Dire tanto in poco spazio. I racconti di Pierluigi Vito
Di Geraldine Meyer
La materia racconto non è facile da “maneggiare”. La forma breve, spesso, appare come una via facile, o meno complessa, di quella del romanzo. Non è così. E chi legge racconti lo sa bene. Perché questa forma deve condensare e dilatare, deve mettere in primo piano, nella macchina da presa della scrittura, e poi usare il campo lungo. E tutto, sempre, tenendo a mente il ritmo, la coerenza interna, lo stile, la credibilità del linguaggio rispetto ai personaggi. In poco spazio. Non semplice.
Pierluigi Vito, con questo suo Una pioggia di piccole stelle, dimostra di saperci fare con il racconto. E a colpire è quella voce, immutabile, che accompagna i racconti di questa raccolta sebbene i racconti stessi siano stati scritti nell’arco di quindici anni. “Brandelli di storie vere cuciti su trame immaginate per caso o inseguite con ostinazione”. Così li definisce l’autore stesso. Dandoci non solo l’indicazione di quanta ostinazione ci sia ma anche una prima chiave di lettura. Storie vere su trame immaginate. Perché l’immaginazione è un compimento della realtà, del vero.
E lo si comprende bene, fin da subito, con il primo racconto, Caigo tanto per fare un esempio. Il vero? La guerra in Ucraina e la storia di una donna, che sono tante donne, che ha lasciato il suo paese per venire a prendersi cura dei nostri anziani. L’immaginazione? La cornice di dialoghi, situazioni, immagini che contengono questa storia.
Pierluigi Vito, giornalista di Tv2000 e responsabile del Servizio di formazione Socio-Politica della Diocesi di Viterbo, si dichiara debitore verso molti scrittori, diversissimi tra loro, che ne hanno modulato la voce, appunto, quella di cui parlavamo all’inizio e che, seppure differente per ogni racconto, emerge però unica. Tra gli scrittori di cui Vito testimonia il debito troviamo Cerami, Carver, Munro, Morante, Fois, Mari e molti altri. Ma tra questi io ci ho trovato, e molto, il Thornton Wilder de Il ponte di San Luis Ray. Con quel misterioso, e spesso crudele, gioco di destino e destini. Quel confine sottilissimo tra la vita e la morte, tra un intento e il suo disfarsi prima di arrivare a compimento. Come nei due bellissimi racconti Il treno delle 20:35 e L’uomo della Lorraby&Steiner, pagine in cui la triste cronaca italiana e quella mondiale con la tragedia delle Torri Gemelle diventano il pretesto narrativo per dire quanto la vita è un attimo, una curva inaspettata, una coincidenza o, forse, un disegno più grande.
Di questi racconti resta impresso, anche, lo sguardo quasi di grazia e di misericordia di cui l’autore soffonde storie e personaggi. Uno sguardo compassionevole verso le fragilità dell’umano, del suo inciampare, cadere, cercare giustizia, come nel racconto che da il titolo alla raccolta. Di questo e altro parliamo con Pierluigi Vito
D Sono storie, quelle che racconti, che toccano temi “pesanti”, come la guerra, la morte, la paura, il destino. Come e da dove ti sono arrivate?
I temi che individui sono cruciali per ogni essere umano, oltre che per un narratore. Io ho sempre avuto della letteratura un’idea che guarda ben al di là del proprio ombelico (come invece purtroppo accade spesso in troppi libri di questi tempi). È stato per me naturale cercare sguardi e prospettive inusuali per arrivare a raccontare vicende che hanno segnato la nostra epoca o per descrivere sentimenti ed episodi che racchiudono significati profondi. Il modo in cui vi sono arrivato a volte ha sorpreso anche a me; e questa è stata la parte divertente del lavoro. Quello che volevo era comunque che i personaggi che creavo, le vicende in cui li catapultavo, avessero credibilità, che la loro voce al lettore giungesse chiara, anche se la storia che vivevano si metteva insieme un pezzetto alla volta.
D Pensi che la fede abbia un ruolo importante nello sguardo con cui accompagni i tuoi personaggi?
