I paesi e la loro seconda vita
Di Federico Migliorati
Il Novecento dopo il boom economico, ma ancor più gli anni contemporanei rappresentano la “vittoria” della città sulla provincia, dell’urbanizzazione sulla campagna, tanto che è nato un movimento letterario che questo fenomeno ha posto a esergo del proprio esistere, il Realismo Terminale: molti paesi, specialmente di montagna, sembrano avviarsi a un declino inarrestabile, con ciò finendo per perdere le proprie specificità, usi, costumi anche di lunga tradizione. È un fenomeno sociale che anche la letteratura dunque può affrontare e da un osservatorio privilegiato provando a fornire, perché no, qualche interessante spunto di riflessione quando non di soluzione. Un libro, quello del narratore e scrittore romano Stefano Lucarelli (che riceve la prefazione del docente universitario Rossano Pazzagli) in cui si affronta questo ambito attraverso una trentina di brevi e brevissimi racconti e dove si passano in rassegna cose dimenticate e da ritrovare, persone e vicende in un viaggio in prosa che si vena sovente di poesia, tra restanza e tornanza. Attenzione, però: non troviamo una forma di “retrotopìa”, per dirla come il compianto filosofo e antropologo Marc Augé perché Lucarelli, che non a caso ha scelto di vivere da qualche anno in un borgo toscano dell’Amiata, guarda non tanto al passato bensì al presente preconizzando il futuro. Scorrendo le pagine passano in rapida sequenza realtà e fiction, storia e invenzione, ben dosate nel dare valore e peso alle parole.
Gesti lievi e antichi insieme, una solidarietà mai doma, la lentezza come forma mentis contro la frenesìa quotidiana della città danno la misura di ciò che si rischia inscindibilmente di perdere per sempre. Ha ragione Pazzagli quando parla dei paesi, soprattutto di quelli più piccoli di cui l’Italia è così ricca, come di “luoghi silenziosi e di resistenza, in preda allo spaesamento”: rimetterli nel giusto contesto, restituirne appieno ciò che essi hanno garantito nei secoli è un’operazione lodevole che, anche se velata di immaginazione, non può che farsi apprezzare. I ritmi dei borghi, di ogni borgo, risuonano di echi indimenticabili, come sanno bene i loro abitanti: la banda ch’è sacro elemento musicale, il paesaggio che come un unicum distingue l’uno dall’altro le località, il medico curante che conosce a menadito i malanni di tutti i suoi pazienti, una diffusa sensibilità ambientale che promana da certo carattere delle genti, il pastore di anime che non disdegna una bevuta in compagnia nelle osterie perché qui incontra “il regno di Dio”. Universi che si intersecano, che mutano e che si respingono, tra un prima e un dopo lo spopolamento, plastica immagine a cui troppe volte assistiamo. C’è un’umanità vivace, eternata nei testi, che riscatta un impoverimento urbano e un’emigrazione più o meno forzata dove il tempo pare sospeso in un idilliaco mondo in attesa di essere creato. Per reagire, allora, non resta che ascoltare la voce di uno dei tanti, poliedrici e variopinti personaggi che popolano questa raccolta di racconti, poco importa se reali o immaginari: per riabitare il paese, scrive un anziano sindaco in “La fascia tricolore”, “dobbiamo aprirlo a chi ha piedi nuovi e mani sagge, avere il coraggio di fare resistenza contro questo trasformismo contorto, inutile, dannoso. Gridare a tutto il mondo di rallentarsi, di fermarsi, di ricostruire, proprio da qui, da quassù, il mondo che ci chiederanno i nostri figli”. Prendendo a prestito Proust è il caso di ritrovare quel tempo perduto, un tempo di felicità e di semplicità come quello che si respira a Castell’Azzara, in Toscana, o a Trivigliano, nell’Alto Lazio, piccoli scrigni di bellezza dove Lucarelli ha abitato e che gli hanno fornito ispirazione e temperie di idee alla base di questi singolari, appassionanti pagine di vita e di speranza.
Narrativa
Effigi Edizioni
2023
132 p., brossura