Novalis e la parabola cristiana sull’amore in Inni alla notte
Di Fabrizio Fabi[1]
Sarebbe oltremodo pretenzioso tentare di concludere in queste poche pagine un discorso di tale ampiezza che abbracci i variegati tropi della poetica novalisiana presenti negli Hymnen an die Nacht[2].
Si può dire che la poetica di Novalis si snodi intorno ad un paradigma dualistico di fondo in cui filosofia e poesia, natura e spirito si incarnano nella vita stessa di Novalis[3]. Qui ci si limiterà ad analizzare gli Inni alla notte dalla prospettiva di una spiritualità soggettiva[4] in cui eros e thanatos penetrano nel microcosmo del poeta fino ad espandersi nel macrocosmo cristiano di redenzione.
Nel primo inno si coglie subito l’antitesi tra vita e morte, sfera terrestre e celeste, tra maschile e femminile. La luce, il respiro, il movimento e il viandante, tutte prefigurazioni del giorno e della vita[5], perdono di attrattiva di fronte alla notte che schiude al poeta una realtà più divina, più sacra, più sensuale del giorno col suo “delizioso balsamo” che solleva da terra la Seele, l’anima dalle “gravi ali” trattenuta a terra[6]. In una struttura chiastica allora la notte regina del mondo prende il posto del giorno, la luna sostituisce il sole, definita “amabile sole notturno” diventa “annunciatrice di mondi santi” e “custode del beato amore” in cui il poeta può congiungersi in uno sposalizio mistico con la notte personificata quale “amata”[7]. Ancora non è chiaro però il rimando all’amata Sophie[8], né all’amore trasfigurato in Cristo.
Nel secondo inno il poeta ribadisce l’intenzione di voler liberarsi da ogni legame che lo ancora alla vita terrena, presente è il dualismo tra giorno e notte, veglia e sonno, tra tempo e assenza di tempo. Si entra dunque nella sfera dell’infinito, del regno spirituale dove il tempo non scandisce più l’attività umana (Tagwerk) coi suoi affanni bensì diventa il tempo dell’anima[9].
Nell’inno terzo si intravede come la morte/notte diventi topos universale dell’amore per antonomasia in cui l’amata Sophie si trasfigura nel Cristo stesso. L’amore terreno viene così sublimato e liberato dalle pastoie della carne diventando un amore più puro, più spirituale. Il breve inno si costituisce di due parti in cui la notte gioca un punto di svolta, se la prima parte è caratterizzata dall’assenza di vita, dall’immobilità e dal dolore (amare lacrime, dolore, solitario, privo di forza, vorwärts […] und rückwärts nicht)[10] l’avvento della notte con la sua “estasi” trasmuta l’interiorità del poeta, la morte/notte viene trasfigurata in una spinta vitalistica nel suo opposto divenendo così la vera vita/luce[11].
Nel quarto inno si amplia la dimensione del sogno e del sonno menzionata nell’inno terzo, dove il sogno coincide con la presa di coscienza che la morte attua l’unione con la sfera celeste. In termini cristiani però la morte è passaggio alla nuova vita, alla vita eterna. Infatti nell’inno si parla di “pellegrinaggio alla tomba santa” che ricorda il tumulo della compianta Sophie, ma si riferisce al grembo materno della terra in cui giace il corpo del Cristo in attesa di rinascere alla vita, sconfitta la morte nella resurrezione. In questo viaggio mistico il poeta, dal monte, “oben […] auf diesem Grenzgebürge”, non vuol più ridiscendere, come gli Apostoli nel Vangelo[12] vorrebbe sistemarsi in “capanne di pace” una volta assaporata “l’onda cristallina” del sangue versato dal grembo[13]. Eppure nei versi successivi manifesta è la lotta interiore che il poeta combatte con la luce e il giorno, richiami alla vita mondana, al secolo e alle fatiche umane condensati in quel “weckst du […] zur Arbeit” e nell’ “[…] agitare le mani operose”[14]. Il giorno resta però solo una imperfetta caricatura del mondo spirituale dove “non sono ancora maturati questi pensieri divini” per via della “lontananza dalla nostra patria”, la notte[15]. Negli interrogativi che seguono il poeta dichiara fedeltà alla notte, dalla quale dipende e senza cui non sussiste il giorno. Continua poi il motivo dell’esaltazione della morte di cui la Croce è effige, “insegna della nostra stirpe”[16], asse del mondo che rievoca il motto cristiano ‘stat crux dum volvitur orbis’. In un’unione divina allora l’amato, ormai distante dal mondo terreno “guardo dall’alto laggiù, verso te”, chiede al Cristo di diventare un tutt’uno “perché mi addormenti e impari ad amare”[17].
