Eterno Ritorno
Di Marcello Chinca
L’emicrania non lo abbandonò che ad intermittenza, dovette ricorrere al laudano sin dal mattino, mangiò appena, la zuppa di verdure gli parve insipida. Non poté fare a meno di pensare a lungo, col fervore usuale, disteso ad occhi chiusi sopra al letto, riflettere era la sua risorsa maggiore ma anche una cesura al suo equilibrio mentale se la notte l’aveva passata insonne. Spesso ricorreva a sonniferi per immergersi nel sonno, arreso infine al suo lavorio mentale, esausto senza più nessi col reale. Quel pomeriggio rilesse la traduzione in tedesco delle Upanisad, poi si sedette allo scrittorio, intinse il pennino nel calamaio. Subito si sentì pervadere da un senso di nausea. Ripose il pennino. Attese ansimando che passasse ma non passò.
Dovette alzarsi di scatto, stava per vomitare, brancolò con la mano sulla bocca sino al bagno, s’inginocchiò sul water e vomitò a lungo, rantolante e sudato. S’asciugò sopra il lavandino, si guardò allo specchio. Non era vecchio, no, dai lineamenti trapelava un volto scavato, segnato di rughe sulla fronte prominente, quei suoi occhi vigili e fermi d’acutezza erano infissi dentro orbite oculari profonde come cripte, gli zigomi sporgenti sulle folte sopracciglia, l’osso occipitale prominente, la sua barba curata non ancora ingrigita del tutto. No, non era ancora un vecchio. Riconobbe la sua forma usuale, vide ricomporsi le sue iridi, riprendere colore e densità la sua epidermide. Quella forma della sua fisionomia, quel volto ancora catatonico, erano l’unico segno della propria conoscibilità, ora. Lui Nietzsche.
Si bagnò con i palmi della mani i capelli folti color cenere. Ritornò nello studio, prese posto davanti alla scrivania. Riprese il pennino. Lo ritinse con cautela nel calamaio.
‘La mia esistenza è un Tremendo fardello, da qualche tempo l’avrei ripudiata se proprio in questa condizione di dolore e di quasi assoluta rinuncia non facessi prove ed esperimenti istruttivi. Questa sete di conoscenza m’innalza sopra vette sulle quali trionfo su ogni martirio e disperazione.’.
Da quando aveva dimesso come abito mentale ogni ricorso alla consolazione, riusciva a riflettere sulla malattia con maggiore sollievo, col tempo gli riusciva di rintracciare nel pensiero ogni minima sofisticazione, in ciò era implacabile. Nulla a confronto con quanto aveva deposto nella discarica dell’Umanità dolente ed orfana del loro Dio. Liberarsi di fandonie e falsità l’aveva lasciato per anni in una specie di Stige senza speranze. Poi aveva inteso la via da percorrere, quella più indigesta, quella più difficile. Si sentì allora dentro tutta l’impellenza davanti alla voracità del dilemma! Non se ne poteva più sfuggire! Epica anche del proprio destino riconnesso al Ciclo cosmico. Ecco lui si sentiva davvero un precursore!
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Fu durante un’escursione, la sua preferita attorno al lago di Silvaplana a St. Moritz, stava immerso per lo più nella penombra del bosco quando in una radura scoprì questa roccia a forma di piramide, l’idea dell’Eterno ritorno gli derivò da lì, da quella freccia che indicava oltre l’Uomo. Non fu lui a fare questa scoperta, le teorie hindu già l’avevano certamente influenzato, altri n’avevano scritto, ma fu qui tra i boschi dell’Engadina che Nietzsche trovò il bandolo, la chiave di volta di tutto. Non lo giudicò mai come un risultato, ma una folgorazione sì, l’ingresso ad una biosfera senza tempo, di fronte alla essenza stessa del cristallino, quella sua durezza intangibile che è prerogativa do ogni Legge cosmica.
