Cosa resta dopo un terremoto
Di Geraldine Meyer
Cosa resta dopo un terremoto? Cosa cambia negli uomini, nel paesaggio, nel futuro ma anche nei ricordi? A raccontarcelo la scrittrice tedesca Esther Kinsky in questo Rombo, pubblicato da Iperborea. Friuli, 6 maggio 1976. Un rombo, un rumore che sembra essere ciò che tutti, pur nella differenza di ricordi e impressioni, ricordano. A ricordare quei terribili giorni la scrittrice mette in campo sette voci, quelle di sette abitanti di quei luoghi. Qualcuno già adulto, qualcuno ancora bambino.
Allora ciò che ne esce ci appare quasi come un atlante universale, di persone, luoghi, animali e piante. Ciascuno dei narratori ci conduce in quella parte di nord est, in una valle che conserva arcaico e magico, una comunità montana con le sue origini slave. Che sono origini di cultura, lingua e tradizioni e leggende.
E allora questo Rombo diventa la cronaca non solo di un disastro ma anche di un tessuto sociale, di emigrazione, di una terra da cui si partiva per lavorare e a cui si tornava per nostalgia. Ma, insieme a tutto ciò, l’autrice riesce a dare voce anche alla natura, in qualche modo, a quelle rocce, a quei fiumi, al vento e agli uccelli. Conducendoci in un viaggio in quella che possiamo chiamare geologia. Non solo nel senso letterale della parola ma anche, con impercettibile spostamento semantico, in una geologia umana. Perché anche la vita delle persone è uno stratificarsi di ricordi, sogni, aspirazioni, paure, piccoli episodi di quotidianità.
Nelle parole, nei racconti delle sette voci la precarietà dell’esistenza diventa la trama per una storia in cui è la memoria, seppure incompleta, a ricostruire ciò che è stato distrutto. In una disperata lotta contro ciò che va perso e che cerca, in qualche modo, di rimodellarsi. Con le parole. Per quanto a loro sia possibile.
Rombo è quasi un palinsesto di letteratura e narrazione scientifica in cui il millenario lavorio delle rocce, e l’altrettanto millenario vivere della natura si intrecciano con l’antico delle genti, del loro essere comunità, dell’eterno cercare una vita migliore. Per poi fare i conti con qualcosa che costringe a cambiare, a piegarsi, a ricominciare. E, alla fine, a vivere deviando su altre vie, altre strade. La Kinsky ci parla delle ferite di una terra che sono anche quelle degli uomini. Quanto e come ( e se) quelle ferite riescano a rimarginarsi non ci è dato saperlo del tutto. Ciò che sappiamo è che si va avanti. Inevitabilmente. Con quel rombo sempre nel cuore, indimenticabile e, infondo, pilastro di una memoria comune
Letteratura
Iperborea
2023
228 p., brossura