Leone Efrati, dal ring al campo di sterminio
Di Geraldine Meyer
Chi era Leone Efrati? Ce lo racconta Antonello Capurso nelle oltre trecento pagine di questo La piuma del ghetto. La copertina riporta la dicitura “romanzo”. E certo, nella forma, nello stile e nel ritmo ne ha le caratteristiche. Ma la storia è vera, come veri sono i nomi e gli episodi riportati. Leone è stato un campione di pugilato, un peso piuma che, per pochissimo, manca il titolo mondiale negli Stati Uniti, nel 1938. Una data nera, come nero il regime e l’aria che ormai si stava impadronendo dell’Europa. E per Leone ancora di più. Perché era ebreo.
Capurso ne ricostruisce la storia, dall’infanzia nei vicoli attorno a Portico d’Ottavia, in una parte di Roma in cui la toponomastica e i soprannomi delle persone ci parlano di una comunità dalle radici antichi, di vecchi mestieri e di integrazione. Ma l’aria cambia, in modo quasi impercettibile all’inizio. Tra pizzicagnoli, sarti, barbieri, bancarellai, la vita è quella di paese. Leone cresce e il pugilato diventa per lui riscatto e possibilità di crescita. Nel frattempo arriva l’amore, quella Ester che sarà compagna di una vita, quella vita finita troppo presto, in un campo di sterminio.
Leone, sull’onda della sua bravura è negli USA quando in Italia, lontana migliaia di chilometri, vengono promulgate le leggi razziali. Il suo nome viene cancellato dai giornali, in Italia non può più combattere. Ma, cosa ancora più importante, a Roma c’è sua moglie e suo figlio, il piccolo Romoletto. Così Leone prende la decisione più normale, per lui, ma più tragica: tornare a casa.
La sua vita, le sue difficoltà si intrecciano con quelle di tutti gli ebrei italiani, improvvisamente non più italiani, privati dei diritti per il solo fatto di essere ebrei. Leone queste cose non le capisce, per lui la politica è qualcosa di estraneo. Vuole continuare a fare pugilato. Ma non si può. Leone non è più nulla per il regime del suo paese, quel paese che, prima, lo esaltava. E un giorno, insieme al figlioletto, sarà catturato con la complicità di due collaborazionisti, due fascistelli meschini pronti a vendere la vita delle persone in cambio di poche lire. Leone, il fratello e il loro padre finiranno a Auschwitz. Romoletto si salverà proprio un attimo prima che, da via Tasso, gli ebrei arrestati vengano mandati prima a Fossoli e poi nei campi della morte. E sarà proprio Romoletto, ancora bambino, a riscattare e vendicare il padre quando Roma sarà liberata e cominceranno i processi per condannare i collaborazionisti.
Capurso è un uomo di teatro e si capisce leggendo questo libro. La vicenda, ricostruita in anni di studio, ricerche documentarie e interviste, è confezionata proprio come una storia, una narrazione. Con dialoghi ricostruiti, ambienti e situazioni che, mentre leggiamo, possiamo vedere. Sentiamo le voci di quella Roma, gli odori, la vigliaccheria e la crudeltà, la solidarietà e la resistenza. Eppure questo La piuma del ghetto è anche un libro di storia, quella di un uomo, di una comunità, di un paese disgraziato che si buttò nella braccia di Hitler. E, forse, è una storia in cui acquista quasi un valore simbolico il fatto che al centro ci fosse un pugile, un uomo abituato a combattere. Un uomo che, a suo figlio, nel momento dell’arresto, disse di ricordare sempre. E Romoletto lo fece. E questa è la storia.
UAO
Romanzo, storia
Gallucci Editore
2023
333 p.,