Rupert Brooke. Lo splendore delle ombre
Di Rossella Pretto
È una processione.
Campane a morto.
No, non sai se ci sono le campane. È molto probabile di no.
Sicuramente non ci sono. Ma sì, è morto il ragazzo, l’Adone inglese dal destino breve, «un angelo dallo sguardo di cristallo e il fisico di un dio greco, il carattere in apparenza alla mano e sereno, che iniziava a sprigionare le prime faville dello charme e dello spirito autoironico che dovevano entrare nella leggenda». Così lo descrive Paola Tonussi nel libro in cui traccia la vita e l’allure di Rupert Brooke. Lo splendore delle ombre (Edizioni Ares, 2024, pp. 354, euro 24,80).
Tonussi, brava anglista, ti trascina da subito a rimirare la parabola esistenziale di Brooke grazie alla dedizione verso il giovane poeta già affrontato nel volume dei War Poets del 2022 (sempre per le Edizioni Ares), dove raccoglieva le poesie di quella generazione sotto le bombe.
In questo nuovissimo invito alla lettura, invece, aprono, in epigrafe, i versi di Wilfred Owen: «E subito il Cielo tutto avvampò / Con furia contro di loro, la terra porse subite coppe / A migliaia al loro sangue…». Ragazzi perduti sull’amaro orizzonte del fronte occidentale, nella guerra, la prima, terribile, mondiale, che ha sterminato giovani a milioni. I loro corpi hanno concimato l’Europa. Ecco perché, secondo Eliot, i cadaveri piantati nei giardini potranno cominciare a germogliare. Forse. Se i cani saranno tenuti alla larga – ché non scavino, per carità, ché non li dissotterrino. Rupert Brooke diventa l’emblema di quei fiori recisi dalla brutalità del conflitto.
Circa un mese prima della morte, una delle sue poesie più celebri fu citata dal «Times Literary Supplement» e letta dal diacono della Cattedrale di St. Paul, la domenica di Pasqua. Si trattava de “Il soldato”, straziante e limpida.
Se dovessi morire, pensate solo questo di me:
C’è un angolo di un campo straniero
Che sarà per sempre Inghilterra. Ci sarà
In quella ricca terra una più ricca polvere nascosta;
Una polvere che l’Inghilterra ha generato, formato, reso cosciente,
A cui ha dato, un tempo, i suoi fiori da amare, i suoi sentieri in cui vagare,
Un corpo d’Inghilterra, che respira aria inglese,
Lavato dai fiumi, benedetto dai soli di casa.
E pensate che questo cuore, bandito da sé ogni male,
Un palpito nella mente eterna, in quell’altrove
Renderà i pensieri ricevuti dall’Inghilterra in dono;
Visioni e suoni, sogni felici come il suo giorno;
E la risata, dagli amici appresa; e la dolcezza,
Di cuori in pace, sotto un cielo inglese.
Tonussi affascina il lettore e se lo porta appresso. Ti porta con lei. E ti racconta fin dall’inizio una morte che sembra un’apoteosi. Lo sarà. Perché apre su uno scenario di incanto, dove i sensi, iper-sollecitati, sono indotti ad arrendersi a una visione dove la morte non ha più dominio, a dirla con Dylan Thomas.
Siamo al largo di Sciro, mar Egeo, su una barca alla fonda con le ultime luci del giorno che vanno spengendosi. Qualche bagliore si ribella e ancora divampa, ma poi lascia posto al fosforo della notte guidato dalla luna.
Perché è notte.
E non si crederebbe possibile seppellire qualcuno al buio vagando per un’isola invasa dai profumi. «Tutto intorno, salvia selvatica blu-grigia e timo emanano un profumo come misto di pepe e incenso».
Siamo in una radura tra gli ulivi. La processione. Il picchetto d’onore.
Ma non è stata la guerra a ucciderlo.
L’avvenente poeta ha contratto un’infezione degenerata in setticemia. È il 23 aprile 1915. «L’eternità si è spalancata in una radura sulla collina: la tomba coperta di pietre chiare è una vertigine di solitudine. Remoto, assente, il mare che circonda l’isola riluce alla luna».
È così che Tonussi ti porta per mano.
E da qui riavvolge il nastro.
Si ricomincia daccapo: da Rugby, suo paese natale, che l’anglista descrive con rapidi tocchi e precisi. La vita del ragazzo si srotola tra scuola e natura. Sarà grande amante di fiori e giardini. Lui che è stato ricordato come poeta di guerra, è invece (secondo Tonussi) tutto in quelle accensioni liriche, nello sguardo che accarezza le minime cose, la dolcezza del paesaggio.
L’esistenza prosegue, rincorre gli eventi, le folgorazioni e le noie. «Intelligente e sensibile ma fragile, delicato d’aspetto come una bambina, il ragazzo nascondeva in sé un labirinto interiore».
Si palesa l’abilità nello scrivere. Le amicizie si fanno e disfano. Tra queste, l’incontro con Virginia Woolf (all’epoca Stephen) a St. Ives, in Cornovaglia (La gita al faro), la frequentazione degli Strachey, dei Keynes. E poi l’amore per il teatro, per gli elisabettiani, per Marlowe. E ancora, i viaggi, l’estenuazione, l’amore per Noel e poi quello per Ka e poi, e poi, e poi, canta una canzone. E poi la poesia e la provvisorietà dell’istante, fulcro di tutto.
Ti chiedi se sia una sofferenza anticipata, come quella del veggente, di Tiresia, che prevede il suo essere creatura d’un sol giorno. Risponde (lo fa?) la poesia “Tè in salotto”, quella meraviglia:
Quando tu eri lì, e poi tu, e anche tu,
La felicità ha coronato la notte; anch’io,
Ridendo e guardando, nel gruppo,
Ho visto la luce della lampada tremare e cadere
Sul piatto, i fiori e il tè versato,
La tazza e la tovaglia; e insieme
Abbiamo lanciato in aria la danza degli istanti…
Lo chiamavano “Donne redivivo”, quel poeta bello che cantava l’attimo e vi affondava.
La prima (e unica, fortunatissima) raccolta poetica uscirà il 4 dicembre 1911.
Ma la stanchezza, che stanchezza…
È un libro pieno di amore e di dolcezza. Languido e innamorato. Una lettura che sbozza un ritratto dettagliato che tenta di imbrigliare la vita luminosa di Rupert Brooke.
Ma lampi corruschi già stracciano la tela nera della notte.
È Marte che si affaccia a guardare giù nel mondo perdendo vite. Anche la sua…
Profili
Saggistica letteraria
Ares
2024
376 p., brossura