Zoo et similia
Di Marcello Chinca
Sostenere che una visita ai giardini zoologici avrebbe almeno il senso di una partecipazione psichica al destino crudele dell’animale rinchiuso, rischia quasi sempre di far impelagare l’ignaro in un vivace scambio di opinioni che non s’aspettava. Ai partigiani della liquidazione umanitaria degli Zoo non convince nemmeno che gli stessi Zoo che questi zelanti vorrebbero demoliti rappresentino almeno l’occasione di scorgere varie specie animali che mai vedremmo dal vero se non trasmessi dalla televisione.>
Con ciò non è che se ne voglia difendere la fondazione coloniale, la sua funzione da Belle Epoque contiene rimanenze da propaganda positivista, motivo di sfarzo ed assieme segno visibile dell’estensione planetaria assunta nel XIX secolo dalla potenza del commercio occidentale, quanto oggi lo Zoo pare in disuso nel momento in cui è giudicato ormai solo alla stregua di un acronimo di quegli antichi splendori, in cui l’anacronismo fungerebbe solo da vestigio di quel Dominio oggidì planetariamente ammesso in via di dissoluzione. Il raccordo simbolico s’è perso in un’archiviazione dell’intera questione, ma nel corpo collettivo è rimasto chiarissimo: quella della Supremazia occidentale è storia superata, superata da parimenti forze più propizie verso gli orizzonti di un futuribile imperiale.
Scorgere la tigre deambulare avanti ed indietro, ben conscia dei visitatori a qualche passo dalla sua gabbia, questa scena che delinea un assoluta dispersione di energia diventa fatalmente occasione di immedesimazione per chi guarda. Commuove la considerazione che quell’andare su e giù sia l’unico sfogo e modello della sua deplorazione e nonostante la univocità forzata dallo stato di cose anche quel deambulare senza ragione parrebbe svelare una direzionalità propiziata solo com’è dall’immaginario. Ogni detenuto si sa, ricorre a quest’espediente, compresa questa tigre inquieta di cui affascina lo sforzo tutto mentale che compie sulla scia sempre mancata della propria identificazione di predatore e riproduttore seriale.
Si scopre così che è un Essere anche colui che vive costretto tra mura e bastioni, anzi è proprio dalla sua condizione di cattività che si scolpiscono qualità e asperità del carattere che costituiscono la fiera alterità che ne fa un individuo. Rimane che quello spaesamento evidente della tigre, quel suo status da esclusa ad libitum dai traffici consueti alla sua specie, si scavi un’apertura nella riflessione del visitatore solo se questo sarà capace di un più cruciale riesame che non si fermi al solo patire la condizione di cattività dell’altro, senz’altra risultato che questo insultante modo di vedere la questione.
E’ in capo all’Uomo che manca sovente la fantasia per un giudizio a tutto tondo. Si dovrebbe declinare la sola partecipazione emotiva che s’arresta in un ancora tiepida commozione, accogliersi invece nello sforzo interagente nella relazione coll’animale, quando pare che stia per comunicarci qualcosa.
Lo si relega invece all’esemplarità della sua specie, al clichè con cui è sfuggito allo sterminio di massa indiscriminato. Non ci si cura che di esteriorità e si dimentica di scrutarne caratteristiche che ne fanno persino un individuale. Se c’è uno scatto di fantasia lo si immagina nella sue funzioni esemplari mentre caracolla nella savana infuocata, ma mai nella sua condizione attuale, forse più dolente: la verità esistenziale di questa sua vita cosciente che è così come obnutilata.
All’Orizzonte della riflessività non s’è affacciata alcuna chiarificazione perchè non s’era neppure posta la domanda che era richiesta. L’altro, la tigre siberiana, è rimasto estraneo al nostro percepire, la sua riflessione ignorata, il suo procedere seriale motivo di un sorriso inerme, oppure dettato dallo stesso sconforto che avallava il già eleborato pessimismo come motivo di fondo d’ogni inazione, se ridotta a ‘nulla questio’ l’idea stessa di Salvazione.
Come non dedurranno mai efficacemente i cosiddetti cultori della liquidazione degli Zoo, anche tra mura e fossati, gabbie e steccati, anzi proprio in simili condizioni di cattività, si enucleano anche qui tutte le categorie intatte della Natura, e se così è, si dovrebbe sempre testimoniare di quell’atto dovuto che è sempre vicinanza emotiva, la stessa che è riservata al compagno carcerato, se fossimo con lui noi stessi nella sua cella.
Si capirà forse che a quello snaturamento che la detenzione comporterebbe come inconciliabile all’altro si accompagna il nostro stesso smarrimento in un Mondo che non riconosciamo ma al quale nessuno vuole rinunciare. Quel Mondo, non importa dove o come localizzato, è pur sempre lo spazio vitale del nostro afflato che è questo continuo esplorare indefettibile.
Una visita allo Zoo non è allora unicamente dettata dalla lusinga del suo fascino esotico, indispensabile è che si affronti un viaggio metapsichico in un luogo che è generalmente di privazione e di dolore. Scoprendo che ciò che s’avverte come privazione della libertà riguarda sì la tigre ma fatalmente l’Io stesso del visitatore e con lui l’intera dolente Umanità.
L’immagine di copertina è presa da huffingtonpost.it credits danhenson1