Il romanticismo e il poema sinfonico: Franz Liszt
Di Adriana Sabato
Potrebbe apparire contraddittorio in un contesto storico come il romanticismo in cui il paradigma della “musica pura” promuove l’autonomia del sonoro, il contemporaneo svilupparsi della musica descrittiva e del poema sinfonico.
La “musica descrittiva”, occorre ricordarlo, subordina il discorso sonoro a un elemento extra-musicale (paesaggio, racconto, pittura) e questa poetizzazione della musica consente di emanciparla dalle forme tradizionali. Emblematici esempi ne sono le opere per orchestra di Berlioz (Symphonie fantastique), i poemi sinfonici di Liszt (Mazeppa) o i suoi pezzi pianistici (Années de pèlerinage). La musica assoluta (a volte astratta) invece è musica che non parla esplicitamente di nulla; in contrasto con la musica a programma è non rappresentativa. In virtù della sua indeterminatezza essa lascia spazio alla fantasia dell’ascoltatore e gli consente pertanto di accedere a una trascendenza.
Musica assoluta: l’idea di musica assoluta si sviluppò alla fine del XVIII secolo negli scritti di autori del primo romanticismo tedesco, come Wilhelm Heinrich Wackenroder, Ludwig Tieck ed E.T.A. Hoffmann ma il termine non fu coniato fino al 1846, quando fu usato per la prima volta da Richard Wagner in un programma per la Nona Sinfonia di Beethoven.
Le idee poste alla base della musica assoluta derivano dai dibattiti sul valore relativo di ciò che era noto nei primi anni della teoria estetica come le belle arti. Kant, nella sua Critica del giudizio estetico, ha liquidato la musica come più godimento che cultura a causa della sua mancanza di contenuto concettuale, prendendo così come negativa la caratteristica stessa della musica che altri hanno celebrato. Johann Gottfried Herder, al contrario, considerava la musica come la più alta delle arti a causa della sua spiritualità, che egli collegava all’invisibilità del suono. Gli argomenti che ne derivano tra musicisti, compositori, storici musicali e critici non hanno mai trovato fine.
Franz Liszt, ad esempio, considerava i principi compositivi classici del lavoro motivazionale, dello sviluppo tematico, dell’implementazione e della ripetizione di una forma sonata non come regole inconfutabili, ma come espressione mutevole di pensieri poetici, che da solo conduce la libera fantasia del compositore. Anche per Liszt, come già per Schumann, la convinzione che la musica dovesse essere fondata su motivazioni ideali e, in, senso lato, poetiche, significò l’istituzione di un rapporto privilegiato fra musica e letteratura, che Liszt però concepì assai più stretto e vincolante, fino a teorizzarlo come necessario per la vita futura dell’arte musicale. Il poema sinfonico è una composizione musicale per orchestra, solitamente in un solo movimento, di ampio respiro, con più sezioni interne. Il poema sinfonico vuol designare una composizione che, mentre si riallaccia alla tradizione sinfonica, la rinnova però dalle fondamenta grazie all’assunzione di una “idea poetica” centrale che della composizione musicale è l’autentica ragion d’essere, la motivazione profonda. Liszt è deciso a portare la musica oltre i suoi limiti: la musica, che esprimeva in maniera generica sensazioni, affetti e sentimenti, deve adesso essere un’espressione più precisa, deve superarsi e volgersi alla letteratura.
Nei dodici poemi sinfonici composti fra il 1847 e il 1858 tale idea è il più delle volte tratta da una composizione letteraria: Quello che si sente sulla montagna (il titolo originale è in francese; chiamata anche Sinfonia della montagna) dall’omonima poesia di Victor Hugo; Hamlet daShakespeare e così altre opere. Alcuni di questi poemi sviluppano e ampliano fino alle dimensioni di una sinfonia altrettante ouvertures scritte come introduzioni di determinati lavori teatrali: Hamlet ad esempio. La tradizione dalla quale germoglia l’idea del poema sinfonico è perciò quella della grande ouverture a soggetto, destinata a vivere di vita propria, indipendente dalle contingenze teatrali che potevano averne provocato la nascita.
Come evidenzia lo studioso Renato Di benedetto: l’antica domanda, che da sempre ci si è posti di fronte alla musica, “che cosa vuol dire? che cosa significa?” si rinnova tanto più imperiosa, quanto più acuta è la consapevolezza della natura arcana, della ineffabile e“pura” qualità del messaggio musicale.
Ecco dunque il ricorso a titoli allusivi, poi a veri e propri programmi letterari, che in qualche modo illuminino e orientino il destinatario circa l’idea ispiratrice, la provenienza e, per così dire, la direzione della volontà espressiva dell’autore; parimenti ecco, da parte di critici ed esegeti, il fiorire d’immagini letterarie, di similitudini, di metafore, e anche di vere e proprie trame narrative, che suggeriscano per analogia l’indefinibile clima di un’opera musicale. Ma l’idea della musica a programma s’alimenta pure di un’altra profonda convinzione romantica, professata con fervida fede: che la sostanziale unità dell’arte avesse come conseguenza una specie di simbiosi delle singole arti, per cui dall’una fosse possibile e lecito trapassare nell’altra, e la poesia dissolversi in musica, e la musica trascolorare in pittura, e così di seguito.
C’imbattiamo dunque in una coincidentia oppositorum, che vede il concetto della musica assoluta da una parte contrapporsi, dall’altra invece risolversi nel suo contrario, cioè nel concetto di un’“opera d’arte totale” che accolga in sé e riunifichi le arti già separate. Si manifesta ancora, in questa contraddizione, la sete romantica dell’assoluto, come anelito alla ricostituzione d’una mitica originaria unità: ma il principio unificatore dell’arte non è più ora, come nel Settecento, la razionale e analitica imitazione, bensì l’intuizione del misterioso e ineffabile “puramente poetico”, che nella musica, fra tutte le arti la più lieve di peso corporeo, brilla più vero più profondo e puro.
Ascoltiamo qui il poema sinfonico Mazeppa, composto da Franz Liszt nel 1851. Racconta la storia di Ivan Mazeppa, che sedusse una nobile polacca e fu legato nudo ad un cavallo selvaggio che lo portò in Ucraina. Là, egli fu rilasciato dai Cosacchi, che in seguito lo fecero Hetman. Liszt, per la composizione di Mazeppa, ha tratto ispirazione dalla poesia Mazeppa di Victor Hugo contenuta nella raccolta Les Orientales del 1829, e da Lord Byron per il suo poema del 1819 Mazeppa: clicca QUI per ascoltare