Paul Auster. La letteratura che non muore
Di Marcello China
Un grande scrittore ci ha lasciati. L’inventore di Moon Palace, Trilogia di New York, del Leviatano, de La musica del caso, di Follie di Brooklyn, un uomo casto e di sinistra cui strinsi a lungo la mano a Massenzio dopo il suo recital fissandoci enigmaticamente negli occhi. Subito afferrai che Paul era un sensitivo, uno che pretendeva di capire l’animo umano dal contatto degli occhi e una stretta di mano calorica. Dovrò leggere la sua ultima fatica, Baumgartner.
Paul Auster rappresenterà nella letteratura americana contemporanea una specie del tutto peculiare della figura dello scrittore delle frontiere, quello però che procede nella narrazione a scatole cinesi, un enigma che ruota nel cerchio motore di un labirinto che non ha uscita se non la stessa entrata, che fa dell’incredulità il nervo centrale di storie in apparenza lineari. Perché tutto questo? Questo ansimare di ricerca? In un profluvio di segni che invece di irraggiare la scena infittisce il senso di una Oscurità già indefettibile? Da qui l’esistenzialismo di fondo di Auster, vi si legge Sartre del Muro e de La Nausea, vi si intravvede lo stesso S. Kierkegaard, Albert Camus, questa irrisolvibilitá dell’Enigma che è vivere e morire, l’angoscia di girare a vuoto. Da qui viene spontaneo definire Auster come uno scrittore della distonia dell’individuo, del suo apogeo della Crisi per cui sarà messo in gioco, da cui si diparte esplorazione dell’altro da sé e del Mondo ma a differenza che in Kafka dove la dispersione diventa sintattica logica a fronte della limacciosa natura delle vere potenze un atto, in Auster il percorso si chiarirà in un’introspezione diluviale che ne disperderà il senso stesso della ricerca,
‘Non è una decisione cosciente: le storie prendono forma da sole nella mia mente, non so mai davvero da dove provengono, premono per uscire e quasi mi costringono a essere scritte… Non c’è altra spiegazione che sia in grado di dare’.
In Moon Palace il suo capolavoro, il senso dell’irrisolto che diviene irresolubile avviene anche se si è appena salvato dall’inedia e dalla morte, non è altro che un cercatore d’oro dove l’oro non ha mai attecchito, un affabulatore cercatore di tesori indiani nel West, un prestigiatore che non esita al trucco, alla rapidità sorniona con cui le mani rimescolano le carte in un ordine stabilito, al l’abilità narrativa con cui ogni storia che è autobiografica si disperderà come un nugolo di polvere alla brezza che preannuncia la Primavera, l’Ebreo errante che escogita tutto pur di sopravvivere come entità a sé, ma qui raccontandosi, spesso impietosamente.
La mente umana per Auster è terrorizzata dal vuoto, “di conseguenza, mette subito a disposizione, da sola, tutti i dettagli mancanti. È questo coinvolgimento, dello spettatore o del lettore, a favorire la strutturazione della storia e a completare il lavoro del narratore. Più si ha la possibilità di eludere, migliore sarà la storia. Dicendo troppe cose, si ostacola l’accesso alla storia, e non si offre un’apertura al lettore. Ogni lettore ha un suo modo peculiare di leggere un libro, poiché in esso riversa il proprio passato, la propria vita, la propria personalità e il proprio carattere, e di conseguenza lo interpreta differentemente. È questo che, secondo me, fa dell’immaginazione un’avventura; un’avventura che non ha nulla di premeditato.”
In copertina Paul Auster, New York, 2008. Foto presa da wikipedia