Il tesoro della Sierra Madre
Di Marcello Chinca
“Con ogni oncia di oro in più in loro possesso si distaccavano dalla classe proletaria e si avvicinavano a quella dei proprietari…ora appartenevano ad una minoranza dell’Umanità…coloro che fino a quel momento avevano considerato fratelli proletari, diventavano naturalmente dei nemici dai quali bisognava difendersi…ora tutto era cambiato….avevano varcato il confine oltre il quale un uomo diventa schiavo dei propri beni.”
Il Tesoro della Sierra Madre di B. Traven da cui è stato tratto il film forse più riuscito di John Huston con lo strepitoso Bogart quale attore protagonista, spiega in dettaglio a cosa conduce l’avidità degli uomini, quali ne sono i meccanismi sotterranei, le dinamiche micidiali con cui l’uomo a causa dell’avidità è portato inevitabilmente all’auto distruzione.
Il libro che l’Uomo non ha ancora finito di leggere e di cui neppure ricorda il finale del film parrebbe un trattato psicoanalitico, tanto, quasi in modo pedissequo, riesce in uno scavo psicologico finissimo nell’animo dei tre personaggi della storia che è quella di tre cercatori d’oro nelle valli secche ed impervie della Sierra Madre in Messico.
Costoro, guidati dall’esperienza del vecchio Howard (interpretato da Walter Huston, padre del regista), riescono infine a trovare la miniera d’oro, per diversi mesi lavorano, scavano, setacciano, estraggono l’oro dalla sabbia, resistono ad un aggressione di banditi, finché decidono che l’oro ricavato è abbastanza e decidono di tornare. Da questo momento il grimaldello dell’avidità fa saltare il clima di collaborazione tra i tre sodali e cominciano da qui i guai seri, da questo istante ha infatti inizio il dramma.
Il libro intramezza all’interno della narrazione episodi raccontati dal vecchio ed ogni episodio è l’annuncio di quanto accadrà in seguito a loro stessi e che cioè l’avidità dell’uomo non porta da nessuna parte, anzi, la sua sete insaziabile di maggiori ricchezze è proprio ciò che determinerà l’incombere della sciagura.
Quell’aspirazione pur legittima di affrancazione dalla povertà si svelerà per quello che è, ossia sete insaziabile, crudeltà verso i propri simili, ragione fondante di una umanità senza sbocchi, senza futuro.
Il vecchio è tratteggiato nel libro come una sorte di Virgilio che guida gli altri due dal Purgatorio all’Inferno, le sue parole conducono ad un fragile equilibrio, gli altri due cercatori sono come sospesi, un equilibrio però sempre precario, sull’orlo di rompersi ma che rimane finché il vecchio rimane con loro, finché non sarà costretto ad unirsi con degli indiani che gli offrono un’ospitalità forzata e ciò per ringraziarlo di aver salvato un giovane indiano dalla morte certa.
Il vecchio affiderà il carico agli altri due, sapendo in anticipo che questo carico sarà perduto per lui, eppure accetterà di unirsi lo stesso a questi indiani, di cui diventerà una specie di medico-stregone, ottiene in questo modo però di spezzare la catena e di avere come ricompensa la salvezza e la vita, contrariamente ai suoi due compagni impegnati dal momento della separazione dal vecchio in un duello senza fine per accaparrarsi l’intero bottino.
Il passaggio psicologico ed esistenziale dalla povertà allo stato di possidente è reso benissimo nel romanzo, tracciandone il percorso in maniera esemplare, quando non si ha nulla si è ancora umani, si è in cerca dei propri simili con cui condividere azioni e speranze, si da più di quanto si riceva.
Dal momento che l’individuo si ritrova ricco o possidente, ebbene qui scatta la difesa di questi beni dalla rapina degli altri, non ci si contenta di quello che si ha, si vuole di più, dal solo sospetto di questa ipotetica rapina si erigono steccati, si imbracciano armi e coltelli, si assoldano guardiani e servi per munirsi di complici efferati ai nostri scopi, si sta sul chi vive ogni giorno della vita, quasi fossimo posseduti dal demonio e non ci fosse altro cui pensare che non sia la difesa di questi stessi beni che assorbono ormai l’interezza delle energie.
Triste allegoria questa scritta nel lontano 1948 da un talento innegabile anche se misconosciuto. L’Uomo aveva già letto di Traven La nave scomparsa ricavandone una forte impressione proprio per la radicalità della sua opposizione all’American way of life, un opposizione senza quartiere si direbbe e da qui la ragione della scarsa fortuna di Traven negli Stati Uniti, dove da sempre fu considerato come una sorte di bolscevico sedizioso.
Questa avidità ormai diffusa come la peste nel Mondo segna innegabilmente tutta la nostra epoca come forse mai nella Storia del genere umano. Interi continenti, esauritesi le spinte delle teorie politiche palingenetiche, sono ormai dentro questo imbuto senza fine che è la ricerca del profitto ad ogni costo, pure se ciò dovesse significare la distruzione del Pianeta. Lo si vede anche nei rapporti familiari nei momenti cruciali, eredità in cui ci si scanna tra fratelli, assenza di solidarietà tra chi possiede e chi no. Sul metro di una generale assuefazione all’avidità gira il Mondo per così dire, rilevando dell’Uomo tutta la sua bestialità ed insensatezza.
Romanzi e racconti
Letteratura
Dalai Editore
2003
346 p., rilegato