La nostalgia come critica del presente
Di Geraldine Meyer
Se siamo tra coloro che ritengono autobiografico anche un testo di saggistica, allora non possiamo non aprire e assaporare il testo di Vito Teti, Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente, pubblicato da Marietti. Godendo di un libro in cui l’accurata immersione in citazioni, bibliografie, agganci letterari, storici, filosofici e antropologici si accompagna al languore personale, e nostalgico appunto, dell’autore. Che, da subito, non solo a partire dal titolo, ci guida verso quella che è la principale cifra interpretativa della nostalgia, ovvero sentimento del presente. Lo fa con un esergo tratto dalle Confessioni di Agostino: “[…] Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la Visione, il presente del futuro l’attesa.”
Credo davvero si debba partire da qui per intraprendere il viaggio che Teti ci propone in un sentimento spesso sovrapposto, sbagliando, alla malinconia e che ha, proprio con il suo legame con il tempo (più che con i luoghi) non solo in qualche modo affiancato il cammino della modernità. Ma ha, anche e forse ancor più, un insospettato, o volutamente dimenticato, vero e proprio potere “sovversivo”. Può sembrare un ossimoro parlare di sovversione per qualcosa a cui si è spesso sovrapposto un malinconico sguardo retrospettivo. In realtà è proprio questa sua visione a rappresentare uno strappo di creazione. Che si confronta costantemente con il passato ma per disegnare possibili nuove strade future.
Un tempo medicalizzata e considerata patologia, la nostalgia veniva considerata tale proprio perché legata prevalentemente ai luoghi, vissuti, abbandonati oppure mai visti. Ma è proprio il suo traslare verso le latitudini temporali a farne una sorta di “terapia della modernità” non opponendovisi con un immobile anacronistico rifiuto ma, semmai, per metterne in luce le storture quando non, addirittura, le bugie.
Da Ulisse alla letteratura meridionale, dai paesi abbandonati della Calabria agli emigrati di ogni epoca, dai cambiamenti climatici all’attuale pandemia, Teti ci disegna un sentimento degli esclusi, o degli emarginati, addirittura degli sconfitti che però, tra apocalisse e utopia, deve guardarsi indietro per proseguire ma in modo inedito.
Nostalgia come rifiuto dell’incuria per il passato e per gli assenti quando Teti ci dice:” La nonna e la mamma mi avvolgevano e proteggevano, mi educavano con racconti e raccomandazioni, avvertenze e preghiere ed ero avvinto da una intensa pietas per le persone assenti, per i defunti, per gli emigrati.” Ecco, pietas è parola importante perché delinea proprio il passaggio dal luogo al tempo. La pietas per chi non c’è, il presente del passato di Agostino.
Nostalgia come risorsa, come presenza e come critica al presente. Come ci ricorda Teti citando Lévinas e la biblica storia di Abramo da lui usata in contrapposizione al mito di Ulisse che torna. Abramo, invece, la sua terra l’abbandona per sempre e, come dice Quinzio: “Quello di Abramo non èun ritorno come il viaggio di Ulisse, ma un esodo, un’uscita, una partenza. Più radicale dunque, sembra essere l’erranza ebraica.”
Erranza. Anche questa, parola assai importante perché nostalgia è proprio questo. L’incapacità di tornare o il non voler tornare o l’impossibilità di farlo. Ma dove? In un luogo o in un tempo? E sarà proprio questo passaggio, a cui dedicano non pochi dei loro pensieri sia Rousseau sia Kant, ma anche altri, per slegare la nostalgia dalla patologia, insistendo sulla perdita ma non di luoghi, bensì di tempi. Anzi, del tempo per eccellenza: quello dell’infanzia e della giovinezza.
Archeologia, macerie, reali e metaforiche. Sono il filo rosso che ci fa da guida in queste dense e coltissime pagine.
Saggistica
Marietti 1820
2020
287 p., brossura