Il fenomeno delle metamorfosi nella letteratura: da Omero alla Rowling, passando per Apuleio, Dante, Pasolini e Kafka
D Riccardo Renzi[1]
Il fenomeno della metamorfosi sin dall’alba dei tempi ha sempre attratto profondamente l’uomo. Il termine derivante dalla parola greca μεταμόρϕωσις composta da μετα- «meta-» e μορϕή «forma», sta a significare proprio mutare la forma, trasformarsi. Tale termine è profondamente legato sia al folkolre che alla storia della letteratura. L’opera più famosa legata a tale termine sono proprio le Metamorfosi di Lucio Apuleio[2], in XI libi. L’opera assieme al Satyricon di Petronio e Storia di Apollonio re di Tiro di autore ignoto, costituisce uno dei soli tre romanzi dell’antichità[3]. Apuleio, nato attorno al 125 a Madaura in Nord Africa, visse il periodo d’oro della seconda sofistica, quando per ottenere la fama servivano cultura letteraria e abilità oratoria. Da una parte, l’attività letteraria e retorica di Apuleio si inquadra così bene nel panorama della sofistica greca a lui contemporanea che si è di recente adottata per lui la definizione di “sofista latino”; dall’altra, vi sono anche notevoli ed evidenti legami con la cultura letteraria latina. Egli veniva dalla stessa élite culturale della quale facevano parte Frontone e Aulo Gellio, inoltre era nutrito di culti misterici e folklore popolare[4]. L’opera di Apuleio ebbe un’enorme fortuna già a partire dall’antichità e Sant’Agostino così la ricorda in La città di Dio, 18, 8, 1: «Anche Apuleio, nei libri che intitolò L’asino d’oro, rivelò o immaginò che a sé stesso fosse accaduto, per aver assunto un veleno, di diventare un asino pur restando in lui l’animo umano». Dal Santo cristiano viene immediatamente messo in luce il focus dell’opera, cioè la metamorfosi del protagonista e il fatto che, pur essendo diventato un asino, il suo carattere/animo resta umano. Prendiamo ora il passo latino della metamorfosi:
«Haec identidem adseverans summa cum trepidatione inrepit cubiculum et pyxidem depromit arcula. Quam ego amplexus ac deosculatus prius utque mihi prosperis faveret volatibus deprecatus abiectis propere laciniis totis avide manus immersi et haurito plusculo uncto corporis mei membra perfricui. Iamque alternis conatibus libratis brachiis in avem similis gestiebam; nec ullae plumulae nec usquam pinnulae, sed plane pili mei crassantur in setas et cutis tenella duratur in corium et in extimis palmulis perdito numero toti digiti coguntur in singulas ungulas et de spinae meae termino grandis cauda procedit. Iam facies enormis et os prolixum et nares hiantes et labiae pendulae; sic et aures inmodicis horripilant auctibus. Nec ullum miserae reformationis video solacium, nisi quod mihi iam nequeunti tenere Photidem natura crescebat»[5]. Come si evince dal testo, l’autore pone tutta l’attenzione nelle mutazioni fisiche del protagonista, il quale le narra in prima persona. Nessun riferimento viene fatto a come ora il protagonista vede e percepisce il mondo attorno a sé. Sicuramente quella narrata da Apuleio è una delle metamorfosi più celebri dell’antichità, ma non di sicuro la prima. Se ci rivolgessimo alla letteratura greca, non può non venirci in mente il celebre passo dell’Odissea nel quale i compagni di Odisseo vengono trasformati in porci dalla maga Circe: «Μιαν δε ναυν εχων Αιαιη νησω προσισχει Ὀδυσσευς. Ταυτην κατωκει Κιρκη, θυγατηρ Ήλιου και Περσης, Αιητου δε αδελφη, παντων εμπειρος ουσα φαρμακων. Διαιρει τους εταιρους και αυτος μεν κληρω μενει παρα τη νηι, Ευρυλοχος δε πορευεται μεθ εταιρων εικσσιδυο τον αριθμον προς Κιρκην. Καλουσης δε αυτης, χωρις Ευρυλοχου παντες εισερχονται. Ἡ δ’ εκαστω κυκεωνα παρεχει τυρου και μελιτος και αλφιτων και οινου μεστον, και μιγνυει φαρμακω. Πιοντων αυτων, εφαπτομενη ραβδω τας μοφας ηλλοιου, και τους μεν εποιει λυκους, τους δε συς, τους δε ονους, τους δε λεοντας. Ευρυλοχος ταυτα ορων Ὀδυσσει απαγγελλει»[6].
