Sono nata a Vicenza, città che ha visto la mia partenza e il ritorno, dopo anni passati a Roma, prima all’università e poi a confrontarmi con il mondo del lavoro. Ho fatto l’attrice, la presentatrice televisiva, l’adattatrice dei dialoghi per il doppiaggio. Sono passata sulle tavole dei palcoscenici, negli studi televisivi, tra le scenografie di Cinecittà, sono entrata nelle case di grandi maestri, conosciuto la vita di artisti e di piccoli artigiani, percorso le strade della città eterna. Ho avuto molti giorni felici nella capitale, incontrato tante persone, dalla più umile alla più boriosa, respirato l’aria di una città elefantiaca e affascinante, guardato mille tramonti con la quinta di un colle punteggiato di pini dagli alti fusti o attraverso archi e fori della sua grandezza. Ho fatto progetti, mi sono disperata, ho stretto amicizie, le ho perdute. Fino al momento in cui è diventato tutto più chiaro: abbandonare Vicenza significava abbandonare un’idea di creazione attraverso la scrittura. Non so perché ma è stato così. Oggi tutti desiderano scrivere, molti lo fanno, sembra facile, meno semplice è crearsi gli strumenti adatti, far crescere un talento mai affinato. Così ho lasciato Roma per Milano e Milano per Vicenza, la mia città. Ora esploro le mura del mio studio. Il resto lo trovate sul suo sito rossellapretto.com

Tra le righe dei naufraganti, Ariano-De Falco

Di Rossella Pretto

Ne percorri i cunicoli abbacinanti – dall’alto è solo crepa – seguendo il filo spezzato delle voci (non prevede uscita, il labirinto). Si accalcano negli incroci, si sfiancano fino a svellere le identità – una e collettiva, nel bianco impossibile del crollo. Alto un cielo che arranca, così azzurro nel modello che rincorre e ti dice l’anelito, o forse solo il ricordo. Ma presto gli occhi si stancano e tornano al magma del bianco, della voce che dice e racconta e memorizza e affianca, l’uno all’altro, i fatti, la storia, gli abissi di un reale in-credibile. Ciò che accade. È accaduto. E riaccadrà, nel profilarsi ancora del paradigma, nel suo rifarsi.

È così che vedi I naufraganti, poema a quattro mani scritto da Luca Ariano e Carmine De Falco per Industria & Letteratura e ospitato nella collana Extra Moenia diretta da Filippo Davoli e Gabriel Del Sarto (2025, euro 12), lo vedi come il Cretto di Burri che ha marmorizzato le rovine di Gibellina. Sono incastrate lì le storie, è lì l’umanità tutta, è dove scivola e si disarticola e per sempre sussurra e ricorda e addita quel male che è il peso morto della storia, secondo Gramsci citato in epigrafe (e nume tutelare), e cioè l’indifferenza. L’indifferenza che macina e tritura e assomiglia e svampa. Quel niente che fa crollare il cielo sfranto, lo infossa nel caos delle vie che sono strappi del cemento.

Ariano e De Falco si ritrovano, dopo Resistenti (d’If 2012), a scrivere insieme per riprendere le fila di un discorso collettivo d’impronta politica e dai toni civili.

«Le bandiere della pace, le abbiamo alzate, tenute, anche strappate, lacerate, annerite dopo qualche anno da tutto lo smog assorbito nelle capitali. Le abbiamo portate a mano nelle piazze. Era un marzo del 2003. Sembrava impossibile, a noi polacco, irlandese, svedese, a noi spagnolo, tedesco, francese, che l’Europa fosse questa, che lo si permettesse. La bandiera s’alzava, proteggeva l’ideale, ci faceva grandi e uniti».

