L’agente
Di Juri Lequio
Ci troviamo in Inghilterra vittoriana, dove le città sono tutte uguali, a tal punto che la nostra storia potrebbe ambientarsi in una qualsiasi di esse e così dovrà essere, dato che vorrei lasciare la collocazione alla fantasia di sua signoria il lettore.
Ciò che mi preme specificare è il protagonista. Si tratta di Thomas Erwin: un giovane agente assicurativo, che non ha mai saltato un singolo giorno di lavoro, per malattie sue o di suoi cari.
Il suo capo, convinto della profonda capacità del dipendente, gli affida gli incarichi di maggior prestigio.
Thomas, dal canto suo, spesso si fa lasciare le chiavi dell’ufficio e resta anche abbondantemente l’ora di chiusura, per finire tutto il lavoro che deve fare.
Durante l’inverno, non ama molto rimanere fuori casa a ore tarde, dato che la strada che lo porta dal lavoro a casa non è delle migliori come aspetto e, certi dicono, come incontri possibili.
Si tratta di un lungo viale con qualche albero ormai secco, fantasmi di un passato verde e rigoglioso, illuminato da timidi lampioni, che disegnano fantasmi nella nebbia della sera, rendendo la strada ancora più spaventosa.
Certe volte, gli è parso di vedere spuntare una figura uscire da un vicoletto, di quelli che si trovano in mezzo a due palazzi e che non portano a nulla, se non un muro, di un ulteriore palazzo. In questi casi di solito si lancia in uno dei pub presenti e vi resta per nascondersi da non sa bene cosa, bevendo una birra o un bicchiere di qualche liquore, che di certo lo potrebbe solo aiutare a dormire meglio, secondo la sua idea.
Aveva sentito raccontare di bande di rapinatori, che assalivano le persone facoltose, per ottenere bottini cospicui, da inserire nel già ricco mercato nero cittadino.
Thomas non aveva mai molti soldi dietro, ma l’abito che portava sempre, come il suo mestiere gli imponeva di fare, lo faceva sembrare ricco e quindi ottima preda per questo genere di criminale.
Raccontando tutta la sua storia e l’immenso numero di questi episodi, si raggiungerebbe la lunghezza di un’intera enciclopedia, ma non abbiamo tutto questo spazio e quindi bisogna stringere ai dettagli fondamentali.
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Una sera, durante una di queste passeggiate, si accorse che a un parapetto, si stava tenendo un anziano, che sembrava ormai rassegnato a un qualcosa che lo rendeva immensamente triste.
L’agente non capì subito e si avvicinò per offrire il suo soccorso.
“Ha bisogno di qualcosa?” Chiese con dolcezza
“Come? – rispose l’anziano – Ah buona sera.. no no grazie, mi stavo semplicemente appoggiando per pensare.”
L’uomo sembrava abbastanza confuso e le sue dichiarazioni non volgevano certo a favore della sua salute.
Thomas non capiva a cosa pensasse in quelle condizioni e decise di interrogarlo a riguardo, ma egli disse che quello non era il momento adatto a parlarne. Gli chiese di andare a casa sua e parlarne, ma era ormai tardi e il giovane doveva tornare a casa.
Si diedero appuntamento per il giorno dopo, nello stesso luogo, al pomeriggio, dato che lo studio era chiuso.
Il giorno dopo, come previsto, i due si incontrarono e l’anziano fece strada verso casa sua.
Entrarono in uno dei vicoletti e proseguirono.
Esso sembrava incredibilmente lungo e Thomas era certo del fatto che non era possibile che una strada come quella, potesse durare tanto.
A un certo punto, i due si fermarono e davanti a loro vi era una porta di legno, con spessi cardini di ferro battuto e una serratura di ottone, simile al battacchio posto poco sopra, completamente avvolta dalle ragnatele, come se non venisse toccata da mesi o forse anni.
L’anziano la ripulì con un sorriso e inserì la chiave nella toppa, facendola girare e innescando un gran scricchiolare di ingranaggi arrugginiti.
La porta si aprì e si palesò un piccolo ingresso quasi buio, con un attaccapanni, realizzato con un intero albero, dove i due posero i soprabiti e i cappelli.
Salirono su una stretta scala a chiocciola, piena di polvere e giunsero finalmente nella casa vera e propria.
Al termine della scala non vi erano ulteriori porte e si accedeva direttamente a un salotto, di dimensioni notevoli, con mobili di legno molto chiaro, che risaltavano nell’oscurità, che avvolgeva l’ambiente domestico.
Al centro della sala, vi era un tavolo molto basso, di modo da poterlo utilizzare, stando seduti a una delle tre poltrone in cuoio marrone scuro o al divano Chesterfield, che dominava la sala, con il suo colore nero e la bellezza inimitabile della sua fattura.
Il giovane si sedette su una delle poltrone e il padrone di casa, gli mostrò un bicchiere, in segno di offerta e lui accettò.
Dopo aver preso alcune bottiglie da un mobiletto e averle poste sul tavolino, fece lo stesso con del ghiaccio e si sedette al tavolo.
Mentre ognuno si riempiva il bicchiere, con ciò che più gradiva, l’anziano iniziò a raccontare.
“Come puoi vedere, non sono più molto giovane e ho visto i tempi cambiare di parecchio negli ultimi anni.
Quando ero giovane, circa la tua età penso, passavo le serate in giro per le vie e non succedeva mai nulla di strano.