Quello stesso giorno, a tavola in cucina si preparò del latte caldo e biscotti, li mangiò con avidità, poi si prese la testa tra le mani, crollando col capo in un pianto sconnesso ma ancora trattenuto dal terrore. Sarebbe sempre scivolato su una lastra di ghiaccio, questa via lo avrebbe reso incapace di intendere oltre, sarebbe infine giunto al culmine, troppo distante dall’Uomo. Sino a divenire muto della sua Verità!
‘Un errore dopo l’altro’ scrisse quella sera ‘ un errore dopo l’altro viene tranquillamente fatto scivolare sul ghiaccio, ma l’ideale non è confutato, congela…’
Il Viandante e la sua ombra che n’è l’interlocutore, l’Atman, l’irrequietezza che segue e vede ogni nostro atto, la sua mano possente sulle intenzioni. Questa Coscienza vorace cui nulla sfugge.
Ora davanti a lui s’innalzava l’inesprimibile, l’albero della vita con le radici in alto, piantato oltre la terra dell’Uomo cui solo il fogliame è ancora visibile misterioso nel suo frusciare simile ad un avvertire ultraterreno, un segnalare sinistro la cui via sta oltre l’apparenza.
Lou, si Lou! Quando l’aveva vista la prima volta ne rimase impressionato. Era l’ideale di donna che aveva sempre temuto, libera ed intellettuale, bella ed iconoclasta, a suo modo fedele, pur nella sua naturale magnanimità verso uomini e donne senza distinzioni che le fossero piaciuti. Lou Von Salomè, sedici anni in meno di lui, l’aveva catturato da subito nella sua maglia di moine e persuasione. Bellissima, occhi cerulei caldi e seducenti, svegli ma con i caratteri tenui e pazzoidi dei russi, bontà ed allegrezza. Si erano conosciuti a Roma una fine estate dentro la Basilica di S. Pietro, accanto l’altare. Si fissarono a lungo prima di stendere la mano. Lei disse: Da quali stelle siamo caduti l’uno contro l’altra?’ ‘Da un’unica stella, Madame’. Lui le fece il baciamano prosternato. Appena rialzò il volto lui sentì da subito che l’avrebbe adorata, l’adorava, lei sapeva bene chi fosse, l’unico filosofo vivente che lei ammirava da tempo.
Dopo poco tempo a causa della sua imperterrita impetuosità s’era arrischiato di chiederla in moglie senza indugi. Lei propose di attendere e di far prevalere tra loro una libera relazione in cui a contare fosse unicamente il loro cuore. Lui accettò suo malgrado. Intendevano vivere a Parigi assieme a Paul Ree, vivere in comune. Lui immaginava con loro una vita girovaga e randagia. Ne fu entusiasta di questa prospettiva comunarda.
C’è una fotografia che li ritrae tutti e tre, lui e Ree davanti al carretto, Lou dietro con un volto colmo d’irriverenza, erano a Tribshen e lui le musicherà una poesia poco dopo, titolo altisonante ‘Preghiera alla Vita’. Soggiorneranno per anni tutti e tre a Berlino, poi Vienna, Lipsia, Monaco, Basilea, Naumburg, St Moritz.
Durò il sodalizio, finché non comparve il pungolo della gelosia, questa disdetta che assume ogni volta forme inesplorate, difficili da ricondurre a ragione. Nonostante tutta la novità di quella vita assieme randagia senza preclusioni, senza pregiudizi, nonostante tutta l’alea di libertà che pensavano invincibile, precipitarono loro stessi in uno psicodramma senza esclusioni di colpi, perdendo tutti e tre il senso di un sodalizio che era stato felice e dinamico della loro vita, Nietzsche rimase un’altra volta solo. La solitudine fu l’autentica Bestia immonda che lo avrebbe fatto soffrire per tutto il corso della sua vita, aver mancato l’occasione di un’Umanità meno spuria, meno avvilente.