Su questo farei una premessa. Tra i miei riferimenti letterari che indico alla fine del libro c’è la Bibbia. Ecco, credo che, laicamente, dovremmo recuperare la potenza narrativa di un testo dalle voci e dagli stili così vari capace di attraversare i secoli e plasmare millenni di civiltà. Anche a prescindere dalla fede religiosa: si tratta di attingere a un patrimonio culturale straordinario, che – prima ancora di parlare di Dio – racconta ciò che è umano con una nettezza impareggiabile. La mia fede cristiana si alimenta principalmente dalla Scrittura, quindi con un modo di indagare la realtà – e di accostarsi alle pieghe di ciò che va oltre il visibile – che passa attraverso una narrazione epica, ricca di storie, colpi di scena, flussi di parole e personaggi che costituiscono un modello imprescindibile. La lezione per me resta quella di avere sempre un approccio conoscitivo e mai giudicante sulla vita e sulle azioni di ciascun individuo (reale o immaginario) che finisce nei miei libri. Perché una cosa essenziale che abbiamo dimenticato è che la chiave migliore per leggere la Bibbia non è mai quella moralistica, ma l’ottica esperienziale. La Bibbia, come la fede, funziona se non vi cerchi risposte, ma domande.
D Dire in poche pagine, questa è la difficoltà dei racconti. Che lavoro ti costringi a fare per dire tanto in poco spazio?
Arrivare all’essenziale, senza tanti giri di parole, ma scegliendo quelle giuste, in grado di generare emozioni e riflessioni nel lettore, è un impegno che, se riesce, è straordinariamente appagante. Per certi versi, sento la forma-racconto addirittura a me più congeniale rispetto a quella romanzesca. Eppure mi rendo conto che certe storie necessitano di un respiro lungo, che in una novella finirebbero sacrificate. Magari in futuro alternerò i due generi di scrittura…
D La letteratura è anche responsabilità civile. Possiamo dire, e se sì perché, che i tuoi racconti sono anche racconti di formazione alla responsabilità civile?
Può essere, ma se questo accade non è per un’intenzione manifesta. La narrativa “didattica” la sento a me aliena. Il primo impegno di uno scrittore, come suol dirsi, è quello di scrivere bene. Poi nelle sue opere può esserci puro divertimento oppure una forte carica civile; o magari tante cose insieme: l’importante è che il lettore si senta coinvolto, che trovi uno spunto capace di farlo fermare, vuoi per ridere, vuoi per riflettere, vuoi per piangere; che si imbatta in parole da citare in una conversazione, scene che gli restino in testa, personaggi con cui affratellarsi. Se questo accade, allora la letteratura ha un’influenza sulla vita delle persone; e se le aiuta ad approcciarsi alla realtà in maniera più libera, più critica, più generosa, allora si potrebbe dire che ha raggiunto uno scopo in più.
D Mi sembra che tra gli elementi dei tuoi racconti vi sia una grande capacità di ascolto. E, non a caso, la musica riveste una notevole importanza nelle tue pagine. Perché?
Ascoltare è una delle cose di cui sono più capace, prestare attenzione alle parole altrui mi è sempre piaciuto, mi pare una forma di cura per l’altro/a. Anche perché, salvo gravi menomazioni, è un’esperienza inevitabile; allora tanto vale darle importanza. Nel romanzo che ho appena terminato di scrivere, un mio personaggio riflette su come il silenzio assoluto non esista in natura, nella nostra esperienza. Il buio sì: se tappiamo ogni fonte di luce, o anche solo se strizziamo forte gli occhi, quando ci mettiamo a letto e aspettiamo di prendere sonno, il buio lo conosciamo. Ma la perdita di ogni suono è un’altra cosa. Gli occhi li possiamo chiudere con un semplice movimento delle palpebre, per le orecchie è impossibile. Ci puoi provare con le mani, con dei tappi, con delle cuffie, ma a quel punto sentirai qualcosa, fosse anche solo il fluire del tuo sangue, le pulsazioni che ti tengono in vita. Ascoltare è come respirare, è la nostra vita. E la musica ne fa parte: accompagna gli uomini e le donne da millenni e nella nostra epoca è sempre più pervasiva. Ciascuno di noi ha una discoteca in testa, dalle canzoni che hanno segnato passaggi delle nostre esistenze ai jingle delle pubblicità che ci rimangono nel cervello. La musica ci galleggia intorno e mi pare inverosimile che i miei personaggi non ne restino impigliati.
D Ultima domanda, forse banale. Perché in “Una pioggia di piccole stelle” è tanto presente proprio la musica di Fossati?
Ivano Fossati è il mio cantautore preferito, ne so a memoria la discografia e quasi tutti i testi. Forse per questo, mentre scrivevo i racconti capitava che mi tornasse in mente un suo verso, un pezzo di canzone. E alla fine mi è piaciuto questo gioco, così ho scelto che ogni racconto fosse introdotto da una citazione fossatiana, per creare un’atmosfera e introdurre il lettore nella storia; anche se poi non aveva alcun legame con la canzone originale, ma con quei pochi versi magari sì.
Frecce
Racconti
Augh
2023
166 p., brossura