Il femminile
Di Marcello Chinca
Il femminile è ancora dopotutto il calco del dominio della società maschile, ma non perciò meno infausto nella sua aspirazione borghese se contribuisce come il maschile alla reificata mutilazione sociale dell’individuo
Nella propria prigione irriflessivamente la donna cerca l’amor fati nel conseguimento del proprio insediamento quale amante e madre, insediamento sul quale ha da sempre fondato la propria individuazione e ciò anche a discapito d’ogni vera istanza non eteronoma di verità.
Col XX secolo la donna ha rivendicato però anche la pretesa del suo inserimento sociale senza denegarsi perciò nel ruolo di amante e madre. Aspetti come la sua delicatezza e fragilità visti come caratteristiche connaturate d’ogni donna non celano tuttavia l’ansia dell’agognato adattamento in un Mondo che non ha mai riconosciuto la donna esaustivamente.
E’ vero allora che la nevrosi è il gesto maligno della esasperazione suprema, la risposta irriflessiva a questo dovere impostole cui fa da spauracchio da sempre il rischio del proprio mancato adattamento, una reazione si direbbe dettata appunto dalla disperazione di uno spaesamento. Al contrario, l’entità originaria che la nevrosi tende a riportare in superficie non apre alcuno spiraglio sulle cause vere della propria oppressione monadologica. La si persiste ad intendere psicoanalisticamente quale riflesso al cosiddetto complesso di castrazione, invece che connetterla più correttamente al mancato riscontro esistenziale cui l’intera analisi sulla instabilità nevrotica andrebbe ricondotta.
Allora in cosa consisterebbe davvero questa declamata emancipazione? Il suo inserimento organico nei meccanismi produttivi e decisionali della Società parrebbe in verità mera partecipazione alla corsa dinamica tutta tesa al conseguimento della carriera e all’acquisto dei beni, su un terreno cosiddetto di parità con l’uomo. La sua esaustiva emancipazione consisterebbe davvero solo in questa aspirazione di partecipare al processo capitalistico con uguali diritti del maschio? Il suo valore aggiunto sarebbe allora questo livellamento sociale in cui la donna avrebbe perso anche le sole prerogative che le rimanevano nella Società capitalistica, ossia quelle dirette alla cura della famiglia?
Come l’uomo anche la donna, inserita ormai nel processo di produzione, è complice in realtà nell’abbattimento della immediatezza della sessualità, che donne e uomini hanno finito per tramutare in funzione fisiologica, deprivando la stessa sessualità dal suo unico compito istituzionale e cioè quello del conseguimento reciproco dell’ebbrezza. Lo stesso senso della fascinazione che sempre è stato base dell’attrazione nella coppia sarebbe infine solo un fuoco fatuo destinato a spegnersi dopo che tutto sia stato ripristinato all’ordine delle cose che è poi sempre la legge invisibile ma immanente della surrogabilità in cui anche l’amato è sempre un bene dopottutto intercambiabile.
Se l’amarsi era un tempo immediatezza del sentimento di una comune appartenenza e quindi aspirazione un un destino condiviso, oggi anche la donna ne esigerà il filtro di una calcolabilità in termini di prognosi degli interessi in ballo e se per sventura una donna dovesse essere così pazza da sentirsene esentata provvederanno madre suocera nuora e sorella a riportarla in camicia di forza sul terreno della realtà.
Tramite argomentazioni basate sulla ragionevolezza sempre correlate al calcolo prognostico sino al vero opporsi maligno a ciò che si giudicherà come un’ossessione ingiustificabile dal decoro borghese, questo stesso decoro sarà sempre il vero colpo di grazia alla magnanimità, la sola matrice alla libera autentica esplicabilità dell’amarsi. L’intermezzo della libertà non è ammissibile nemmeno nell’amarsi, vale qui il detto ‘omne animal post coitum triste’ a rinforzarne il senso di relatività come tutto il resto appartenga al regno dello scambio. Tutto scorre nel tempo compresa la presunzione intollerata dell’intransigenza dell’amarsi.
E’ allora il disprezzo verso l’amare libero della donna a configurarsi il più esiziale di minaccia alla legittima aspirazione all’ebbrezza, nel tentativo reiterato con cui la donna è ricondotta al suo status di privazione affettiva e quindi fatalmente alla risorgenza di quello stesso stallo nevrotico in cui è come rincasellata dalla forza inevitabile dalla pressione collettiva.
In definitiva solo l’amore socialmente approvato, anche se contingente, cioè finchè non entrerà in crisi, sarà il modello corrispondente alle istanze sociali di fondazione familiare, dove non sarà affatto entrato in gioco il principio di piacere che anzi sarà sempre oggetto dell’usuale abuso della ripugnanza.
E’ allora lapalissiano che tra la riprovazione borghese verso l’amore liberato dal calcolo egoistico e la ragazza Pin-Up che vende il proprio corpo al riccone non sussite alcuna differenza ideologica: entrambe le posizioni ricalcano la stessa esigenza imposta alle donne e cioè quel calcolo preventivo ignominoso della propria compravendita, quel preventivare anche nell’amarsi la malizia della convenienza, quel soppesare e disporre il proprio Io al miglior offerente, liquidando così tragicamente l’unico anelito rimasto alla libertà dell’individuo
L’immagine di copertina è Ritratto di signora 1917, di Gustav Klimt. Foto presa da wikipedia