Fedeli alla roba
Di Luca Morettini
Il libro è di nuovo lui, “Shock antistatico” di Stefano Gilardino. Si parla della scena piemontese, in particolare di Torino. Viene nominato un gruppo che, come l’80% dei nomi citati, non conosco affatto. Il nome è un programma: i Prostitutes. Produzione discografica praticamente assente se non si contano un paio di brani in qualche compilation dell’epoca, un paio di cassette perse nel tempo e un’antologia pubblicata in tempi recenti che funge da mappa di quello che è stato il loro mondo musicale.
Viene fuori il piccolo ritratto di una band arrabbiata, casinista, refrattaria ai compromessi e autrice di una musica tanto intrigante quanto difficile e dove si possono anche riscontrare le caratteristiche sopra citate. Una band cult dell’epoca che a causa della loro attitudine e del loro nome non ha avuto una vita facile.
E poi c’è la questione dell’eroina, collante della ragion d’esistere della band e compagna onnipresente nelle vite di ognuno dei suoi componenti. Insomma, una strada che ha avuto tutte le ragioni del mondo per essere in salita.
Fin dall’inizio vengono nominati due nomi: quello del tastierista Bruno Panebarco e del suo romanzo d’esordio pubblicato nel 2004 intitolato “Fedeli alla roba.” Si accende un flash. Io quel libro ce l’ho, comprato forse nella mia ultima incursione nella sede di Stampa Alternativa appena fuori Viterbo. Era bastato solo il titolo, con il suo riferimento ai CCCP, a catturarmi. E poi perché si parlava di vite fuori dagli schermi, anni ’70 e ’80, musica rock. Di un naufragio generazionale, tanto per citare il sottotitolo. Mi piace quando si offrono ritratti generazionali che vanno oltre la facciata della Storia. Catturato io, catturato il libro. Poi, come quasi sempre accade, è stato per qualche tempo parcheggiato insieme a tanti, troppi altri. Fino a quel momento.
“Fedeli alla roba” è un lungo racconto senza filtri della lunga compagnia che per 15 anni, dal 1975 al 1990 grossomodo, ha esercitato l’eroina nella vita di Bruno Panebarco. Dettagliato, nonostante qualche sfarfallamento dovuto alla nebulosità che il tempo ha esercitato col suo trascorrere incessante e alla confusione in certi momenti della vita stessa. Un memorandum implacabile e senza vergogna di una vita fatta di viaggi vagabondi, insofferenza alla banalità e alla routine, incontri con mille personaggi disparati (e spesso disperati), donne donne e ancora donne. La ricerca di una storia d’amore mai potuta avverarsi, il raggiungimento di decine di storie di sesso animalesco, istintivo e a tratti brutale.
Droga e ancora droga. Alcool. Le dosi di metadone trangugiate durante l’ennesimo tentativo di darci un taglio. I traffici illeciti, i pestaggi, la detenzione in galera, la lunga rinascita in comunità. E lì finisce la narrazione. Lunga, meticolosa, senza vergogna, senza censure, reale che l’avverti entrare nella tua pelle, quasi come la “roba” che non smette mai di essere assente, neppure nei momenti in cui non viene nominata.
Bruno Panebarco ha pubblicato altri libri e ha continuato ad assecondare la sua vena artistica che ai tempi dei Prostitutes era messa in secondo piano dall’affannosa ricerca dall’eroina. Mi è capitato di vederlo in qualche video su YouTube, ospite a determinate manifestazioni culturali. Sta bene. Ed è qui che mi saltano alla mente le parole con cui si chiude il suo romanzo d’esordio. Perché nel momento preciso in cui penso che alla fine tutto si è risolto per il meglio e che quindi potremmo pure parlare di un lieto fine, mi rendo conto che ha ragione Bruno Panebarco quando chiude il suo racconto scrivendo “in questa storia abbiamo perso tutti. E non è un lieto fine.” Perché dietro ci sono i conoscenti e gli amici morti, coloro che non si sono mai ripresi, coloro che sono stati abbandonati a sé stessi. È il naufragio generazionale del sottotitolo. Quello di un problema che non si è voluto comprendere ed è stato liquidato superficialmente. E’ stato il problema del boom dell’eroina. E’ il problema della gioventù. Quello di cui si pensa di sapere sempre tutto.
Narrativa
Associazione culturale Il Foglio
2011
290 p., brossura