L’umanità delle vite disperate
Di Geraldine Meyer
La parola che si fa resistenza, il racconto che da voce agli ultimi, le storie che diventano carne viva di chi voce non ha. E una liturgia di nomi che diventano luoghi di senso, spazio di relazione: Maria – Vecchia, Maria – Giovane, Bontà, Nega Tuìna, Nero Aliria. Abitanti di una favela che sta per essere spazzata via per fare posto ad altri tentacoli di un mondo sordo e cieco. Ma una favela non è solo un disordinato e caotico ammasso di baracche. Sono vite, voci, sogni, disperazione, sono i vagabondi, le prostitute, gli ubriaconi ma anche uomini e donne dal cuore così grande da riuscire ad accogliere il dolore degli altri. Una comunità che si fa comunione.
Vicoli della memoria di Conceicao Evaristo, una delle voci più forti della letteratura brasiliana, è uno di quei libri in cui la letteratura fa suo il compito di dirci che si può guardare in faccia il male e la disperazione avendo fede però nel fatto che il male e la disperazione non avranno l’ultima parola. E non perché ci sia un lieto fine ma perché proprio in luoghi come una favela possiamo trovare il più sacro dei luoghi: l’umano vivente.
Non vi è nulla di edulcorato in questo romanzo ma, semmai, il dono grande di raccontare l’insopprimibile vitalità di uomini e donne che non si arrendono e condividono anche ciò che non hanno. Un mondo a parte, così lontano dalla ricca città con cui confina, un mondo fatto di donne che conoscono solo la miseria e, tutti i giorni, vanno a far luccicare le case dei ricchi, un mondo fatto di lavoratori delle fazendas, di anziane sole che si prendono cura dei figli di chi lavora, di uomini che hanno conosciuto solo il dolore della perdita travandosi a vivere la peggiore delle condanne: salvarsi e sopravvivere da soli.
La favela qui è, non solo carne viva, ma anche emblema di quei ricchi che, quasi in un autismo della coscienza, vogliono portare via a quei poveri proprio la loro povera casa. Quell’agglomerato di baracche, fango, polvere, vicoli e piccole botteghe è quasi uno scandalo che non può esistere. Ma che non può esistere per diventare una sistemazione dignitosa per i suoi abitanti? Niente affatto. Deve solo essere spazzata via. E chi ha fatto di quel luogo la sua casa, con tutta la galassia di significati che questa parola si porta con sé, deve semplicemente andarsene, in cambio di pochi spiccioli.
A resistere sarà proprio una voce, una parola, quella di Maria – Giovane che sa che un giorno scriverà questa storia e sa che, proprio attraverso questa storia, gli ultimi saranno liberati. Nel modo in cui può liberare, appunto, una storia raccontata, condivisa e, per questo, non più sconosciuta. Un libro che sembra quasi una parabola evangelica, splendidamente tradotto da Dea Merlini e arricchito da una bella e densa prefazione di Igiaba Scego. Grazie alla napoletana Tamu Edizioni per averlo pubblicato
Letteratura
Tamu Edizioni
2023
208 p., brossura