La retorica al servizio della giustizia
Intervista a Stefano Cazzato di Fabrizio Ciccarelli
Nel “Trattato dell’argomentazione” di Perelman (redatto con Lucie Olbrechts-Tyteca, Einaudi 1966 e 1976) il “campo del preferibile” è il ragionamento giuridico. Nel tuo nuovo libro (Chaim Perelman. Retorica, etica, politica, Ladolfi editore, 2024) esplori, nel quadro di una ricognizione generale del pensiero del filosofo belga, il nesso tra due aspetti apparentemente inconciliabili
Solo apparentemente, dal momento che la dottrina della giustizia, invece di chiamare in causa fondamenti, o di essere ancorata ad essenze eterne e naturali, risulta fondata su basi storiche e discorsive, quelle basi che per Perelman sono rintracciabili nella retorica antica assunta come una vera e propria teoria dell’argomentazione razionale. Nella Prefazione del 1966 Norberto Bobbio ha scritto che grazie a Perelman possiamo finalmente vedere “nella logica dei giuristi … nient’altro che una serie di procedimenti argomentativi”, quei procedimenti che servono “per escogitare argomenti pro o contro una tesi, per sostenere una causa, per ottenere un consenso, per guidare una scelta, per giustificare o determinare una decisione”. E’ qui che troviamo la natura giuridica dell’argomentazione”.
In definitiva, cos’è una Teoria dell’Argomentazione?
A quanto già detto posso aggiungere che non è solo una teoria perché ha un risvolto pratico, e non è solo una pratica perché ha una base teorica, è una sintesi di regole e capacità, di conoscenza ed esperienza, di dispositivi mentali e tecniche procedurali, di pensiero ed azione. Chi argomenta non può non tenere conto del fatto che il suo sapere va sempre messo in atto, cioè adattato alle caratteristiche, ai bisogni, ai valori dell’uditorio. Per Perelman l’uditorio non è mai universale, cioè l’insieme degli individui razionali che hanno la medesima struttura logica, ma particolare e situato, quindi caratterizzato storicamente, socialmente e culturalmente, sensibile a certi argomenti e del tutto indifferente ad altri.
Credo che le vicende biografiche di Perelman abbiano influito non poco sulle sue riflessioni. Qual è la sua opinione in merito?
Penso che lei si riferisca all’impegno nella Resistenza belga, alla fondazione dell Comitato di difesa degli ebrei, al piano che con la moglie Fela Estera Liwer, mise a punto per salvare migliaia di perseguitati tra cui molti bambini. Israele gli fu riconoscente e Ben Gurion lo consultò come uno dei cinquanta saggi che dovevano pronunciarsi sull’identità del nuovo Stato: identità che, da ebreo non religioso e non nazionalista, Perelman immaginava laica, liberale e democratica. Direi che questa esperienza abbia senza dubbio influito sulle sue riflessioni, dando una curvatura etica e politica, nel senso del rispetto e della tolleranza di tutte le differenze, alla riscoperta di una disciplina, la retorica, che i più ritengono essenzialmente teorica. Questa esperienza ha sicuramente determinato anche la sua teoria della giustizia come equità: una giustizia corretta dalla carità, dalla comprensione, dall’adattamento delle regole formali ai casi particolari.
La Retorica tenderebbe a convincere l’interlocutore della giustezza delle idee di chi le propone. Perelman intendeva realmente giungere a questo risultato?
Sì, proprio così. Nelle intenzioni del Trattato c’è indubbiamente l’identificazione dell’ambito retorico come il campo dell’opinabile, laddove una controversia non può essere risolta appellandosi all’evidenza inoppugnabile dei fatti o delle regole logiche. Se il terreno del contendere non fosse quello delle opinioni, ma delle evidenze, semplicemente non ci sarebbe contesa. Nei campi che ricadono sotto il dominio della doxa (quello delle discussioni politiche, giuridiche, morali, estetiche, pratiche) bisognerà argomentare in maniera retorica più che dimostrativa. Se il fine della ragione dimostrativa è quello di convincere il pubblico sulla base dell’evidenza oggettiva, quello della ragione retorica è di persuderlo con argomenti efficaci. Quando ci sono due tesi in gioco, l’una sarà preferita all’altra se chi argomenta sarà in grado di fornire ragioni convincenti, che trovino l’accordo razionale dell’uditorio. Un accordo che non può essere ottenuto con la coazione, con la forza, con l’inganno, con la menzogna ma, come diceva Walter Benjamin, con pratiche di civile intesa.
Saggista e docente, Stefano Cazzato collabora con giornali e riviste e ha scritto numerosi libri tra cui quattro dedicati a Platone: Dialogo con Platone, Armando, 2010, 2° classificato per la saggistica edita al concorso internazionale “Locanda del doge” di Rovigo 2023”; Una storia platonica, Ladolfi, 2017; Il racconto del Timeo, Ladolfi, 2019, 5° al premio “equiLibri” 2024 di Anguillara Sabazia; Il divino Platone. Filosofia e misticismo, Moretti&Vitali, 2022, 2°al “Premio Giglio blu di Firenze, 2024” e menzione di merito al “Premio Internazionale Castrovillari, 2024”.
Ha inoltre al suo attivo due antologie: Maestri del nostro tempo (con G. Moscati), Cittadella, 2007 e Di cosa parliamo quando parliamo di filosofia, Ladolfi, 2013.
Appassionato di retorica (La quasi logica, Ladolfi, 2020, menzione speciale al “Premio Ipazia”, 2024) e di aforismi, ha pubblicato tre raccolte sul genere breve: Esercizi di realismo, Manni, 1999, Studiò diritto ma poi si piegò, Ladolfi, 2021, finalista al “Premio nazionale F. Limido” 2021, e Preferisco la partner al tutto, Ladolfi, 2023, 3° al “Premio internazionale di Milano Vivi la realtà”, 2023.
I suoi libri sono stati recensiti e/o segnalati su diverse testate nazionali e locali, nonché su numerosi siti e blog. Collaboratore da molti anni della rivista Rocca, tiene due rubriche (La critica come passione e Cambio d’ora) e cura lo spazio di recensioni on line Dai libri ai lettori.
“Chaim Perelman. Retorica, etica e politica”,Ladolfi editore, 2024, è il suo ultimo libro.