Il rumore della solitudine
Di Geraldine Meyer
Se qualcuno non ci avesse già pensato, questo libro di Nicola Moncada, avrebbe potuto intitolarsi L’invenzione della solitudine. Invece l’editore viterbese Sette Città porta in libreria, coraggiosamente, Il motivo di Vera. Perché coraggiosamente? Perché non è un libro semplice, consolatorio. Gravido di buio, pioggia, case vuote e fredde, strade di città battute dal vento e un mare quasi sempre nero, agitato, scompigliato. Insomma, una cornice che molto assomiglia al protagonista, Goffredo. Un uomo di cinquant’anni, solo, di quella solitudine che quasi disturba perché, viene il sospetto, sia più voluta che “accaduta”. Eppure. Eppure, come talvolta capita quando si decide di abbracciare con sguardo diverso anche l’angoscia raccontata, si scopre che proprio dove è più buio si possono scorgere piccole luci. Vita dove sembra non essercene.
Goffredo resta orfano già adulto. Eppure la morte della madre non gli apparirà come qualcosa nella natura delle cose. La morte di una madre non lo è mai, a qualunque età ci arrivi addosso. Cambia città. Come il Giobbe di Roth penserà che sotto un altro cielo sia possibile un’altra vita. E, almeno in parte, sarà così.
Una sera, nella villa davanti al suo studio, quello che sembra solo un sacco verrà scaricato da una macchina. Non è un sacco ma una giovane donna, in fin di vita per un’overdose. Da lì comincerà qualcosa, fuori e dentro la vita di Goffredo. Ma Vera non sarà l’unica donna ad aprire, anche se lui non lo sa (o non vuole saperlo) un piccolo squarcio. La umbratile e talvolta spigolosa Elisa sarà comunque una vicinanza, una relazione. Anche se Goffredo sembra non riuscire a vivere in un modo diverso dal costeggiare la vita. Però, seppure a fatica e quasi girando in tondo, non potrà evitare di porsi domande, di lasciarsi disturbare. La vita si rifiuta di essere quella comfort zone dentro la quale cullare il vittimismo. E Goffredo continua a vivere. Anche defilato.
In un ritmico passare da sogni a veglie, al punto da non riuscire, talvolta, a distinguere le due cose, quella che ci viene raccontata è la storia di possibili riscatti mancati ma, forse proprio per questo, testimoni di qualcosa di indistruttibile: la vita stessa. Tanto che anche quando per Goffredo calerà il sipario, sarà proprio il sapere e l’immaginare Elisa diventata mamma a donargli (anche se il figlio non è suo) la consapevolezza di essere comunque immerso in un flusso che non si arresta mai.
E non è un caso che siano proprio due donne, così diverse e unite da un legame non chiarito, a essere scelte per rappresentare una sorta di catalizzatore, quella sostanza che non crea un fenomeno nuovo ma ne accelera il processo. Processo che, di nuovo, è la vita. E noi seguiamo Goffredo nel suo vagare, dentro e fuori di lui, scendere e salire da un tram, camminare, fermarsi e ripartire, con il suo zainetto di angoscia che, paradossalmente, non sconfina mai nella disperazione. Perché non è vero che una vita “storta” non abbia la sua sublime bellezza.
Narrativa
Sette Città
2024
397 p., brossura