Nato a Como, di origine salentina, Alessandro Vergari vive da diversi anni a Bari dopo essersi laureato in Filosofia all'Università Statale di Milano, con una tesi sul rapporto tra guerra e giustizia. Una geografia complicata? Forse. Alessandro scrive recensioni e articoli su diversi blog. Cinema, letteratura, musica e cucina (in qualità di consumatore finale) le sue principali passioni. Ama il sole e il mare. Sulla politica attualmente non si pronuncia. "Ho dato abbastanza", queste le sue dichiarazioni in materia.

Come Mickey non diventò un dolce da forno. La cucina della notte di Sendak.

Di Alessandro Vergari

È notte fonda e Mickey non riesce a dormire. Boom, smash, crash, sbam, bash… Chi fa baccano? “Silenzio laggiù!” I rumori, però, non cessano. Mickey sguscia dal pigiama e precipita nel buio, “oltre la luna, oltre la mamma e il papà addormentati”. Dall’altro lato dello specchio, c’è una cucina tutta illuminata. È la cucina della notte, governata da tre pasticceri gemelli con i cappelli da cuochi e le inequivocabili fattezze di Oliver Hardy. Mickey piomba dritto dritto in una scodella. I cuochi lo scambiano per un ingrediente. “Latte nella pasta! Tirala! Girala! Sbattila! Mischiala!” Le fauci del forno sono spalancate. Mickey sta per trasformarsi in uno squisito dolce da servire a colazione. “Ma in mezzo a tutto quel vapore, a quel calore, a quell’odore, Mickey spuntò fuori e disse: Non sono il latte e il latte non è me!” Alcuni dettagli della tavola ci allarmano. Su un barattolo poggiato in basso a sinistra campeggia una stella di David accompagnata dalla scritta SALT (SALE). Il profilo del cuoco impegnato nelle operazioni tradisce una somiglianza sinistra con un ben noto dittatore del Novecento. Il forno reca una scritta, Mickey Owen, il forno di Mickey. I riferimenti all’Olocausto sono allo stesso tempo sottili e scoperti.

Maurice Sendak, l’autore di La cucina della notte, in occasione del conferimento del titolo di Doctor of Fine Arts alla New School di New York nel 1983, ammise che il suo lavoro era, da sempre, intensamente personale, “in modo quasi violento”, e che non era pensabile censurarlo in alcun modo. L’autore, nato a Brooklyn nel 1928 da una famiglia di ebrei rifugiatisi in America dalla Polonia, tanto indigente da considerare la nascita del terzo figlio, Maurice appunto, una sventura, dedicò la sua vita alla nobile arte dell’illustrazione, una vocazione totalizzante, autentica, sincera. Nelle sue opere sono esorcizzati i mostri di un’infanzia misera e insidiata da un difetto cardiaco che lo costringeva periodicamente a letto. Una sensibilità acuta, quella di Maurice bambino, aperta alle meraviglie della creazione artistica moderna, condizionata in particolare dai lavori di Walt Disney. Dopo aver visto Fantasia, Sendak comprese quale dovesse essere la sua strada.

La cucina della notte è solo l’ultimo titolo di Sendak riproposto dalla casa editrice Adelphi nell’ambito di un’operazione filologica preziosa, caratterizzata dalla ripresa dei font della versione originale e dalle traduzioni attente di Lisa Topi. “I giovani nei libri di Sendak sono spesso turbati e solitari, scivolano facilmente dentro e fuori le proprie fantasie, occasionalmente sono indisciplinati e testardi”, scriveva nel 1966 il critico Nat Hentoff sulle colonne del The New Yorker, in un articolo tra i più importanti mai dedicati al disegnatore newyorchése, “e non sono né i brillanti, piacevoli ragazzi, né le piacevoli, tenere ragazzine che sono così numerose nelle pubblicazioni per bambini”. In effetti, il Mickey protagonista di In the Night Kitchen è sgraziato, tozzo, bruttino, un putto con la faccia da adulto, più un satiro che un angioletto. Sendak ebbe l’ardire di mostrarlo nudo, scatenando reazioni scomposte nell’immaginario perbenista d’Oltreoceano, fino all’imposizione di una censura ancora in vigore, a quanto sembra, presso molte pubbliche biblioteche.

Metafora della sessualità in salsa freudiana, allegoria dell’uscita dall’infanzia, satira velata del nazismo? La cucina della notte, al di là delle possibili o plausibili interpretazioni,è la manifestazione del rigore e della coerenza di un autore impegnato a raccontare, qui come altrove, se stesso e il mondo attraverso sé. Stanze e finestre rimandano alla cattività dell’autore da piccolo, bambino malaticcio confinato nella sua cameretta e vegliato durante il sonno da una madre-luna. E poi, la memoria delle domeniche, segnate dalle visite dei rumorosi parenti, esseri bizzarri dal respiro appiccicoso e gli occhi a palla iniettati di sangue, elementi poi rielaborati nel suo libro più noto, il capolavoro universalmente riconosciuto Where The Wild Things Are, pubblicato in Italia con il titolo Il Paese dei Mostri Selvaggi, anch’esso presente nel catalogo di Adelphi.

Le letture del padre suscitarono nel suo animo la passione per i libri mentre l’isolamento forzato stimolò una curiosità per le forme, culminata nei primi disegni. “I suoi libri sono pieni di vitalità ed emozione”, diceva di Sendak il suo editor presso Harper & Row, Ursula Nordstrom, “le sue linee sono ruvide, increspate, a causa dell’emozione che vi confluisce”. Il Maurice dell’età adulta, aggiungeva Nordstrom, “ha mantenuto un legame diretto con il Maurice dell’infanzia”. Successivamente, la formazione all’Art Students’ League di New York gli permise di realizzare i primi, veri lavori: fondali per le tavole dei fumetti dell’All-American Comics, testata poi confluita nella DC Comics, e vetrofanie per un celebre negozio di giocattoli, FAO Schwarz, presso il Rockfeller Center.

