Osicran o dell’Antinarciso
Di Rossella Pretto
Di questa epoca divisa
tra massa e persona
migrazioni e scomparse
possediamo il disumano
limite dello sguardo
l’impossibilità del volto
Ecco, pensi che questi versi possano dare la misura di un percorso. Sì, pensi che rendano esatta l’idea del cammino proposto nel libro di Saverio Bafaro, Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio Editore, 2024, p. 72, euro 12.50). O la sua luce più vera. E non parli di poesia e dei suoi valori ma di percorso, come detto. Perché è proprio l’immaginazione, l’entrare nell’immagine e possederla, prima come cosa disturbante e tutta esteriore, nemica, e poi come esplorazione delle profondità, sprofondamento e naufragio che compatti forma e contenuto facendole adese e necessarie, a dominare la raccolta poetica. Narciso e AntiNarciso/ Osicran chiamano a questo. Non al rifiuto dell’immagine ma alla sua possessione.
Tutto in uno
questo confine della pelle
che tocchi
Perché se oggi è, apparentemente, il volto che domina ovunque, l’evidenza di una superficie levigata e svuotata, Osicran chiede volto che sia anima. Entrambi. Pienamente legittimi. Inderogabili. E chiede che il continuo, manicheo coltello che separa e separa perché l’essere umano non sia mai completo venga abbandonato.
Fanciullo redivivo
svelaci infine
dopo millenni
cosa c’era nel Vuoto
da sempre temuto
nella metà disadorna
del tuo letto
E sia pure il volto a brillare! O il suo sesso. Sia celebrato! Sia un fatto sensuoso il nostro incunearci nel mondo. Senza definizioni né etichette, senza perbenismo o continui appelli a una morale del tutti salvi e tutti compresi, politicamente corretta. Che finalmente si riaffacci ciò che fa di un uomo un uomo, che il cammino sia impervio e disastrato, che sia possibile riacquistare diritti alla complessità! Forse hai messo troppi punti esclamativi e te ne scusi perché non vuoi far proclami, che tanto non importano a nessuno, a te nemmeno. E allora provi a trascrivere qualche verso che dica e traduca:
L’immagine ferisce
come un pugnale
toglie il respiro
e lacera il ventre
lasciando defluire piano
un sangue denso
nella vasca del principio.
Nulla di rassicurante, certo, pensi e dici, ma qualche imene deve essere lacerato per andare oltre, per compiere il rito e cambiare di status. Guarda cosa ha fatto Kae Tempest di Tiresia. Ha detto anche questo. L’ha minacciato.
Prosegui.
Tagliare il filo come il fiato
a un’altitudine più elevata
cambiare natura all’improvviso
convocando una musica ignota
per sentire più forte il rito
di entrare e uscire dalla vita
Cambiare forma, cambiare oscurità per penetrare nello specchio, anche e soprattutto in quello spezzato, in frantumi per dirsi difformi.
Il mio cuore trova armonia
nel movimento del Pendolo
in quell’andirivieni mi vedo
tracciare un tragitto compiuto
nel partire e nel ritornare
nell’avvicinarmi e nel fuggire
nel perdermi e nel ritrovarmi
nell’apparire e nello scomparire.
Non possono vivere solo i due poli:
l’agonia dell’Io e la sopraffazione del Tu
l’agonia del Tu e la sopraffazione dell’Io…
Quante innumerevoli altre posizioni
si segnano in mezzo all’oscillazione
senza finire alti e distorti negli estremi,
possano sperimentarsi lì gli inciampi
dei giorni e le innumerevoli risate
dissacranti dalla voce di un dio solitario
È un pendolo, questo di Saverio Bafaro, che ambisce alla blasfemia, che la tenta:
la prigione perfetta
del tuo corpo giovinetto
o la Carne martoriata
nel sacrificio dei chiodi?
Tenta quell’altezza solo per sentirsi compatto nel corpo che custodisce il segreto. E in questa sua prova di resistenza e di vanità, sì assolutamente di vanità, rende senso alla sua carne.
Ormeggi
poesia
Il Convivio
2024
72 p., brossura