Lorenzo. Questo è un uomo
Di Geraldine Meyer
Chi è Lorenzo, evocato nel titolo come colui che salvò Primo Levi? Dove sarebbe rimasta nascosta e sepolta la sua storia se non fosse stato lo stesso Levi a scrivere, in Se questo è un uomo: “credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi.”
Si chiamava Lorenzo Perrone, era un muratore piemontese. Un uomo taciturno, abituato alla fatica, ad attraversare la vita con quella postura etica, semplice e lontana dallo smarrirsi in domande, ma ancorata al lavoro. Un lavoro che amava fare bene perché per lui era importante. “Un muratore costruisce le cose” diceva. E forse lui costruiva la sua vita nello stesso modo. Silenzioso e defilato. Destinato, come la maggior parte di noi, a non lasciare traccia. Se non fosse stato per quell’incontro nel luogo più simile all’inferno che l’umanità abbia edificato in terra: Auschwitz.
Fu lì che Lorenzo e Primo si incontrarono mentre Levi era “schiavo degli schiavi” e Lorenzo un lavoratore “costretto volontario” ad andare a lavorare in Germania, pedina di quell’accordo che l’Italia sottoscrisse con l’alleato per fornire manodopera. E Lorenzo si trovò a lavorare in una delle fabbriche che confinavano con il campo di sterminio. A separare lui e lo scrittore un filo spinato e tutto l’indicibile da questo filo spinato rinchiuso. Lorenzo salvò Primo dandogli, per sei mesi, di nascosto e a rischio della propria stessa vita, una gavetta aggiuntiva di zuppa. Un cibo che rappresentò non solo una razione in più di nutrimento. Ma la consapevolezza che, anche in quel buco nero della storia, poteva esserci uno scampolo di umanità, un inciampo nella perfetta e criminale macchina dello sterminio. Lorenzo salvò Primo insufflandogli una brezza di speranza. Una tregua, la possibilità di intravedere uno scarto di senso dove senso non c’era. Ma Lorenzo fece anche altro. Consentì, sempre di nascosto ma senza porsi il problema, le comunicazioni tra Primo e la sua famiglia.
Questo bellissimo Un uomo di poche parole è quasi un’elegia che lo storico Carlo Greppi scrive e consegna a noi lettori per raccontarci la storia di questa “pietra scartata”, di questo frammento di storia individuale che riuscirà a far riverberare di sé la storia dell’intera umanità, perché è di questo che si sta parlando. Perché ci costringe a sperare che di Lorenzi ce ne siano stati tanti e che basta un piccolissimo deviare da ciò che sembra inevitabile per uscire dalla “zona grigia”.
Primo e Lorenzo rimasero amici anche dopo. Levi chiamò i suoi figli Lisa Lorenza e Renzo perché conservassero nel nome, e nella loro storia, la storia dell’uomo che salvò il loro padre. Senza chiedersi perché ma, semplicemente perché “quando una cosa è da fare, si fa e basta”. Ma chi salvò Lorenzo? La vita quasi mai è giusta, se la misuriamo con i criteri di giustizia di cui disponiamo noi piccoli esseri umani. Lorenzo, tornato in Italia, rimase schiantato da quanto visto, incapace di continuare a vivere. Semplicemente non ce la fece più. Lasciò il suo lavoro di muratore e cominciò e vendere ferro vecchio per gettare nel vino i pochi spiccioli che guadagnava e il vuoto che gli si era formato dentro dopo avere assistito all’annientamento dell’uomo. Morì alcolizzato e con la tubercolosi. Lasciando a noi e al mondo la testimonianza di cosa voglia dire essere uomo. Un libro che è, non solo rigorosa ricostruzione storica ma anche atto d’amore e di riconoscenza per tutti gli sconosciuti Lorenzi che reggono il mondo.
I Robinson/Letture
Storia
Laterza
2023
309 p., brossura