Riccardo Renzi, Istruttore direttivo della Biblioteca civica "Romolo Spezioli" di Fermo e consulente scientifico dell'Istituto Geografico Polare "Silvio Zavatti",

Gramsci e il futurismo

Di Riccardo Renzi[1]

Questo lavoro vuole interrogarsi sul rapporto che intercorse tra Gramsci e il futurismo, cercando di comprendere la vicinanza di pensiero tra due grandi intellettuali del Primo Novecento: Marinetti e Gramsci. Il discorso deve però originare proprio dal futurismo, andando a capire ciò che tale movimento ha costituito a livello nazionale ed internazionale.

Introduzione sul futurismo

Il futurismo è stato con molta probabilità il movimento letterario, artistico e culturale[2] più importante e significativo che l’Italia ha prodotto nell’intero Novecento. Il futurismo non è stato un movimento d’avanguardia circoscritto soltanto all’ambito letterario, ma con una quantità smisurata di manifesti, appelli e conferenze, ha proposto nuove e mai esplorate strade per tutte le arti, ha avuto una chiara posizione politica[3], ha cercato di stabilire una sua morale e un nuovo senso del vivere. Tra i manifesti futuristi più significativi, dov’è proprio stabilito cosa vuol dire essere futurista, vi è quello di Filippo Tommaso Marinetti pubblicato su «Le Figaro» nel 1909. Di seguito riportiamo alcune delle parti salienti del testo: «Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture.
Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell’ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che si agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a folle corsa…
Allora, col volto coperto dalla buona melma delle officine – impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti – noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia
»[4].

Dalla lettura del manifesto si evince immediatamente un elogio all’eroismo bellico e un assoluto disprezzo per il sentimentalismo romantico. Ormai i tempi sono cambiati, sono maturi affinché avvenga un superamento di quel romanticismo che tanto aveva animato il secolo precedente. Non vi era più quel sentore romantico, non vi era più spazio per inutili sentimentalismi, era tempo di agire. Si punta a una nuova categoria estetica che sostituisca il languore “antiquario” dell’arte dei secoli precedenti. Non si può più guardare al passato, è tempo di rivolgersi al futuro, l’oggi è allo stesso tempo presente e futuro[5].

I futuristi a differenza di D’Annunzio e dei crepuscolari, si rendevano conto che la strada già imboccata dalla società europea e, sia pure con netto ritardo dall’Italia, era quella della rapida industrializzazione. In una temperie culturale come questa non poteva esservi spazio per la commemorazione malinconica della gloria passata, sia essa classica (neoclassicismo) o medievale (romanticismo)[6]. Era ora di rivolgere l’attenzione al protagonista incontrastato dei successivi cento anni: la macchina. Di pari passo con la macchina nasce una nuova “bellezza”, utilizzando proprio le loro parole, la velocità: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità; un automobile da corsa col suo cofano adorno da grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo»[7]. La velocità ormai permea ogni cosa, dalle nuove masse urbane all’auto, il mondo rurale e contadino che segue i ritmi della natura e delle stagioni è ormai al tramonto e per questo nuovo tipo di mondo serve una nuova tipologia di uomo: l’Uomo futurista. Proprio in questo i futuristi erano ben più moderni del Vate e dei crepuscolari, che risolvevano il problema con una rocambolesca fuga dal reale, l’uno rifugiandosi in un mondo esteticamente di pura bellezza, gli altri idoleggiando le piccole cose, potremmo dirla alla Catullo, le Myricae[8]. In tali intellettuali, l’accettazione delle nuove caratteristiche che la società andava assumendo era un’accettazione supina, acritica e prettamente passiva. L’uomo futurista invece accetta il cambiamento e con esso muta sé stesso[9]. Il futurismo costituisce un caso esemplare di rapporto tra situazione sociale e letteratura/arte: e gli atteggiamenti letterari fanno da copertura ideologica al meccanismo dell’industrialismo capitalistico. Tale rapporto inizialmente risultò poco chiaro, poiché ancora nelle file e nei manifesti futuristi si lasciava spazio a posizioni anarchiche e al sindacalismo rivoluzionario, successivamente con il radicamento delle loro posizioni divenne lampante, si iniziò ad esaltare la guerra come «sola igiene del mondo» e il nazionalismo come unica fonte d’ispirazione. Per quanto concerne la poetica, mentre sul piano politico all’interno del movimento coesistono le idee più disparate, in campo prettamente artistico-letterario è molto più semplice individuare un suo programma[10]. Innanzitutto il futurismo è contro qualsiasi tipo di arte del passato, fatta di languori sentimentali[11]. La poetica futurista, come l’umo futurista, si doveva adattare ai nuovi valori che dominavano il mondo: è prevista la distruzione della sintassi, gli enunciati debbono essere brevi, chiari e coincisi, non ci si può più perdere nella retorica e negli stili baroccheggianti. Il linguaggio deve rifarsi ai telegrammi, ai titoli dei giornali, deve essere immediato[12].

