Il caravan. Lungo le strade dell’America più vera
Di Geraldine Meyer
La disperazione degli Stati Uniti, al di fuori della rerorica del “sogno americano” è stata raccontata da giganti quali Steinbeck e Faulkner. Solo per fare due esempi. Non si tratta dunque di materia inedita. Eppure. Eppure in questo Il caravan, della scrittrice americana Jennifer Pashley la disperazione sembra avere un sapore acido che ti si ferma in bocca per poi scendere, mentre deglutisci, a bruciare la gola.
Non è inedito nemmeno che questa disperazione venga raccontata in forme narrative che prendano la forma del thriller, o del noir, o, ancor più dell’hard boiled, meglio ancora se on the road. Tutte immagini che qualcuno potrebbe definire clichè ma che, in realtà, sono archetipi culturali. Da cui uscire non è facile e, forse, nemmeno giusto. Una cultura, soprattutto letteraria, non può prescindere da quelli che sono punti di riferimento cardinali. Né si capisce perché dovrebbe farlo.
Questo Il caravan si porta addosso, tra le pieghe e tra le pagine, qualcosa che è fatto di molti riferimenti, letterari e cinematografici. Eppure. Eppure colpisce duro, come se quello che leggiamo ci apparisse, se non nuovo, di sicuro capace di rinnovare domande e riflessioni.
La storia, di per sé semplice, ci viene raccontata da due delle protagoniste, in un gioco di specchi e di rimandi, che narrativamente hanno la struttura di capitoli che hanno il nome e la voce delle due donne in questione: Rayelle e Khaki. La prima, dopo innumerevoli serate trascorse nei bar di South Lake, nel tentativo di riempire con l’alcol un dolore che la svuota, conoscerà Couper, un giornalista investigativo sulle tracce di alcune ragazze scomparse. Con lui e a bordo della sua Gran Torino, inizierà un viaggio negli Stati Uniti del sud, tra strade infinite, cimiteri, motel, caravan park, insegne luminose e stazioni di servizio. Khaki, l’altra voce narrante, sarà la donna misteriosa, cugina o forse sorella di Rayelle, che all’insaputa della coppia, sta facendo il loro stesso viaggio. In una sorta di inseguimento in cui non è certo fino in fondo, chi sia sulle tracce di chi.
Il Caravan è la rappresentazione perfetta della provvisorietà di una intera società, disegnata in modo anche visivamente molto chiaro, da quelle roulotte che, per molti americani sono una casa. Una casa che, spesso, viene abbandonata ad arrugginire mentre si parte per un’altra meta provvisoria. Come provvisorie sono le relazioni umane. Una storia di violenze domestiche, di disagio in cui il riscatto non c’è e se ci si illude che possa arrivare, passa sempre attraverso un disagio ancora più grande, talvolta il dolore e la morte altrui.
Rayelle e Khaki ci raccontano il loro percorso a ostacoli, tra famiglie disfunzionali o inesistenti raccontandoci, in realtà, la storia di molte donne e di molti uomini per cui la strada sembra già segnata. Qual è, questa la domanda che ci si fa leggendo il libro, il momento esatto in cui una persona smette di essere qualcuno con una possibilità per diventare qualcuno con un destino già segnato? E la controparte nomade, fatta appunto di continui spostamenti e impossibilità di radicarsi, non è solo l’indole americana ma proprio una mancanza di agganci. Seppure disperatamente cercati.
La figura di Couper, quasi cavaliere azzurro, può a una prima lettura sembrare superflua. In realtà lui è quell’elemento che funziona quasi da catalizzatore, da reagente chimico che serve affinché la storia, e il percorso delle due donne, trovi una sua logica, seppure criminale per una e di scoperta per l’altra. Donne che amano donne, donne che uccidono donne pensando di salvarle o vendicarne i soprusi. Un cortocircuito in cui dire a se stesse “lei non mi ama” è più facile che dire a se stesse “io la amo”. E così per ogni aspetto della vita. Con tutto quel che ne consegue.
Un libro spiazzante, a tratti disturbante. Come ogni domanda che non troverà mai una risposta univoca. E una magistrale descrizione dell’America più vera, quella marginale, defilata, disperata e senza redenzione.
Letteratura americana
Carbonio Editore
2020
329 p., brossura