Marcello Chinca ha svolto la professione di avvocato per venti anni sino al suo ritiro nel 2007. Svolge ora l'attività di critico letterario e d'arte. Scrittore

Il Conte di Montecristo

Di Marcello Chinca

Bè, qui (Il Conte di Montecristo di Alexander Dumas) parliamo del’assoluto narrativo: la vendetta sacrosanta per una detenzione protratta per venti anni, sepolto vivo, una pena che si è subita del tutto artatamente, la mappa di un tesoro offertagli da un compagno di prigionia, la fuga rocambolesca, il soccorso dei pirati, la scoperta di un tesoro immenso tra le scogliere, il reclutamento tra banditi e contrabbandieri di ogni risma, la scoperta della morte del padre morto di crepacuore, il tradimento dell’amata ignara che lui fosse vivo, l’uso della violenza pienamente legittimo, il rancore e la pianificazione della vendetta come let-motiv della narrazione, la spregiudicatezza dell’ordito minuzioso contro l’ordine borghese corrotto, subito trasformista, opportunista ed avido sino al midollo in pieno clima revanscista post napoleonico.

L’inganno come strategia, il mascheramento e l’uso sagace delle armi proprie del Potere, dei feticci del Potere, delle sue apparenze che ingannano, per attuare tutto questo: l’escalation incessante verso una speculazione fredda e  totalitaria contro i carnefici responsabili del suo internamento, ordito che non risparmia nemmeno gli innocenti, senza sconti, implacabile, vorace e feroce nell’inflizione della pena come solo il Potere ne sarebbe capace, l’umanità che fa i conti con la lacerazione subita e con quanto va fatto in nome dell’umanità stessa se vuole sopravvivere a se stessa come specie umana, libera, raziocinante.

Un libro che aizza a non arrendersi, mai dico, ad attendere elaborando il male come necessario, un Male congegnato abusando del vademecum dell’uso della forza più delle stesse tesi del Macchiavelli, un Male inevitabile contro ogni oppressione ‘che insiste, batte la lingua sul tamburo in grazia della sua impunità di classe, del suo livore odioso contro la massa degli esclusi dal bottino, della sua accidia, del suo vuoto interiore, del suo essere concupiscenza e fondamentalmente meschino, dove si evince al posto dell’uomo un’involucro solo in apparenza vivente proteso com’è al guadagno, al privilegio, al moralismo ipocrita, alla vanità, alla mancanza di pietas, al nulla inorganico della propria ed altrui mercificazione. Il libro più rivoluzionario che si sia mai scritto.