Occorrerà dunque «far saltare il tubo del periodo, le valvole della punteggiatura e i bulloni regolari dell’aggettivazione. Manate di parole essenziali senza alcun ordine convenzionale»[13]. La buona letteratura oltre ad avere un lessico consono al movimento, dovrà essere accompagnata da una costante immaginazione senza fili: «Per immaginazione senza fili, io intendo la libertà assoluta delle immagini o analogie, espresse con parole slegate e senza fili conduttori sintattici e senza alcuna punteggiatura.

Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l’animale all’uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press’a poco, a una specie di fotografia. Hanno paragonato per esempio un foxterrier a un piccolissimo puro sangue. Altri, più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso foxterrier trepidante, a una piccola macchina Morse. Io lo paragono invece, a un’acqua ribollente. V’è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi. L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico e polimorfo, può abbacciare la vita della materia»[14]. La grandezza del futurismo, va valutata, non in base a ciò che ha prodotto, ma sulla base dei cambiamenti istillati nella letteratura italiana successiva. Va visto cioè più che nel bilancio assai modesto sul piano creativo, nel clima di rinnovamento che esso produsse e che si concretizzò nelle forme più varie. Sotto questo punto di vista la poesia crepuscolare e il movimento futurista sono le due temperie culturali che più validamente contribuirono a eliminare i moduli, le forme e le istituzioni della poesia tradizionale[15]. Il futurismo si inquadra certamente in quella temperie culturale di irrazionalismo figlia del suo tempo che non può discernere da Bergson e Nietzsche. Del primo si valorizza il processo di conoscenza intuizionistica[16], del secondo si accoglie il senso agonistico del vivere che diviene culto della forza violenta e machistica[17]. A questo punto non si può procedere senza introdurre D’Annunzio, che è l’idolo polemico con il quale tutta la letteratura del primo Novecento deve fare i conti. Il futurismo pur rifiutando il decadentismo dannunziano, ne accoglie pienamente il senso del vivere, l’estrema esaltazione del rischio e della volontà ferina[18]. Nei futuristi tali sentimenti divengono grossolano attivismo, vanto maschilista, sopraffazione, schiaffo e pugno.

I futuristi nei loro manifesti e convegni ripeterono, quasi in modo logorroico, che il futurismo non è solo arte e letteratura, ma riguarda tutti gli ambiti della vita, l’uomo futurista lo è nella sua totalità di uomo. Pertanto risulta impossibile ed estremamente inadeguato fare su tale movimento un discorso esclusivamente letterario. Inoltre è importante tenere conto anche della loro evoluzione: «da incendiari a pomieri, da rivoluzionari a fascisti, da distruttori delle accademie a membri dell’Accademia d’Italia»[19].

Gramsci, il futurismo e Marinetti Sin dal garzonato liceale a Cagliari e poi universitario a Torino, Gramsci fu sempre estremamente attratto dalle novità che la poesia di quel tempo forniva. Egli fin da subito avvertì il provincialismo e la degenerazione di una letteratura di consumo come quella italiana. Questo Gramsci affermava della letteratura dell’epoca: «buona tutt’al più a procurare nei giorni di grasso una tranquilla digestione alle trippe dei buoni borghesi»[20]. In questo passo l’intellettuale si rivolge ai romanzi alla moda di Sem Benelli, Ettore Moschino e Luciano Zuccoli. Attacca inoltre la vecchia letteratura, che mostra tutta la sua vuotezza, ricevendo gli attacchi dai futuristi senza neanche scomporsi. Al contrario l’Intellettuale sardo apprezza le poesie e le prose dei futuristi quali Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni e Paolo Buzzi. Questo scriveva di loro in I futuristi, in Corriere Universitario: «ciò che di meglio la letteratura poetica odierna può offrire alla storia, ciò che assolverà dinanzi alle generazioni future tutti i milioni d’imbecilli che sporcano carta»[21]. Inoltre, lo studente sardo colse pienamente la rottura dei futuristi con il passato, prima con il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, poi con la composizione marinettiana Adrianopoli assedio orchestra del 15 marzo 1913.In quest’ultima, Marinetti utilizza una sintassi ellittica, i cui modi e ritmi sono quelli della lingua parlata, spesso mancante di verbi e ricchissima di combinazioni verbali a ruota libera, con interazioni e frasi martellanti che vanno a scandire i ritmi di tutta la composizione. Questa è una forma di espressione linguistica che ha «il suo perfetto riscontro nella forma pittorica di Ardengo Soffici o di Pablo Picasso ed è anch’essa una scomposizione in più piani dell’immagine»[22]. Per alcuni anni Gramsci smise di interessarsi di Marinetti, tornò però a parlare di lui l’11 febbraio del 1918 in corrispondenza del primo abbozzo del programma del Partito politico futurista italiano. La sintesi delle parti essenziali del nuovo programma politico è seguita da un commento particolarmente attento alle istanze liberali della rivoluzione futurista: «Sfrondato delle amplificazioni verbali, delle imprecisioni di linguaggio, di qualche lieve contraddizione…il programma liberale che i nipoti di Cavour avrebbero dovuto realizzare per i migliori destini dell’Italia»[23]. La serietà dell’intellettuale sardo, sinceramente preoccupato dei problemi politici, culturali e morali, scatenati con il Primo conflitto mondiale, è rallentata e urtata dalla superficialità con cui l’opinione pubblica italiana si pone davanti all’«ingresso nella vita sociale di relazione di masse vergini all’esercizio del pensiero e della ragione»[24]. I giovani stanno degenerando, non leggono più giornali, l’unica eccezione è costituita dai futuristi. Nonostante una profonda avversione per il marinettismo deteriore e provinciale, persiste da parte dell’intellettuale sardo un nutrito interesse per la portata innovatrice del futurismo, in particolare per la performance futurista, la quale cerca di dare risposte ad esigenze vitali dell’uomo. Proprio da qui origina la stima di Gramsci per le provocazioni e l’attività distruttiva dei futuristi nel campo della cultura borghese ufficiale, sino ad ammettere che essi, nel rivendicare forme di arte, di filosofia, di costume, aderenti alla nuova vita tumultuosa della società di massa. Di essi egli dice: «hanno avuto una concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neanche lontanamente di simili questioni, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica»[25]

