La storia di una donna, la storia di un paese
Di Geraldine Meyer
Impossibile, per me, leggere questo L’ultimo treno da Kiev, di Stefania Nardini, senza ritrovarmi immersa in un personale passato. I miei genitori, negli ultimi anni della loro vita, hanno avuto accanto due angeli. Due donne moldave la cui storia, per molti aspetti, è uguale a quella raccontata in questo libro. La mente e il cuore tornano, con gratitudine, a chi ha accompagnato per un tratto di strada mio padre e mia madre. Un coinvolgimento emotivo, dunque, che mi ha fatto leggere L’ultimo treno da Kiev con l’animo di chi alcune testimonianza se le è sentita raccontare di persona.
Qui la storia è quella di Irina. Una delle tante donne ucraine (e in genere dell’Europa dell’est) che con la caduta del Muro di Berlino e di tutto ciò che questo ha comportato si sono trovate ad affrontare, non solo un paese allo sbando, ma una intera esistenza senza più quel cappio protettivo (paradossale ossimoro) che ne regolava il passo. Cosa accade quando, all’improvviso, ci si trova a dover gestire quella che si pensava fosse la libertà e invece è solo un altro tassello della schiavitù? Irina è laureata ma il suo titolo di studio non vale più nulla. L’Ucraina del post comunismo è un paese confuso, lacerato, vittima dell’ingordigia dei nuovi ricchi che ne fanno terra di conquista. L’ubriacatura per la fine di una dittatura rende la società barcollante e sfaldata. Chi aveva un lavoro lo perde, le pensioni non vengono più pagate, molte famiglie si sfaldano insieme a quel fragile equilibrio che le teneva insieme. Molti uomini si consolano con la vodka e le donne, da sempre surgelate in una retorica di regime che le vuole Madri della Patria, si ritrovano vite e anime lacerate dalla scelta su come andare avanti, come mantenere figli e genitori. Come galleggiare. Irina è tra queste. Dovrà lasciare il suo paese, verrà in Italia attraversando frontiere e l’abominio delle mafie che gestiscono quello che diventa un vero mercato dei corpi. Avrà la fortuna di trovare lavoro presso una famiglia che le darà, non solo uno stipendio da mandare a casa, ma uno spazio di relazione e una breccia per comprendere ciò che non aveva potuto comprendere nella sua vita precedente. Ma anche lei, come il suo paese, non saprà fare i conti con questa improvvisa tregua.
Stefania Nardini, come nel suo precedente La combattente, si dimostra assai attenta nel raccontare le donne, la loro infinita e spesso insondabile forza. E lo fa restituendoci una figura di donna, una madre, che fa quello che può, che sente di dovere fare. A costo di mettere i soldi davanti al cuore per ritrovarsi a fare i conti con una “sovieticità” da cui non riesce a liberarsi.
Sono pagine intense, spesso struggenti, in cui il destino di Irina e di tante altre donne, diventano l’emblema di un intero paese, di un’intera epoca, di un inciampo della storia che doveva portare a un nuovo equilibrio e che, invece, ha messo in luce storture e contradizioni. Il grigio e il freddo di alcune scene sono il grigio e il freddo che avvolgono chi legge senza però divenire stereotipi o clichè. Sono, queste, pagine con cui, almeno un poco, per lo spazio di un libro, dovremmo ricordare cosa c’è dietro quei visi di chi ha lasciato paese e affetti per prendersi cura degli affetti altrui.
Narrativa
Les Flaneurs
2023
155 p., brossura