Aguirre
Di Vladimir D’Amora
Anche questa prosa lirica è stata selezionata dal critico e saggista Piero Dal Bon (NdR)
In questa stanza di oggetti e cose, Dio, quel dio tanto mangiato, si è deciso, a ringraziare i suoi creati; con la scrittura di durezze vincibili al passaggio di percezioni oscure.
Alla lucente e scabra pulizia di un patto di coscienza chiedevo. Ed era la delicatezza.
Chiedevo alle tue luci in un vicolo senza respiro.
Ti difendevano immobili e cadenti accenti: nello spazio viaggiavano i fiori stanchi ma pieni di una voglia di una insoddisfazione esteriore; o era scorcio di spettacolo.
Questa torsione guardandoti rinascere nelle scorie di una storia stipendiata dalla confusione e dal sarcasmo, era Dio.
Nella stanza; ove si è insediato coprendo le posizioni di oggetti e cose, la questione scissa e semplice: se i gelatai s’incaricano di sciogliersi e resta maschera – o se nel tempo camminammo come discorsi ripiegati nella lietissima ottica e nelle improvvise salvazioni.
La questione.
Volevi un figlio.
Da Dio.
Nella stanza di Dio – ormai è la sua – ad Aguirre è solo come sbarrata, la gente siede a studiare e chiedere una connessione di moto.
E non si muore.