[1] Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.

[2] Parlare di movimento letterario, artistico e culturale è riduttivo, in quanto il futurismo, nella mente di chi lo ha concepito, doveva permeare tutti gli ambiti della vita, della quotidianità. Il futurismo doveva essere un modo di essere e non di interpretarsi.

[3] Ebbe sempre una ferma opposizione alla democrazia, in contrasto con tutte le riviste fiorentine dell’epoca.

[4] F. T. Marinetti, Primo manifesto politico futurista per le elezioni generali 1909, ristampa anastatica, Firenze, Salimbeni, 1980.

[5] S. Guglielmini, Guida al novecento, Milano, Editore G. Principato, 2014, pp. 94-95.

[6] A. Mosero, Futurismo, Milano, Skira, 2019, p. 112.

[7] F. T. Marinetti, Primo manifesto, cit.

[8] Con questo termine si intende proprio la poesia delle piccole cose, introdotta dai poeti latini e ripresa poi da Giovanni Pascoli.

[9] R. Carrieri, Il futurismo, Milano, Edizioni del Milione, 1961, pp. 21-28.

[10] G. Scarsi, Il futurismo: poesia, pittura, musica, in Studium rivista bimestrale di cultura n.4, 1985, pp. 483-507.

[11] Qui ritorna nuovamente la netta contrapposizione con il romanticismo.

[12] F. Laera, Futurismo: ideologia e linguaggio, appunti delle lezioni del corso di lingua italiana tenute da Lidia Brisca Menapace, Milano, CELUC, 1968, pp. 19-24.

[13] F. T. Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912 e riprese anche nel successivo “Distruzione della sintassi/Immaginazione senza fili/Parole in libertà” dell’11 maggio 1913.

[14] F. T. Marinetti, Distruzione della sintassi/Immaginazione senza fili/Parole in libertà” dell’11 maggio 1913.

[15] C. Ferrari, Poesia futurista e marxismo (Russia 1910-1920), Milano, Editoriale Contra, 1966, pp. 28-32.

[16] A. Crescini, La molteplicità nella teoria del Bergson, in Rivista di filosofia neo-scolastica, 53 (1961), n. 5, pp. 414-419.

[17] D. M. Fazio, Nietzsche: un profilo, in La società degli individui: quadrimestrale di teoria sociale e storia delle idee, A. 5, n. 14 (2002), p. 151-155.

[18] P. Alatri, Gabriele D’Annunzio, Torino, UTET, 1983, pp. 89-122.

[19] S. Guglielmini, Guida al novecento, cit., p. 97.

[20] A. Gramsci, I futuristi, in Corriere Universitario, Torino, anno I, n. 8, 20 maggio 1913.

[21] Ibidem.

[22] A. Gramsci, I futuristi, cit. p. 7.

[23] A. Gramsci, Cavour e Marinetti, in Grido del Popolo, Torino, n. 712, 16 marzo 1918.

[24] A. Gramsci, Le riviste dei giovani francesi, in Il Grido del Popolo, Torino, n. 712, 16 marzo 1918.

[25] A. Gramsci, Marinetti rivoluzionario?, in L’Ordine nuovo, Torino, anno I, n.5, 5 gennaio 1921, p. 2.

In copertina una foto di Antonio Gramsci nel 1916. Foto presa da wikipedia