Dal puzzle dei loro versi, alternati in alcuni casi alla prosa, emerge la mescola dell’oggi in un presente eterno che accasa tutto e tutto equipara, anche se sembra sempre la prima volta, come col covid, il lockdown, l’entrata nei Campi, gli abomini, la guerra che è sempre nuova e ricomincia vecchia, e tutto si assomiglia, è Belgrado e Sarajevo, Do you remember Sarajevo?, il documentario cucito con le immagini che i cittadini filmarono invitati dal sindaco a riprendere le atrocità di cui erano vittime, è il Sarajevo War Theatre di SARTR, è ciò che si può fare, ciò che si poteva, è la guerra in Europa già da tempo, non ricordi?, è oggi, è Gaza e una madre che tenta di tenere un figlio al riparo – non vedi che sono fuochi d’artificio? -, sono i naufragi, si direbbe della speranza ma sono proprio i corpi a naufragare, è la fila degli annoiati, è la coda dei cadaveri che dovranno trovare posto, ammassati e bruciati ancora, sono i braccianti di un tempo che adesso sono rider, anche loro assiepati nella piazza «in attesa di una chiamata da poco, / una corsa per non rimanere a digiuno»

C’è una vena di rimpianto (un avamposto di nostalgia, come per Chacaltaya, in Bolivia, il complesso sciistico più alto del mondo, a più di 5000 metri, che però il surriscaldamento globale ha disciolto – «folklore è quel che resta alla fine della neve»), sono i ricordi che sgusciano impertinenti, e l’oggi si appaia a ieri, confligge e si sversa nella mente, si stende tra i versi.

Ma davvero siete gli ultimi

ad aver visto quelle stagioni?

Ancora ricordi i cumuli di neve,

tuo padre a spalare per uscire

e l’attesa della primavera

un volo di uccelli migratori.

Dove sono quei riti millenari

della terra e feste da celebrare?

Ci pensi sotto quella bomba di grandine

che mitraglia il tuo tetto, acqua

nelle fessure di legno di una notte insonne.

Vi regalerete le vostre ore

e quel timore un pensiero da scacciare

come la carezza di una madre

su una fronte di febbri e malanni.

Ardono foreste di popoli scomparsi, lingue,

tradizioni e animali estinti

impagliati da qualche Bottego

in fotografie di seppia.

Loro mai si ripresero dall’inverno

contano amici scomparsi:

nessuna preghiera li placherà.

Eppure poco prima si era detto:

ce la caveremo in un modo o nell’altro,

basterà solo toccare il fondo e risalire su

netti, radicali.

Epperò, forse niente basta. Perché in fondo, dicono Ariano e De Falco,

Non ci siamo poi mossi di tanto

dalla rivoluzione industriale

spostate forse le cose

ma la cultura

non serve che a renderci lieve il dolore

Il presente ha portato un futuro annichilente, ha insediato l’inumano nell’umano:

Sarà l’ultima guerra di bombe

e tank alle frontiere:

cyber guerrieri programmati,

colpi chirurgici a depredare case,

cretti di carne umana.

Non ci saranno più spermatozoi

feticci bruciati dalla chimica.

Bisogna farci i conti e pensare che «È quando ci scordiamo della storia / che siamo condannati ad ogni aggravio». Però, appare fin da subito evidente che:

Vi siete assuefatti alle sirene

– senza rifugi ipogei –

ma l’unico antidoto ritrovarsi

in un biondo abbraccio

nel cuore di un Inverno funesto.

Ecco, come troppo spesso dimentichi, tu e tutti, è questo l’unico antidoto. Un rimedio che, a differenza di quanto asserito sopra (e cioè che la cultura serve solo a rendere più lieve il dolore), bisogna estrarre dal nucleo velenoso della realtà per ritrovarsi a schiena dritta, resistenti e consapevoli, ma proprio per questo capaci, pur nella catastrofe, di abitare «un biondo abbraccio». 

I naufraganti
Extra Moenia
Luca Ariano; Carmine De Falco
poesia
Industria & Letteratura
2025
72 p., brossura