Su Metronomi sotto i tavoli
Di Rossella Pretto
Ha il ritmo sincopato dell’acqua che si rompe, Metronomi sotto i tavoli di Silvio Perrella (Il filo di Partenope, 2024), quel punto di faglia dove tutto cambia, la direzione si spezza e la spezzatura è un ricordo: il farsi in musica dell’uomo, di una giovinezza in attesa che il tempo salga sul palcoscenico. Sono le note di una vita che battono suonando tutti i suoi strumenti – che sia batteria, chitarra, basso o pianoforte, arpeggiano il tempo che s’aggruma.
È la sua mano bianca che ti indica le scie all’orizzonte, le entrate e uscite del mare, la geografia partenopea, quella passeggiata tra le costole dei secoli, sulla groppa di Napoli, un mondo dentro un mondo, cortili che preludono allo scompaginarsi dello sguardo: quell’attesa che è diventata congenita, il passo del flâneur, l’occhio obliquo che tende un agguato ai chiaroscuri dove si nascondono i misteri delle storie, i misteri che sono solo la nudità delle cose a cui Silvio Perrella fa la corte. Pazienta perché possano parlare, perché l’alfabeto sia loro donato, perché lui possa metterlo in comune con le pietre – che parlino, che sussurrino.
O stavolta perché lui possa trasformare il suo alfabeto in nota, scorrere sul pentagramma e farsi oscillazione egli stesso – il suo pensiero, il ricordo che appare e scompare – prendere il ritmo del metronomo che va avanti e indietro ribaltando lo sguardo al rovescio delle cose, dove si accasano metronomi sotto i tavoli. Che cosa ci fanno là sotto? Mostrano la fodera dei giorni e il divenire presago del ragazzo che aveva bisogno di tempo:
C’era in me un brulichio
un qualcosa da non definire
una sospensione nuvole alte
era l’attenzione in agguato
e serpeggiante dietro agli occhi
Così, in questa plaquette che Perrella regala a chi sa capirne i respiri, le ore lunghe affondano e aspettano, aspettano che il miraggio si addensi e mostri – solo un barbaglio, senza il quale il corpo perde l’ombra e dilegua, senza il quale l’uomo di oggi smarrisce il ragazzo di allora e la memoria del vivere, la traiettoria sghemba che arriva per giri tortuosi fino all’oggi intonando note spezzate, versi in svenimento che lui percuote e infrange – una sincope.
Mentre Charlie suona sparatorie
nel cuore piedi in battere e levare
lavata di faccia barbuta oscura
gli scuri sbattono come gong
frullano nella mente le menzogne
vattelapesca il bandolo della matassa
è a rischio ogni battito di ciglia
E vattelapesca, sì, vattelapesca dove tutto questo ti ha portato, pensi mentre guardi i disegni di Vincenzo Rusciano che parcellizzano, accompagnano, spingono e sfondano la plaquette di Perrella. C’è un mondo esploso di frammenti, tra queste pagine, qualcosa che la vibrazione del suono fa brillare nella mina del senso, uno spargimento seminale che corrodendo il tempo si apre al desiderio, ai fasci corpuscolari delle cose che accarezzano e inseminano.
Ho musica a iosa
non me ne vanto
è solo un modo
per stare accanto
al gocciare stento
di ogni sillaba
di ogni scala
malìa del canto
sopravvivenza dell’istinto
me senza me
io spalancato
come un do di petto
In questo sfondamento potente, i versi di Silvio Perrella mostrano i piedi in movimento, il saltellare del cuore, i pensieri ondivaghi di chi ha acquistato le pinne per guadagnare il centro del palco, un palcoscenico tutto per sé, nel dialogo lento con il tempo che gli strappa talvolta uno dei suoi sorrisi, quelli che aprono alla luce il bel viso intero.
Poesia
ilfilodipartenope
2024
64 p., brossura