Non è mai quel che sembra
Di Geraldine Meyer
Con questo bellissimo Quelli che pensavamo di conoscere, David Joy ci conduce nel cuore nero dell’America. Quel cuore che mai si è liberato dal suo peccato originale: il razzismo. E lo fa con un romanzo che si legge tutto d’un fiato, senza cedimenti per il lettore e senza che venga mai meno una tensione di sottofondo, come un rumore bianco. Che si avverte anche quando, apparentemente, non sta accadendo nulla. Perché, in effetti, accade sempre qualcosa. Anche sottotraccia.
Una piccola cittadina del sud degli Stati Uniti. Un pretesto geografico che ci dirà, in realtà, come il razzismo abbia, è vero, radici molto forti qui ma non sia prerogativa esclusiva di questa parte dell’America. Una sorta di catalizzatore letterario per parlarci di un fiume che scorre ovunque.
Una giovane ragazza arriva da Atlanta per trascorrere l’estate con sua nonna. Un progetto artistico ma non solo con cui la giovane vuole riportare alla memoria e alla coscienza un fatto che, anni prima, aveva coinvolto la comunità di colore. Quando un cimitero e la relativa chiesa furono spazzati via per fare posto a una università. In città arriva anche uno strano forestiero, brutto di viso e di intenzioni. Erede e testimone di un odio raziale che non conosce tempo. Nella sua agenda, numeri di telefono di persone importanti e influenti, nella cittadina ma non solo. A unirli, l’ombra inquietante del Ku Klux Klan.
Un poliziotto dalla postura etica non piegata ne piagata, verrà pestato fin quasi a morirne. Mentre a morire sarà la giovane ragazza. Uno sceriffo, vecchio amico di famiglia e una giovane detective indagheranno. Ma ciò che verrà portato alla luce sarà ben diverso da ciò che il lettore attende durante la lettura.
David Joy mette insieme un libro che, già dal titolo, ci allerta su quali sorprese ci si possa trovare ad affrontare quando ci si imbatte in una storia di razzismo. Incancrenita nei secoli, mescolata a tradizioni familiari in cui, a fare ancora più paura, è il razzismo che non sa di esserlo. Quando la peggiore complicità è quella del non vedere. O peggio, non riuscire davvero a vedere. Una violenza che diventa ancora più devastante quando assume i connotati di una subdola accettazione. O quelli di un vestito elegante che non ha bisogno di un lenzuolo bianco e di un bianco cappuccio. Due forme di razzismo che si sono passate il testimone e che continuano a scavare. Più in profondità quanto più superficiale sembra la loro azione.
Quelli che pensavamo di conoscere ha la struttura di un giallo ma un cuore narrativo che va al di là delle classificazioni. Arrivando quasi ad essere un libro di denuncia contro un male deflagrante che parte sempre da una “banalità del male”. Un libro scritto come ci si aspetta che sia scritta una storia americana, in cui i dialoghi, i gesti e le situazioni sono quelle viste mille volte in film o serie tv. Eppure questo, invece di diventare un clichè, qui diventa un inevitabile e lucidissimo modo di raccontare. Come se non potesse esserci altro modo e altro stile. Le azioni predominano sui pensieri dei personaggi e, così facendo, gettano il lettore in una sorta di presa diretta, immediata. E questo è, sicuramente, uno dei punti di forza di questo testo. Si arriva alla fine tramortiti senza quasi essersi resi conto che, per tutte le pagine, qualcosa ci ha colpito nel cuore.
Letteratura americana
Jimenez
2024
368 p., brossura