LA PAROLA DISARMATA E GLI AMULETI DEL POETA LORENZO PATARO
di Federico Migliorati
“Lorenzo Pataro è nato nel secolo sbagliato, o nel migliore di tutti a seconda dei punti di vista, per offrire la sua voce di poeta radicale. La sua è una parola di luce e vertigine, di visione e tragedia”.
(Daniele Mencarelli, dalla quarta di copertina)
È una parola disarmata di fronte agli avvenimenti quella di Lorenzo Pataro, ma al contempo capace di un’indicibile forza che sgomenta e colpisce. in questa nuova silloge prefata da Elio Pecora il poeta cosentino, ormai già affermato e reduce da diversi riconoscimenti, ha dato vita a una produzione di versi suddivisa in quattro distinte sezioni ontologicamente connessa al mondo naturale, intrisa di stimoli, di respiri, di sensazioni che muovono da una attenta composizione lessicale offrendo un ventaglio intenso e sfolgorante di immagini e suggestioni. Una poesia alta, raffinata, per la quale è fondamentale ai fini di una corretta comprensione badare precipuamente all’ascolto. Coleridge, Celati e Benedetti sono i tre intellettuali che l’autore “chiama” a sé in esergo, in cui si annidano i significati dell’intera opera, ctonie emergenze del cuore e della mente, percezioni levigate dall’esistenza, echi e rimandi dal passato, riti e rituali ancestrali, braci ardenti che ancora nutrono l’essere e lo spirito. Di fronte all’entropia cosmica i versi sprigionano e custodiscono una sapienza antica (si direbbe quasi di essere di fronte a una tensione verso la retrotopia), la spontanea bellezza di un insieme aurorale, come se tutto venisse osservato per la prima volta e tale così da suscitare stupore e meraviglia. Costante
il ricorso ad elementi contrastanti tra loro per sguainare un’esistenza ferita eppure lucida e consapevole del valore dei sentimenti veri: crepe, squarci di luce, fessure sono elementi simbolici e reali insieme che nella poesia in oggetto si mutano in separazioni, ferite, delusioni, dolori cagionati o subiti, convogliati nel “polmone malato dell’ansia”. “Il rovescio di ogni attesa è nella cura” è forse il passo più illuminante, penetrante, incisivo, icastico dell’intera composizione: dietro l’inerzia o l’accidia che talvolta sigillano le nostre esistenze c’è un universo da suturare e guarire e al quale pure dobbiamo rispondere. C’è bisogno, per ciascuno, di amuleti con cui affrontare il cammino, elementi apotropaici ai quali lo stesso Pataro dedica l’intera silloge poiché ogni nuovo anno “rovescia i nostri nomi e l’alfabeto” ed ecco ordunque la necessità di una magnetica forza centripeta. Vi rintracciamo un movimento circolare, a chiudersi, laddove la “nostalgia del seme” viene esplicitata quale percorso a ritroso in direzione dell’utero materno da una parte e, più in generale, al principio del tutto, ma c’è anche una cura degli estinti che il poeta non dimentica (“percepisco il loro sonno / come un ago, la mia notte / nella cruna della loro”). Il ritmo circadiano si trasfigura in un perenne movimento di vita e di morte, dove è possibile assistere anche a una visione dell’uomo-albero, in cui nulla si disperde ma è semmai cagione di rinascita sotto altre forme e sullo sfondo si staglia “l’inganno consueto” di montaliana memoria. Struggente e armonica, in un’architettura compositiva di pregevolissima fattura in cui illuminazioni, tranche de vie, immagini di una “terra spaccata di arterie” nella “fatica dello stare” appaiono e scompaiono, è l’ultima sezione del volume, dedicata alla memoria della poetessa e critico letterario Giovanna Sicari.
Alter
Poesia
Ensemble
2022
100 p., brossura