Un fede che disturba
Di Geraldine Meyer
Con questo Abbi pietà del mio piccolo dolore Victoria MacKenzie ci consegna un libro pieno di dolore ma anche di grazia. È la storia, cucita con fantasia, ma vera, quella di due mistiche del Nord dell’Inghilterra nella metà del ‘400. Due donne che, in modi e circostanze diverse, hanno lasciato testimonianza delle loro vicende in due testi: quello di Margaret Kempe Il libro di Margery Kempe, e Julian di Norwich Rivelazioni dell’amore divino. Libri importanti che, come ci viene ricordato a conclusione del testo […] “entrambi quasi perduti per sempre, sono due dei più importanti scritti nel periodo medievale e sono entrambi opera di donne”
Particolare certo non secondario e, sottotraccia, più volte sottolineato nel libro. Nelle cui pagine emerge molto chiaro come la situazione delle donne, soprattutto in relazione al loro rapporto con Dio, fosse delle più difficili, osteggiate e condannate. Di cosa erano colpevoli le protagoniste di questo testo? Di essere pervase da una “furia” mistica non controllabile, eversiva, a diretto contatto con Dio, senza intermediari. In una parola a rischio di eresia. Margaret non tace le sue visioni, racconta e urla le parole che Cristo le sussurra, in un rapporto che è quasi fisico, e che la porta a sentire tutto il dolore del nazareno crocifisso. Julian le sue visioni le tiene dentro di sé, spaventata, impaurita da ciò che accadrebbe se le testimoniasse. È tormentata dal pensiero che, per difendere sé stessa, abbia privato gli altri della rivelazione divina. Si farà anacoreta andando a vivere in una cella in cui resterà per più di vent’anni. Fino alla morte.
Le due donne arrivano da percorsi diversi come diversi saranno i percorsi della loro fede, del loro tormento e della loro solitudine. Fino a quando si incontreranno e le parole dell’una troveranno risonanza nel cuore dell’altra. Julian consegnerà a Margaret un libro, scritto in anni e anni e tenuto nascosto. Margaret troverà un senso e un conforto dalle parole di Julian, pronunciate dalla sua cella. Diverranno, in un certo senso, testimoni l’una per l’altra, custodi dei rispettivi tormenti e dolori, ostracismi e paure. Ma, soprattutto, testimoni di una fede che non le ha viste arrendersi, che le ha fatte divenire forti proprio nei momenti di maggiore fragilità.
Un libro che, per vaghi sussurri, in alcuni momenti ricorda il libro di Rut. Un libro di donne, di voci femminili in cui Dio, seppur presente, sembra farsi da parte per farci ascoltare le parole e i pensieri di Margaret e Julian.
Il libro, molto ben tradotto da Viola Di Grado, è strutturato come un alternarsi tra i racconti di una e poi dell’altra. Distanti nello spazio, fisicamente lontane, ma assolutamente insieme in quel loro trovarsi salde eppure spiazzate da quanto accade loro. Per poi incontrarsi spinte da una forza divina misteriosa. Una forza invisa ai maschi e alle gerarchie ecclesiastiche per le quali il rapporto delle due donne con Dio rappresentava una minaccia al loro potere, alla protervia di una strumentalizzazione della stessa parola di Dio.
E, alla fine, una sorellanza che è pacificazione, condivisione e “assorbimento” del reciproco dolore
La cultura
Letteratura
Il Saggiatore
2023
176 p., brossura