Anche nel caso dell’Odissea tutta l’attenzione del lettore si va a focalizzare sulle mutazioni fisiche dei compagni di Odisseo e non sulla loro percezione del mondo circostante. L’opera dell’antichità che sicuramente racchiude più storie legate al fenomeno della metamorfosi è sicuramente l’omonima opera di Ovidio[7]. L’opera è stata realizzata tra il 2 e l’8 d.C. ed è strutturata in XV libri, i quali contengono più di duecentocinquanta miti e leggende legate al fenomeno della metamorfosi. Le Metamorfosi di Ovidio (che, dopo l’Ars amatoria e le Heroides, costituiscono il testo della maturità del poeta) si presentano come un’opera raffinata e colta, che attinge ad una sterminata cultura mitologica e letteraria (in primis, l’Iliade e l’Odissea) e si ispira alla poetica alessandrina, dagli Aitia di Callimaco (310 ca. a.C. – 240 ca. a.C.) alla poesia didascalica e mitologica, dalle Mutazioni di Nicando di Colofone (II secolo a.C.) alle Metamorfosi di Partenio di Nicea (I secolo a.C.), ai Catasterismi di Eratostene di Cirene (275 ca. a.C. – 195 ca. a.C.) all’Origine degli uccelli (Ornithogonia) di Emilio Macro (I secolo a.C.)[8]. Il termine principale di confronto letterario è tuttavia l’Eneide di Virgilio: al poema della fondazione mitica della gens Iulia Ovidio contrappone la mutevolezza e l’eterno divenire della metamorfosi e della fusione di umano e divino, di Storia e mito.
Giungendo al Medioevo, c’è da dire che neanche la Commedia dantesca risulta essere scevra del fenomeno metamorfico. Nell’Inferno alcuni dannati sono visti nella perdita delle fattezze umane provocata dalla degradazione del peccato e della dannazione, e così sono metamorfosati in piante o animali. Una fra le più spettacolari metamorfosi infernali è quella dei suicidi (Inferno, XIII), privati dell’aspetto umano e trasformati in alberi dai rami “nodosi e ’nvolti”, mentre le loro fronde “di color fosco” sono straziate dalle “brutte Arpie”, esseri mostruosi dal volto di fanciulle e corpo di uccello rapace, provenienti dall’Eneide virgiliana, come molti dei mostri dell’inferno dantesco, nei quali la mostruosità sembra nascere da una metamorfosi bloccata, in cui il passaggio da una natura all’altra è come interrotto per sempre a metà, rendendo le due nature inconciliabili eternamente compresenti. Si pensi, oltre alle Arpie, ai Centauri, al Minotauro, a Gerione[9]. Procedendo cronologicamente nella nostra rassegna e andando a saltare, almeno in questa sede, le metamorfosi legate al folklore dell’età moderna, non possiamo non ricordare quella di Carlo, protagonista di Petrolio di Pasolini. Carlo una sera subisce una transizione da uomo a donna, ma qui l’autore sposta tutta l’attenzione non sulla nuova prospettiva con cui il protagonista osserva il mondo, ma su quella con sé stesso mutato di sesso. Tutta l’attenzione è spostata sul corpo e non sullo spazio come in Kafka: «Cosi Carlo osservava, ai suoi piedi, il proprio corpo supino: ecco il suo viso pallido, quasi bianco o giallastro di adenoideo, la fronte di persona intelligente e ostinata sotto i capelli lisci e incolori, che, nella sgradevole circostanza, si erano un po’ scomposti, in modo ridicolo, ecco gli occhi tondi e cerchiati, che, non protetti dagli occhiali (che nella caduta si erano sfilati dal naso, e giacevano li accanto, con le loro sottili stanghette di metallo) parevano denudati e troppo espressivi; la pelle tirata del viso lungo e liscio»[10]. Ancora una volta come tutti i casi presi in esame precedentemente l’attenzione è posta sul fisico e sulla corporalità del protagonista che mutano la loro forma.