L’impianto scenografico de La cucina della notte si nutre dei ricordi di Sendak, trasfigurati in elementi cardine della sua poetica (finestre, stelle, lune piene). Il paesaggio urbano è dominato da una skyline al contempo surreale e concreta, impossibile ed ironica. La città, che si schiude alle spalle dei protagonisti come un palcoscenico, si compone di palazzi con le sembianze di barattoli, recipienti, teiere, saliere, mentre imbuti, sbattiuova, apriscatole e schiaccianoci fanno capolino dai tetti. È una sorta di smascheramento onirico della società dei consumi: i prodotti, ovvero marmellata, zucchero, fagioli, pane, caffè, spesso accompagnati da etichette che ammiccano al marketing (cooked, ready to eat, condensed food, cheapest, 150 meals for $ 1,00), conformano l’intero spazio sociale. La città-pasticceria di Sendak è pop e colta, disorientante e familiare. Il disegnatore attinge alle riserve inconsce dell’uomo contemporaneo. L’infantile America ad una sola dimensione di Mickey, un nome chiaramente mutuato dal personaggio disneyano preferito dall’autore, confluisce nell’eterna adolescenza del capitalismo consumistico.

Abbiamo lasciato Mickey alle prese con il forno. Il ragazzino se la svigna con il corpo ricoperto di crema pasticcera, per balzare poi “dritto dentro il pane steso lì sotto a lievitare”. Con il pane Mickey costruisce un aeroplano, un caccia della seconda guerra mondiale, certamente più morbido e friabile dell’originale. Prima di alzarsi in volo, i pasticceri gli corrono incontro con una tazza. I tre gemelli chiedono una cortesia. “Vogliamo il latte per il dolce”. Il ragazzo acconsente, indossando la tazza a mo’ di elmetto. “Basta baccano! Sono Mickey il pilota e porto il latte sulla Via Lattea”. Su, sale su, fino al collo di una gigantesca bottiglia di vetro. Il latte, ossessione di Sendak anche in età adulta e sostanza lubrico-libidinosa per eccellenza (il miglior accostamento tra candore e violenza: la discesa all’inferno, for a bottle of milk, del capo dei drughi Alex in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick) è qui liquido amniotico, custodia trasparente dell’ingrediente magico. Mickey, completamente nudo, si immerge nel bianco candido e si riaffaccia, quasi fosse un sub tornato in superficie da acque profonde, per versare l’impasto dall’alto, cascata squisita. Vittoria! Felicità! Missione compiuta. “Il dolce è pronto! Per oggi basta!” 

Sorge l’alba sui tetti e un imperioso gallo-bambino canta un provvidenziale chicchirichì.  “Ed è così che grazie a Mickey ogni mattina troviamo latte e dolci in cucina”. Come si giustificherebbe, altrimenti, la puntualità di biscotti e plumcake, disposti ogni mattina sul tavolo della colazione? La notte-grembo ha partorito dolcezze, la notte-enigma evapora davanti alle dure certezze del giorno. Mickey, soddisfatto, afferra il sonno per la coda.

La cucina della notte afferma l’importanza della dimensione tattile nella costruzione del sé ed esalta la giocosa bellezza della manipolazione fisica degli ingredienti. Fatevelo confermare da uno psicologo: non c’è nulla di più liberatorio che impiastricciarsi le mani. Mickey ha desiderio di una fetta di torta? E da quanto tempo? Ecco, ripensate alla scena di C’era una volta in America di Sergio Leone, quando Patsy cede alla tentazione di una charlotte russa, sottraendola così a Peggy,  rinunciando, di conseguenza, ai suoi favori. Solo nei dolci, forse, è possibile riscontrare un tale viluppo di innocenza e voluttà, di piacere incondizionato e malizia recondita. Sendak, autore innamorato dei fantasmi di Henry James, delle fantasie di William Blake e del gusto romantico nella pittura, attraverso il suo non comune talento empatico intuì e raccolse la gioia inquieta, febbrile dell’infanzia. Lasciamo a lui la parola.

“I piaceri che ottengo da adulto sono intensificati dal fatto che ne faccio esperienza come se fossi, al contempo, un bambino. Così, quando arriva l’autunno, in qualità di adulto accolgo la fine del caldo e simultaneamente, come farebbe un bambino, mi prefiguro la neve e il primo giorno in cui userò la mia slitta. Questa doppia appercezione (dual apperception) irrompe per caso. Ecco cosa succede di solito quando il mio lavoro sta andando male. I libri, in particolare il mio, quello che sto scrivendo, producono in me un senso di amarezza. Il passo successivo è il rifiuto della doppia appercezione. Poi cado in depressione. Quando la passione per ciò che sto realizzando ritorna, riemerge anche il bambino. Approdiamo entrambi a una condizione di felicità. Restare in contatto con la mia infanzia è vitale, eppure in quei momenti non riesco a rendermi conto pienamente di cosa stia facendo mentre lavoro, specialmente se il libro è pensato per bambini sotto i sei anni. Penso che nessuno sappia cosa piaccia o non piaccia a bambini così piccoli. Sono creature fluide, senza forma – al pari dell’acqua in movimento”.

[Le traduzioni dal citato articolo del New Yorker sono di Alessandro Vergari: https://www.newyorker.com/magazine/1966/01/22/among-the-wild-things]

La cucina della notte Book Cover La cucina della notte
Maurice Sendak. Trad di Lisa Topi
Fumetti, leteratura
Adelphi
2020
48 p., ill, brossura