in cui Virgilio sdegnato contro l’umanità, deplora la brama di ricchezza degli uomini che li spinge a compiere malvagità, ora probabilmente si troverebbe nel quarto cerchio dell’Inferno a sentire i miserevoli scontri tra le due schiere degli avari e dei prodighi. Avvedutosi della sua eccessiva prodigalità si pentì di questa e di tutte le altre colpe.

Virgilio però ha un altro dubbio, come mai, quando Stazio scrisse la Tebaide fosse stato ispirato dalla musa Clio e non avesse manifestato in alcun modo di aver abbracciato la fede cristiana senza la quale si può pure agire bene ma non si ottiene la salvezza. Perciò gli chiede quale sia stata la luce proveniente da Dio ad averlo indirizzato sulle orme di San Pietro cioè a divenire cristiano. Stazio gli risponde che è stato proprio lui, Virgilio, a condurlo ad abbeverarsi alle sorgenti del Parnaso, sede della poesia, e per primo gli ha illuminato la via verso Dio. A questo punto ci si chiede quale possa essere stato lo spunto offerto da Virgilio: Stazio riprende un famoso passo della IV bucolica: (vv.70-72)

’Secol si rinova; /torna giustizia e primo tempo umano,/e progenïe scende da ciel nova’.
Sorge una nuova era, la giustizia torna sulla terra con l’età dell’oro e una nuova stirpe scende dal cielo.

Come è risaputo, Virgilio aveva scritto l’ecloga riferendosi ad una nuova epoca di prosperità in concomitanza con nascita di un puer  che avrebbe riportato il mondo a una palingenesi. Nel Medioevo la predizione della nascita del puer lo ha reso profeta del cristianesimo nell’interpretazione medievale in chiave cristiana. Stazio attribuisce dunque a Virgilio il merito del suo avvicinamento al cristianesimo. Da quel momento si rese conto che la fede cristiana era già diffusa in tutto il mondo e cominciò a frequentare tutti i predicatori nonostante le persecuzioni che subirono da Domiziano. Prima di comporre la Tebaide ricevette il battesimo, ma per paura delle persecuzioni fu cristiano in segreto continuando a mostrare pubblicamente di essere pagano. Per il suo scarso fervore religioso rimase per più di quattro secoli nel quarto cerchio, quello degli accidiosi. Dante implicitamente riflette sul mistero della salvezza dei personaggi. Dante aveva piena contezza del fatto che Stazio come poeta non fosse paragonabile a Virgilio, il profeta, il saggio, il poeta per eccellenza, che aveva sanato il peccato di Stazio con le sue opere e lo aveva reso poeta con il suo esempio. Tuttavia Virgilio è un’anima del Limbo e non è destinato alla salvezza, Stazio invece resterà con lui fino al Paradiso avendo completato il suo percorso di purificazione. Il grande Virgilio è visto come un uomo che procede al buio con una lanterna sulle spalle per illuminare la via a chi viene dopo, ma lui continua ad avanzare nelle tenebre. Con questa similitudine viene spiegato questo mistero nei vv 67-69

Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte

Dopo aver esposto le sue vicende, Stazio chiede notizie a Virgilio di tanti poeti celebri di cui vuole conoscere la sorte dopo la morte: enumera tanti nomi, Terenzio, Plauto, Cecilio Stazio, Vario. La guida risponde che i personaggi che ha nominato e anche il poeta Persio e molti altri, incluso Omero, si trovano insieme con lui nel Limbo della buia prigione infernale. Ci sono anche Euripide, Antifonte, Agatone, Simonide e molti altri greci che ottennero la fama di poeti e tanti personaggi del mito citati da Stazio nelle sue opere. Quest’ultimo episodio, attraverso l’elenco fornito da Stazio a cui segue quello di Virgilio, costituisce una sorta di completamento e di appendice dei nomi già citati da Virgilio nel IV canto dell’Inferno dedicato al Limbo. Come già spiegato nella descrizione di tale luogo, in esso coabitano sia celebri autori del mondo greco e latino sia personaggi resi celebri dal mito e dalla letteratura. Tutto questo è interpretato come un’ulteriore prova del preumanesimo di Dante che riscopre tanti personaggi celebri del mondo classico. Non è tutto però, si può riscontrare anche un’evidente allusione a se stesso nelle parole di Stazio: anche lui mostra un’enorme gratitudine nei confronti di Virgilio, e in generale, per l’apporto del mondo pagano: questo avvalora ancor di più la tesi del preumanesimo. Nonostante i poeti pagani fossero esclusi dal beneficio della redenzione offerto dal cristianesimo, la luminosa dottrina delle loro opere risplende eternamente per gli eredi cristiani.