Giungendo invece ai primi anni duemila, non possiamo non menzionare l’opera della Rowling, Harry Potter. La scrittrice britannica per la costruzione dei suoi personaggi, come da lei stessa affermato, molto è debitrice al mondo classico. Il libro che contiene il maggior numero di metamorfosi/trasformazioni è certamente il III, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban[11]. Qui i personaggi ad essere sottoposti a metamorfosi sono ben quattro: Lupin che al chiarore di luna piena si trasforma in lupo mannaro; Sirius Black, che volontariamente può mutarsi in cane nero, Peter Minus, il quale dalla morte dei Potter mediante un incantesimo si è trasformato in ratto; il Molliccio, un essere mutaforma che diviene ciò che a chi gli sta più vicino fa paura. Soffermiamoci ora proprio su quest’ultimo. Proviamo a lasciare la parola per un attimo allo stesso professor Lupin, dal romanzo Harry Potter e il prigioniero di Azkaban nella traduzione in italiano di Beatrice Masini, Salani Editore (il film, il mio preferito, è del 2004, per la regia di Alfonso Cuarón). L’insegnante è in piedi di fronte ai suoi alunni, tutti raggruppati in fondo all’aula, dove si trova un vecchio armadio apparentemente abbandonato. Ma ecco che l’armadio si mette a oscillare e a sbattere contro il muro. I ragazzi si ritraggono spaventati e subito vengono rassicurati dall’insegnante che spiega che lì dentro è rinchiuso un Molliccio.
«(…) il Molliccio che sta lì al buio non ha ancora assunto una forma. Non sa ancora che cosa spaventerà la persona dall’altra parte della porta. Nessuno sa che aspetto ha un Molliccio quando è solo, ma quando lo farò uscire, diventerà immediatamente ciò di cui ciascuno di noi ha più paura. Questo significa,» disse il professor Lupin, ben deciso a ignorare il farfugliare terrorizzato di Neville, «che abbiamo un grosso vantaggio sul Molliccio prima di cominciare. Hai capito quale, Harry?».
Cercare di rispondere a una domanda con Hermione al fianco che saltellava da un piede all’altro, la mano per aria, era piuttosto spiazzante, ma Harry ci provò.
«Ehm… forse… siccome siamo in tanti, lui non sa che forma prendere? »
«Precisamente» disse il professor Lupin, e Hermione abbassò il braccio, un po’ delusa. «È sempre meglio avere compagnia quando si ha a che fare con un Molliccio. Così lo si confonde. Che cosa diventerà, un cadavere senza testa o una lumaca carnivora? Una volta ho visto un Molliccio commettere l’errore di cercare di spaventare due persone contemporaneamente. Alla fine si è trasformato in mezza lumaca. Nemmeno lontanamente spaventoso»[12].
Anche in questo caso, come tutti i casi di letteratura presi in esame, l’attenzione è posta sull’aspetto esteriore, meramente estetico. Dunque, che c’entra in tutto questo Kafka e dove risiede il suo essere innovativo, anche rispetto ai posteri? La sperimentazione letteraria, nello scrittore praghese è intesa sempre come processo di deformazione o rarefazione del mondo, così come è conosciuto e concepito. Tutto ciò si riflette pienamente nell’espansione o nella riduzione dello spazio psicofisico dei personaggi. A tal proposito si pensi al racconto Una relazione per un’accademia[13], ove i protagonisti sono degli animali che subiscono una mutazione in quasi-uomini. La particolarità di tale racconto, come altri dei medesimi anni[14], è che il processo metamorfico non viene mai descritto, ma rimane nell’ombra ed è taciuto. Dunque, la metamorfosi, in questo primo approccio narrativo rimane enigmaticamente oscura. La vertigine qui è data dal fatto che non esistono più confini tra uomo e animale[15], e contemporaneamente vengono trasferite al lettore tutte le sensazioni percettive di colui che ha mutato la propria forma. Il focus non si pone più sul corpo e sulla sua mutazione, ma sulla psiche e la sua nuova condizione prospettica di percezione della realtà. La metamorfosi costituisce una via di fuga certa per l’uomo che è costantemente schiacciato da una realtà scandita da leggi. Incomprensibile e assurda appare a Kafka la vicenda dell’uomo: questa è certo dominata da una legge, ma proprio dal fatto che all’uomo non è dato conoscerla deriva la dimensione di assurdo e tragedia nel quale esso e costantemente immerso, e l’unica via di fuga/salvezza è costituita proprio dalla metamorfosi in altro, in qualcosa che sia altro da sé. Ma andando a mutare il proprio corpo, automaticamente muta anche la prospettiva con la quale si osserva la realtà ed è proprio su tale punto che Kafka pone il suo essere innovativo. Ma dove lo scrittore praghese è andato a prendere spunto per le sue innovazioni fisico-spaziali e psicologiche? Già Wagenbach, seguendo pedissequamente gli studi di Max Brod, rileva che il giovane Franz frequenta il salotto di Berta Sohr Fanta[16]. «Qui tenevano incontri e conferenze le menti più vivaci dell’epoca: dal matematico Gerhard Kowalewski (1876-1950) a Philipp Frank (1884-1966), fisico e insigne rappresentante del Circolo di Vienna. Allievo del grande Ludwig Boltzmann Frank succede ad Einstein alla cattedra di Fisica teorica dell’Università Carolina di Praga, al-lorché quest’ultimo torna, dopo poco più di un anno, a Zurigo per assumere la docenza all’ETH a partire dall’autunno 1912»[17]. Pochissime sono le testimonianze che collegano Kafka a Einstein, ma naturalmente è innegabile che lo scrittore praghese sia entrato in contatto con le sue teorie nei vari salotti che frequentava, così pure con le teorie innovative sulla psicanalisi di Freud. Anche se Kafka inizialmente criticò la parte terapeutica della psicoanalisi[18], da subito egli si mostrò purtuttavia consapevole del fatto che le analisi e gli studi di Freud erano in grado di fornire alla sua epoca un commento tanto indispensabile quanto lo fu quello di Rashi de Troyes per la trasmissione della torah (NSF II526-530). Dunque, l’innovazione narrativa kafkiana è spinta contemporaneamente su due fronti: da una parte quello fisico-spaziale forte delle nuove teorie di Einstein e dall’altra quello psicologico e della psicoanalisi che si basò sulle teorie freudiane.
