Un passato che non passa
Di Geraldine Meyer
Bologna. Una giornata come tante, di una vita che sembra aver trovato, negli anni e nel tempo, un suo equilibrio. Precario eppure quieto. La lettura casuale di un necrologio. Un nome. E tutto l’edifico crolla. Comincia così Treni d’amore, l’ultimo libro di Maurizio Garuti. Comincia come, a volte, accade nella vita. Allora la musica della memoria, che magari per decenni si è trasformata in un sottofondo continuo ma rassegnato, si mette all’improvviso a urlare. Allora si tenta di ripercorrere le tappe, di rimettere insieme i pezzi, di fare i conti. Che, puntualmente, non tornano mai.
Alfredo, voce narrante e protagonista del romanzo, ripercorre insieme a noi lettori la storia d’amore con Anna, quel nome riapparso, senza per altro essere mai scomparso, attraverso quel necrologio. Una storia d’amore di pochi mesi, tra Venezia, Bologna e Firenze. Tappe esistenziali e professionali per Alfredo che, in quegli anni, era ferroviere. Anni di guerra. Anni in cui strappare attimi di gioiosa tregua era una conquista mai scontata.
Attorno e in mezzo a questa storia, come sempre nei libri di Garuti, la Storia grande. I treni che sono un luogo pericoloso per passeggeri e macchinisti, il lavoro da fornai dei genitori, l’incertezza, la paura. E, sopra ogni cosa, le leggi razziali e l’olocausto. Anna è ebrea. E finirà come milioni di altri ebrei. Garuti non ha bisogno di dilungarsi su questo. Riesce, in modo potentissimo, a raccontarcelo con poche righe. Che restano però un momento incancellabile di tutto il libro. L’olocausto è un treno blindato che Alfredo troverà sui binari del suo lavoro. Una voce e una mano che sporgono da una piccola fessura. La mano e la voce di Anna. Bastano due righe. E ne si resta tramortiti. Cosa ne sarà di Anna? E di Alfredo? Lo scopriremo solo al termine del libro, in un finale forse un po’ frettoloso, ma non per questo meno autentico.
Sebbene preferisca il Garuti che romanza storie vere, questo Treni d’amore ne conferma la perizia di “raccontatore” di storie. Del resto anche qui un’iniezione di vero c’è nella figura di Giorgio Morandi e di un quadro che sarà altrettanto protagonista. È un libro che non manca di grazia, che ben dipinge i moti dell’anima e le tempeste in agguato, il senso di colpa e una vita che, piano piano, si modella attorno a esso cercando una spesso impossibile riconciliazione. O almeno un modo per andare avanti. Non si sa se il nucleo incandescente nel cuore di Alfredo sia un amore mai spento per Anna o il pensiero fisso di non essere riuscito a salvarla. Ma forse non è importante saperlo. Alfredo ha fatto quello che ha potuto, ha continuato a cercare Anna, letteralmente e metaforicamente, ritrovandola come forse non avrebbe voluto ma nel modo in cui aveva bisogno di ritrovarla. Perché la logica della vita quasi mai è la logica degli uomini
Egida Minerva
Narrativa
Minerva
2024
279 p., brossura