Il Grande Freddo di Davide Grittani
Di Geraldine Meyer
Quasi una sorta di Grande Freddo questo Il gregge, nuovo libro di Davide Grittani. Un Grande Freddo, però, in cui non è il desiderio di rivedersi quello che fa rincontrare un gruppo di ex compagni di scuola. Ma forse solo il caso, o un sottaciuto ricatto morale, legato ad una tragedia. Un Grande Freddo in cui, a prevalere, non è la malinconia che solitamente accompagna quei tardivi incontri in cui ci si ritrova invecchiati e cambiati. Qui c’è tutto il cinismo, il vuoto e la ferocia di chi, da simpatica banda di buffoni si è trasformato in razzista, vigliacco e, al netto di tutto, privo di etica.
La voce narrante, all’improvviso, vede un viso su un manifesto elettorale. Il viso, appunto, di uno di quei ex compagni di scuola, Matteo Migliore. Che già dal nome, e non solo, come scopriremo leggendo, ricorda un uomo politico nostrano che, del razzismo e della protervia ha fatto la sua cifra. Da quel momento la voce narrante si ritroverà a far parte del gruppo di persone incaricate di organizzare la campagna elettorale del Migliore. E si ritroverà, inaspettatamente, a affiancare i suoi passi, di nuovo, con quel gruppo di ex ragazzi. Fino a scoprire che uno di loro è morto e, soprattutto, a scoprire perché.
Davide Grittani con questo libro, che già dal titolo, ci evoca un malsano e informe raggruppamento, ci porta, senza sconti e pietà, in mezzo a quello che lui chiama “l’ultranulla” che ha inghiottito buona parte della società e della politica. Un nulla in cui la stessa democrazia rappresentativa si riduce a squallido teatrino di meschinità, interessi e spregio dell’umano. Ma ci costringe anche a fare i conti con una verità amara, che è quella della complicità di ciascuno. Ci siamo beati per anni con la favola di una società civile migliore della sua classe politica. Invece forse sarebbe arrivato il momento di ammettere (certo ci sono le eccezioni) che la classe politica è specchio e frutto della società stessa. Perché è da lì che pesca, da quel terreno fertile, causa ed e effetto del suo marciume. Che non si ferma neanche davanti a un delitto. Delitto che, in questo caso, diventa proprio il collante del gregge.
Eppure. Eppure qualcosa e qualcuno sembra salvarsi. Proprio la voce narrante che, man mano che la storia procede, avverte lo squallore e il buio. Comprende come, già quegli ex giovani, portavano in sé il germe del disamore, della cattiveria, di quell’apparentemente innocente “tiriamo a campare, galleggiamo” che ne ha fatto un gruppo di assassini. Anche quelli che, materialmente, a quella morte non hanno partecipato.
Chi ci racconta questa storia è l’unico che, di quella morte, non sapeva nulla. E di quel suo non sapere fa la corda a cui aggrapparsi per tirarsi fuori, a un certo punto, dal pantano inizialmente accettato. Qualcosa dentro di lui si rompe per ricomporsi su un’altra strada, un’altra possibilità. Divenendo testimone dell’amico morto e, in un certo senso, assumendosene l’eredità.
Un romanzo davvero duro, a tratti spietato, ma che ci dice molto di cosa, purtroppo, molti di noi sono diventati.
Specchi
Narrativa
Alter Ego
2024
214 p., brossura