Sono nata a Vicenza, città che ha visto la mia partenza e il ritorno, dopo anni passati a Roma, prima all’università e poi a confrontarmi con il mondo del lavoro. Ho fatto l’attrice, la presentatrice televisiva, l’adattatrice dei dialoghi per il doppiaggio. Sono passata sulle tavole dei palcoscenici, negli studi televisivi, tra le scenografie di Cinecittà, sono entrata nelle case di grandi maestri, conosciuto la vita di artisti e di piccoli artigiani, percorso le strade della città eterna. Ho avuto molti giorni felici nella capitale, incontrato tante persone, dalla più umile alla più boriosa, respirato l’aria di una città elefantiaca e affascinante, guardato mille tramonti con la quinta di un colle punteggiato di pini dagli alti fusti o attraverso archi e fori della sua grandezza. Ho fatto progetti, mi sono disperata, ho stretto amicizie, le ho perdute. Fino al momento in cui è diventato tutto più chiaro: abbandonare Vicenza significava abbandonare un’idea di creazione attraverso la scrittura. Non so perché ma è stato così. Oggi tutti desiderano scrivere, molti lo fanno, sembra facile, meno semplice è crearsi gli strumenti adatti, far crescere un talento mai affinato. Così ho lasciato Roma per Milano e Milano per Vicenza, la mia città. Ora esploro le mura del mio studio. Il resto lo trovate sul suo sito rossellapretto.com

Osicran o dell’Antinarciso

Di Rossella Pretto

Di questa epoca divisa

tra massa e persona

migrazioni e scomparse

possediamo il disumano

limite dello sguardo

l’impossibilità del volto

Ecco, pensi che questi versi possano dare la misura di un percorso. Sì, pensi che rendano esatta l’idea del cammino proposto nel libro di Saverio Bafaro, Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio Editore, 2024, p. 72, euro 12.50). O la sua luce più vera. E non parli di poesia e dei suoi valori ma di percorso, come detto. Perché è proprio l’immaginazione, l’entrare nell’immagine e possederla, prima come cosa disturbante e tutta esteriore, nemica, e poi come esplorazione delle profondità, sprofondamento e naufragio che compatti forma e contenuto facendole adese e necessarie, a dominare la raccolta poetica. Narciso e AntiNarciso/ Osicran chiamano a questo. Non al rifiuto dell’immagine ma alla sua possessione.

Tutto in uno

questo confine della pelle

che tocchi

Perché se oggi è, apparentemente, il volto che domina ovunque, l’evidenza di una superficie levigata e svuotata, Osicran chiede volto che sia anima. Entrambi. Pienamente legittimi. Inderogabili. E chiede che il continuo, manicheo coltello che separa e separa perché l’essere umano non sia mai completo venga abbandonato.

Fanciullo redivivo

svelaci infine

dopo millenni

cosa c’era nel Vuoto

da sempre temuto

nella metà disadorna

del tuo letto

E sia pure il volto a brillare! O il suo sesso. Sia celebrato! Sia un fatto sensuoso il nostro incunearci nel mondo. Senza definizioni né etichette, senza perbenismo o continui appelli a una morale del tutti salvi e tutti compresi, politicamente corretta. Che finalmente si riaffacci ciò che fa di un uomo un uomo, che il cammino sia impervio e disastrato, che sia possibile riacquistare diritti alla complessità! Forse hai messo troppi punti esclamativi e te ne scusi perché non vuoi far proclami, che tanto non importano a nessuno, a te nemmeno. E allora provi a trascrivere qualche verso che dica e traduca:

 L’immagine ferisce

come un pugnale

toglie il respiro

e lacera il ventre

lasciando defluire piano

un sangue denso

nella vasca del principio.

Nulla di rassicurante, certo, pensi e dici, ma qualche imene deve essere lacerato per andare oltre, per compiere il rito e cambiare di status. Guarda cosa ha fatto Kae Tempest di Tiresia. Ha detto anche questo. L’ha minacciato.

Prosegui.

Tagliare il filo come il fiato

a un’altitudine più elevata

cambiare natura all’improvviso

convocando una musica ignota

per sentire più forte il rito

di entrare e uscire dalla vita

Cambiare forma, cambiare oscurità per penetrare nello specchio, anche e soprattutto in quello spezzato, in frantumi per dirsi difformi.

Il mio cuore trova armonia

nel movimento del Pendolo

in quell’andirivieni mi vedo

tracciare un tragitto compiuto

nel partire e nel ritornare

nell’avvicinarmi e nel fuggire

nel perdermi e nel ritrovarmi

nell’apparire e nello scomparire.

Non possono vivere solo i due poli:

l’agonia dell’Io e la sopraffazione del Tu

l’agonia del Tu e la sopraffazione dell’Io…

Quante innumerevoli altre posizioni

si segnano in mezzo all’oscillazione

senza finire alti e distorti negli estremi,

possano sperimentarsi lì gli inciampi

dei giorni e le innumerevoli risate

dissacranti dalla voce di un dio solitario

È un pendolo, questo di Saverio Bafaro, che ambisce alla blasfemia, che la tenta:

la prigione perfetta

del tuo corpo giovinetto

o la Carne martoriata

nel sacrificio dei chiodi?

Tenta quell’altezza solo per sentirsi compatto nel corpo che custodisce il segreto. E in questa sua prova di resistenza e di vanità, sì assolutamente di vanità, rende senso alla sua carne.

Osicran o dell'Antinarciso Book Cover Osicran o dell'Antinarciso
Ormeggi
Saverio Bafaro
poesia
Il Convivio
2024
72 p., brossura