A cento anni dalla morte dello scrittore praghese possiamo affermare con certezza che la sua scrittura fu del tutto innovativa, in grado di generare vertigine nel lettore, fu così innovativa da restare rivoluzionaria anche per i posteri.
[1] Istruttore direttivo della Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.
[2] Lucio Apulèio Madaurense (in latino: Lucius Apuleius Madaurensis oppure Lucius Appuleius Madaurensis; Madaura, 125 circa – Cartagine, post 170), meglio conosciuto semplicemente come Apuleio, è stato uno scrittore, filosofo e retore romano. Autore poliedrico, compose molte opere di vario argomento delle quali ci sono pervenute: l’Apologia (Difesa) o la Pro se de magia liber (Libro sulla magia a favore di se stesso), prima opera retorica, è l’orazione tenuta per discolparsi dall’accusa di magia nel processo di Sabrata; i Florida, seconda opera retorica, sono una raccolta di ventitré brani oratori sui temi più disparati; le Metamorfosi (Metamorphoseon libri XI), note anche come L’asino d’oro (Asinus aureus), un romanzo che racconta le ridicole avventure di un certo Lucio, che sperimenta con la magia e viene accidentalmente trasformato in un asino; e tre trattati filosofici: il De deo Socratis (Il demone di Socrate), un trattatello di demonologia, in cui si distinguono più classi di dèmoni, spiriti che per natura stanno in mezzo tra gli dèi e gli uomini; il De mundo (L’universo), rifacimento piuttosto che una traduzione di uno scritto omonimo attribuito falsamente ad Aristotele; e il De Platone et eius dogmate (Platone e la sua dottrina), un’introduzione esegetica alla filosofia di Platone. Ad Apuleio viene attribuito un prenomen, Lucius, ma molto probabilmente questi gli è stato affibbiato per il fatto che l’autore viene identificato con il protagonista del suo romanzo, Lucio appunto. L’appellativo di Madaurensis, invece, deriva dalla sua città natale, Madaura (attuale Mdauruch, in Algeria).
Su Apuleio si veda: G. F. Gianotti, Rileggendo Petronio e Apuleio, Canterano, Aracne, 2020. [3] L. Graverini, W. Keulen, A. Barchiesi, Il romanzo antico. Forme, testi, problemi, Roma, Carocci, 2010, pp. 91-94.
[4] Ivi., p. 148.
[5] L. Apuleio, L’Asino d’oro o Le metamorfosi, Milano, Bur Rizzoli, 1992, p. 93: «Assicurando ciò più volte, con grande trepidazione entra piano piano nella camera da letto ed estrae il vasetto dallo scrigno. Strettolo al petto e baciatolo e supplicato affinchè mi favorisse con voli felici, gettati a terra in fretta tutti i vestiti, immersi avidamente le mani e, preso un bel po’ d’unguento, mi frizionai le membra del mio corpo. E poi mi abbandonavo a sforzi alterni, bilanciate le braccia, simile ad un uccello; né piume né penne, ma i miei peli si ispessiscono del tutto come setole e la pelle delicata si indurisce come il cuoio e alle palme estreme, perso il numero, tutte le dita si riuniscono in un’unica unghia e dalla terminazione della mia colonna vertebrale spunta una grande coda. E poi, una faccia enorme, una bocca ampia, narici spalancate e labbra pendule; allo stesso tempo le orecchie, smisuratamente cresciute, hanno il pelo dritto. E nulla della miserabile trasformazione noto come conforto, se non che l’organo genitale era cresciuto non potendo, però, più avere Fotide tra le braccia».