Nel quinto inno si ricostruiscono a ritroso le varie tappe della creazione vissute dall’umanità, dalla caduta degli dèi all’avvento del Cristo redentore che conclude e sistematizza l’intero cammino iniziatico intrapreso dal poeta sin dal primo canto verso la morte liberatrice, quel “Sehnsucht nach dem Tode” che titola l’ultimo inno. Nell’epoca dell’oro in cui gli uomini vivevano in rapporto armonioso con gli dèi non conoscevano dolore e morte, “vivevano felici” in un bucolico paradiso terrestre inondato dalla luce, “nell’abbondanza” tra “grappoli” e “covoni” in una “sacra ebbrezza d’amore”[18]. La “festa dei figli del cielo e degli abitatori della terra” viene però interrotta dalla morte, che fa assaporare “l’angoscia, le lacrime e il dolore” insieme all’incapacità degli dèi di trovarne il rimedio[19]. Il mondo spirituale non pervade più la natura, gli dèi non dimorano più sulla terra, prende forma la separazione tra la più alta sfera celeste e quella terrestre[20]. La notte diventa dunque “dimora degli dei”[21]. L’avvento del mondo nuovo è segnato dalla nascita del Cristo, uomo nuovo, rappresentato nella “povertà di una […] capanna”, essendo “figlio della prima vergine e madre”, la Vergine Maria, così “la rigogliosa […] sapienza d’Oriente” allude ai magi che “resero omaggio con profumo e splendore” mentre “una stella le mostrava il cammino”[22]. Cristo diventa dunque la morte, la via che dirige alla vita eterna[23], con la sua passione, morte e risurrezione[24] libera l’umanità riconciliando il mondo degli dèi pagani, di cui il cantore “dell’Ellade” ne è l’epitome[25], col mondo cristiano. Se all’inizio si dice che i popoli adoravano la “fiamma come la cosa del mondo suprema”[26] ora convertiti adorano “il sole di noi tutti” il Cristo che emana la luce del Padre[27]. Amore e calore si sovrappongono, così “tanti spiriti, ardendo consunti in pene” si rivolgono al Cristo trasformando in “chiare stelle” “l’ardore intimo” dell’umanità[28]. L’inno si conclude col trionfo di eros su thanatos.
L’ultimo inno, dal titolo “Sehnsucht nach dem Tode”, chiude il cerchio in quanto il poeta trova finalmente risposta ai suoi interrogativi iniziali quando s’interroga: “qui nel mondo che fare se la nostra fedeltà più non conta, né l’amore?”[29], la risposta non tarda ad arrivare “Più nulla abbiamo qui da cercare – il cuore è sazio – il mondo è vuoto”. Alla vacuità della vita e dei piaceri del mondo si contrappone l’ansia inappagata dell’infinito, del tempo passato, tempo spirituale in cui gli uomini “conoscevano la mano e il volto del Padre”[30]. Il sonno della morte è la via per ricongiungersi all’amata Sophie e “tornare alla casa del Padre”[31] che infine si alterna al “sogno [che] spezza i nostri legami e ci immerge nel grembo del Padre”[32].
Si conclude così il pellegrinaggio interiore del poeta sospeso tra vita e morte, cielo e terra in cui la costante è sempre l’amore declinato su più livelli dal personale all’universale, parabola secolarizzata dell’amore per Cristo in cui riemerge vivida l’immagine dell’amata Sophie.
[1] Laureato in Lingue e culture straniere occidentali e orientali presso la facoltà di Lingue dell’Università degli Studi di Macerata e ha conseguito ivi la laurea magistrale in Lingue, culture e traduzione letteraria.
[2] Novalis, Inni alla notte, canti spirituali, Garzanti, 2023.
[3] Sul concetto di bilden, in Fichte e Novalis: Ivaldo, Marco, Dottrina del figurare (Bilden) e ontologia dell’immagine nel tardo Fichte, FOGLI DI FILOSOFIA (2015), 75-87.
[4] Sul misticismo in Novalis: Toy, Walter D., The mysticism of Novalis, Studies in philology, 15, 1, 1918, 14-22. http://www.jstor.org/stable/4171721.
[5] Novalis, ibid., 5.
[6] ibid., 7-9.
[7] ibid., 11
[8] Sulla figura di Sophie von Kühn: Stockinger, Ludwig, „Sophia sey mein Schuz Geist“ – zur literatur- und kulturgeschichtlichen Bedeutung des Verlobungsrings von Novalis und Sophie von Kühn. In: Gestern | Romantik | Heute. (31/08/2024). https://doi.org/10.22032/dbt.59079
[9] Novalis, ibid., 13-15.
[10] Novalis, ibid., 17
[11] ibid., 19
[12] L’episodio narrato nei Vangeli è riferito alla trasfigurazione di Gesù, in Mc 9, 2-13 si parla di capanne, in Mt 17, 1-13 e Lc 9, 28-36 si parla di tende.
[13] ibid., 21
[14] ibid., 23
[15] ibid., 27
[16] ibid.
[17] ibid., 29
[18] ibid., 31-33
[19] ibid., 33
[20] ibid., 37
[21] ibid., 39
[22] ibid., 39-41
[23] ibid., 43
[24] ibid., 45-49
[25] Hiebel, Frederick. “The hymns to the night” In Novalis: German Poet-European Thinker-Christian Mystic, 10:68–78. University of North Carolina Press, 1954.
[26] Novalis, ibid., 33
[27] ibid., 53
[28] ibid., 51-53
[29] ibid., 57
[30] ibid., 57
[31] ibid., 55
[32] ibid., 61