Adesso sento storie terribili di rapine e altre cose del genere. L’altra sera stavo pensando a un caso che avevo sentito poco prima e non ti ho detto nulla, perché accanto alla porta della merceria, quella che vende anche i bottoni provenienti dalla Germania per intenderci, c’era un losco personaggio e ho sospettato che potesse essere il colpevole, dato che il fatto era appena successo e quello non aveva un aspetto rassicurante.”
Quella storia lasciò di stucco Thomas, che fu sollevato di non essere giunto in quel punto lì prima e che anche il suo ospite fosse arrivato “in ritardo”.
La conversazione proseguì parlando di questo o quell’altro caso di cronaca e i due chiacchierarono come se si conoscessero da molto.
D’un tratto l’anziano guardò la bottiglia dalla quale attingeva l’agente e fece un sorriso.
“Vermouth – disse – Vedo che hai buon gusto. Allora lascia che ti faccia provare questo.”
Andò verso uno scaffale e tolse un pannello, che sembrò fatto di libri, ma in realtà era legno decorato, allo scopo di dissimulare il retro.
Vi erano un gran numero di bottiglie, che vennero dette provenire da una nave che era naufragata anni fa nella baia della città da cui veniva l’uomo e lui aveva recuperato quelle bottiglie per non sprecarle, anche se c’era un motivo se le teneva nascoste.
Cercò qualcosa e,a un certo punto, estrasse una bottiglia incrostata di coralli o robe simili, con una vecchia etichetta marrone e un foglietto, su cui era riportato il contenuto.
Si trattava di un Vermouth e il giovane venne subito sottoposto a una degustazione, senza avere il tempo eventualmente di rifiutare.
Assaggiò il liquido scuro e ne rimase estasiato. Assieme al normale sapore, percepiva una varietà di retrogusti e sfumature mai sentite in un Vermouth, con un bouquet aromatico del tutto inaspettato.
Spese qualche parola in lode della bevanda e non risparmiò di descrivere accuratamente ciò che provava.
L’anziano disse che quelle bottiglie erano riservate a chi gli veniva in visita.
Erano molte e di certo l’anziano non sarebbe sopravvissuto abbastanza da vederle vuote, ma preferiva lasciarle in eredità, pur di svuotarle di persona.
Appena recuperate, le aveva assaggiate tutte, per controllare che fossero ben conservate e che non si fossero corrotte durante il naufragio.
Ci volle un mese per controllarle tutte, dato che non poteva certo assaggiare decine di liquori in un solo giorno, ma tutte avevano un ottimo sapore.
Solo una aveva perso in qualità e il contenuto venne disperso in mare, mentre la bottiglia venne data all’avvocato dell’anziano, una volta trasferito in quella città, con l’ordine di usarla come urna funeraria per l’anziano, al momento giusto.
Questo particolare sarebbe stato meglio fuori dalla mente di Thomas, ma non ci diede troppo peso, dato che quel tipo sembrava piuttosto strambo.
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Dopo qualche ora, l’anziano disse che doveva andare a preparare cena e diede appuntamento al giovane per un giorno che casualmente si fossero incontrati al solito posto.
Thomas se ne andò e si avviò verso casa.
Si sentiva leggermente la testa girare, ma non ci fece caso, dato che il sintomo era lieve e di certo era causato dai tre bicchierini bevuti, o magari da quello strano Vermouth, che aveva una gradazione alcolica non trascurabile.
Nei giorni dopo, continuò il suo normale lavoro e non successe nulla di particolare, se non che i suoi colleghi non lo guardavano più con
i soliti sguardi e gli chiedevano se andasse tutto bene.
Egli non capiva, ma apprezzava l’interessamento.
Nei giorni successivi, si sentiva sempre più stanco e smise di restare fino a tardi al lavoro, cosa che rallentava le sue mansioni, ma che non dava troppo fastidio al suo capo, che appariva invece preoccupato.
Man mano che passavano giorni e mesi nella sua mente apparivano ricordi di vite mai vissute e avrebbe giurato che sapeva di aver fatto cose che in realtà non avrebbe mai fatto.
Le sue condizioni peggioravano e decise di farsi vedere da un medico.
Giunto in ospedale, venne messo in una stanza e le infermiere si occuparono dei suoi effetti personali, mettendoli in un armadio a lui riservato. Appena leggevano i suoi documenti, restavano a bocca aperta e lo sottoposero a un enorme numero di esami.
Tutto sembrava nella norma, ma qualcosa non andava in lui. Continuava a sentirsi sempre più stanco e quei ricordi di vite non vissute, gli riempivano la mente in modo quasi invasivo.
Passò un mese e, in piena notte, venne colto da un profondo delirio, nel quale vedeva immagini assurde di viaggi e avventure irrealizzabili.
Chiamò l’infermiera e si fece dare un potente sonnifero, che venne prontamente autorizzato dal medico, che venne svegliato per l’occasione.
Dopo aver dormito tutta la notte, si svegliò al mattino presto e si rese conto di essere a casa.. forse era stato un brutto sogno.
Poi si rese conto di non essere nella sua camera da letto. Andò in bagno a prepararsi per la giornata e vide che non era il suo.
Vestiti, oggetti, cibi e bevande per la colazione, non erano i suoi.
Giunto nella sala, si rese conto del fatto che era in casa dell’anziano.
Come c’era arrivato?
Andò a uno specchio, dato che in bagno non ve n’erano e rimase sconvolto.
Davanti a lui vi era un anziano, di forse cento anni o più.
Corse per strada e, in preda alla disperazione si appoggiò a un parapetto con le mani nei capelli.
Sentì una voce…. “Si sente bene?”… Era un giovane di una trentina di anni.
L’immagine di copertina, presa da npsedizioni.it è Temple gardens, di Louis H. Grimshaw