[6] Omero, Odissea, a cura di Pierdomenico Baccalario, Milano, RCS MediaGroup, 2022: «Odisseo sbarca con una sola nave sull’ isola Eea. (La) abitava Circe, figlia del Sole e di Perseide, sorella di Eeta, che era esperta di ogni genere di veleno. (Odisseo) divide a sorte i (suoi) compagni e lui stesso resta presso la nave, mentre Euriloco parte con un numero di ventidue compagni per andare da Circe vendoli lei chiamati, tutti entrano eccetto Euriloco. Costei offre a ciascuno un miscuglio di formaggio, di miele e d’orzo e pieno di vino, e lo rimescola con il veleno. Mentre bevevano, il loro aspetto cambiava toccandoli con una bacchetta, e alcuni li rendeva lupi, altri maiali, altri ancora asini, altri leoni. Euriloco, vedendo queste cose, le racconta ad Odisseo».
[7] A. Patrioli – D. Catalli, Le metamorfosi di Ovidio, Milano, L’Ippocampo, 2023.
[8] Macro sarà citato da Quintiliano nell’Institutio oratoria come poeta dallo stile facile, contrapposto alla difficoltà stilsitica di Lucrezio.
[9] R. Renzi, Cinque saggi per l’Alighieri. La modernità di Dante a 700 anni dalla morte, Padova, Primiceri, 2023, p. 24.
[10] P. P. Pasolini, Petrolio, Milano, Mondadori, 2012, p. 12.
[11] J. K. Rowling, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, illustrazioni di Serena Riglietti ; traduzione di Beatrice Masini, Milano, Salani Editore, 2002.
[12] Ibidem.
[13] F. Kafka, Una relazione per un’accademia, introduzione di Micaela Latini, traduzione di Ginevra Quadrio Curzio, Milano, La vita felice, 2022.
[14] In tale sede si pensi anche al racconto La tana, dove i protagonisti sono ridotti a mere astrazioni.
[15] W. Benjamin, Angelus novus: saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, p. 33: «si possono leggere per un buon tratto le storie di animali di Kafka senza avvertire che non si tratta di uomini».
[16] Sul Circolo Fanta e le relazioni che Kafka vi intrattenne si veda, tra gli altri, Binder, al quale si rifà anche Stach (569, nota 16). Nella Sezione Kafka und seine Zeitsolo un accenno ad Einstein in Schmitz-Emans (35); lo stesso in Engel; Auerochs (12). Stach si limita a menzionare il nome di Einstein a Praga e in casa Fanta (466-67 e 569note). Pure Alt, che ben coglie e riassume la temperie culturale nella qua-le si muove lo scrittore insieme agli amici del Louvre e dei circoli praghesi, sottolinea la passione di Kafka per il cinematografo con riferimento a Nietzsche limitando la presenza di Einstein al quadro culturale dell’epoca (138-40; 695note; 216-18e700note). Su Kafka e Einstein si veda, già nel 1976, Kuna; per il tema della Legge Pesic.Su Kafka, cinema e MQ si veda Scheidegger. Debbo quest’ultima segnalazione al Professor Karlheinz Fingerhut che qui espressamente ringrazio; parimenti ringrazio il Dottor Manuel Scheidegger per avermi fatto leggere il suo saggio.
[17] R. Maletta, Franz Kafka: la letteratura tra serie complementare freu-diana e meccanica quantistica, in Enthymema, XXII, n. 65, 2018, p. 3.
[18] Si veda il frammento di lettera a Milena (NSF II, 341-42, databile al novembre 1920: NSF II -Appa-ratband, 84 ss) nonché la missiva del novembre 1920 (Briefe an Milena292-93). Una rassegna delle dif-ferenti metodologie interpretative atta a cogliere la peculiarità della psicoanalisi nella scrittura di Kafka è Schenk, (129-42, specialmente 133-34). Schenk individua l’efficacia di una lettura psicoanalitica non già nella classificazione dei complessi e dei sintomi dei personaggi e/o delle situazioni bensì nelle pro-cedure inerenti all’atto di scrittura. Su Kafka e i suoi rapporti con psicologia e psicoanalisi si veda Duttlinger (in particolare 216-24 e passim).
In copertina Pablo Picasso, Nudo sdraiato