Nietzsche era uno zigano ma soprattutto un solitario per vocazione, e non era soltanto per una questione di salubrità questa sua esigenza inquieta del viaggio. A Rapallo sosterà più volte, compiva ogni mattina a piedi l’escursione che attraversa l’intero golfo sino a Portofino. Amava la vista del mare scintillante dietro una macchia di pini marittimi contorti, la scogliera a strapiombo con le sue agavi lanceolate, il brillare accecante dell’acqua. Il sentore di terra e resine, luci ombre dal fogliame sussultante dal quale si affacciava a tratti l’azzurro tenue del cielo, il suo cammino ancora agevole risoluto, il ritmo del suo respiro animale, i suoi passi uguali tra guizzi di lucertole e frulli d’ali di falchi o gabbiani.
Inebriante ecco la parola, essere come il primo essere umano della Terra, il suo sguardo ancora modesto così agevole, così carico di meraviglia e in cerca di promessa. Il vino la sera a tavola lo faceva ciarliero col suo cattivo italiano appreso dai libri, un tantino sforzato ma comprensibile agli astanti. Lo reputavano un poco stravagante con le sue sveglie all’alba, vestito da esploratore alpino, col suo zainetto di cuoio, il bastone col grifo sormontato dall’aquila.
Per cena però era atteso con una sorte d’apprensione. Ciascuno voleva sapere dove era stato, quali erano state le sue impressioni. Lui ne dava sempre un quadro fantastico, pieno del suo entusiasmo teutonico. Si avvertiva la Bellezza dentro le sue parole. I più riscontravano in lui un animale incline alla socialità dopotutto, nonostante la sua fama ed il contegno da burbero che a volte assumeva, seppure se ne restasse spesso solo nei suoi percorsi pedestri o intento alle sue letture nella terrazza veranda prospiciente il golfo.
A volte rimaneva per l’intero giorno fuori al sole ed al vento. Si fermava a Santa Margherita per un panino ed un bicchiere d’acqua. Poi leggeva seduto sulla panchina dietro l’ultimo filare di vite, appena all’inizio della mulattiera del ritorno. Respirava l’aria salmastra, poi riprendeva a leggere la schiena dritta, il capo appena chinato da cui s’intravedevano gli occhiali d’osso.
O il Mondo poteva apparire meraviglioso a volte, lui non aveva mai amato davvero il suo maestro, Schopenhauer, per questa sua rassegnazione che gli faceva difetto, il lato etico della questione era del tutto dimesso, in ballo c’era l’Uomo non una semplice automazione etero-comandata, lui l’Uomo doveva trovare l’uscita dal Labirinto. Arthur pensava certo. Questo non l’aveva però capito Arthur, rassegnarsi alla capitolazione era troppo, significava abbracciare il Non senso, affidarsi ad un’unica Potenza oltretutto disgregatrice. No l’Uomo doveva capire da sé la propria immortalità, l’unica plausibile, quel suo modello uguale a se stesso, che il Tempo avrebbe poi destinato a replicare, senza soluzione di continuità. Ab Aeterno. Come la sola legge di conservazione dell’Universo intero. Il pensiero stesso dell’Uomo dentro la fornace creatrice di cui però egli stesso è parte generativa del fuoco. Questa grandezza ancora superstite che fa dell’Uomo anche un creatore, seppure ancora nel novero dei mortali.
Richard nemmeno lo vuole incontrare, il loro scontro era stato così aspro da averne segnato il sodalizio per sempre, senza una via per riparlarsi. Assurdo! Richard è ancora un uomo d’azione, lui crede nella rinascita dello Spirito. Tutto in Wagner è istigazione! Io che lo ritengo un rivoluzionario non ne potevo più delle sue teorie salvifiche del popolo tedesco! Per me la dimensione nazionale è tempo sprecato! Io sono sopra le Nazioni! E poi il popolo tedesco! Il suo essere tribù prescelta! Non per me! Io sono tedesco mio malgrado! I veri fratelli sono possibili in ogni colore e razza, in ogni condizione sociale. Non esiste un popolo eletto! Esistono gli eletti! Senza distinzioni! E poi l’antisemitismo! Che idiozia! Il mio miglior amico era ebreo e non c’è stato giorno che non abbia ringraziato il destino per averlo avuto come amico, Paul Reè sì, Ree.
L’immagine di copertina di Friedrich Nietzsche è presa da wikipedia