Stefano Tarquini nasce a Roma nel Giugno del 1978. Fa studi classici e si avvicina fin da subito alla poesia rimanendo completamente affascinato dalla beat generation e dal primo libro che legge senza condizionamenti esterni : “On the road” di Jack Kerouack. Conosce la Pivano e Ferlinghetti a Firenze. Scopre Bukowski. Divora Emidio Clementi, Claudio Piersanti, Ivano Ferrari, Antonio Moresco, Giuseppe Casa… Ha un rapporto epistolare con Maurizio Cucchi che sfocia in una pubblicazione di sue poesie su “Specchio” di Repubblica. Nella prima fase della sua scrittura pubblica su tantissimi blog di settore, riviste online e non. Partecipa attivamente a manifestazioni poetiche, concorsi, laboratori di scrittura creativa. Comincia a lavorare nel 1998. Mette su famiglia. Fa una figlia. Smette momentaneamente di scrivere per dedicarsi ad un’altra sua grande passione: la musica. Fa 5 dischi con un gruppo crossover romano, i Palkosceniko al Neon, con cui colleziona più di 300 live in giro per l’Italia e l’Europa. Collabora con tantissimi gruppi della provincia romana. Organizza cinque edizioni di un festival di musica indipendente il “Pecora Nera Festival”. Nel tempo libero fa sport ed è amante della montagna e della buona cucina. Negli ultimi due anni ha ricominciato a scrivere. Lo potete leggere su “Poetry Factory”, “Leggere Poesia”, “Poeti dal parco” e “Cartoline Volanti”. “Garibaldi, Thomas e la fica” appare su “Romanagua.wordpress.com”.

Di Stefano Tarquini

Soffocando

Fino ad infilarci la testa,

soffocando in un bianco panna di tuffo,

per poi cadere nel nero sabbia del tempo,

in attesa di una mano amica.


Tornare alla vita

Ci inghiotte la terra

senza mordere,

senza chiederci il conto

e

come un ramo che si spezza

noi,

timidamente,

torniamo alla vita.


Ultimi

Come quando sorridevamo,

correndo veloci da albero ad albero,

saltando sulla siepe di alloro,

fuggendo da serpi e sterpi.

Come quando piangevamo

con i gomiti sbucciati ed i vetri ficcati nel mento,

nascosti nel buio di una carezza

appesi ad un ramo di salice e di incertezza.

Ed il vento che spingeva via le biciclette,

le ore in bilico su una ruota sola

per discese mozzafiato.

Primi, anche quando eravamo ultimi.

Insieme, anche quando ci sentivamo soli…


Rottweiler

Quello che ti lasci alle spalle

non è silenzio

ma un puzzle mai finito

di una grande infanzia.

Ai piedi dodici rintocchi e tredici serpenti,

lungomare di Soverato,

il battito irregolare di un orologio Casio

di notte,

ci sveglia tutti quanti che sembriamo panettieri.

Panda con gli occhiali da sole,

fondi di bottiglia dove leggere il futuro,

una musica pericolosa

filodiffusa.

Il trenino per Siderno non fa fermate

né per pisciare

né per fare filosofia.

Quello che attraversi è un antidoto,

non ti piace chiamarla vita

e interrompi la tua fiction con una pubblicità di materassi.

Mine sotterrate sottoterra

un ponte pericolante che non crolla sui binari

ne sui ricordi di una città morta.

Allora dai una lucidata ai tuoi ricordi,

li fai splendere come una batteria di pentole,

come un servizio di posate d’argento.

L’immagine di copertina è un’opera di Arshile Gorky