Il mistero del Vu-Vu
(Cronache dal mondo d’asfalto)
Di Elena Soprano
Scivola sull’asfalto come su una gigantesca striscia di liquirizia. A fianco, l’inseparabile IM, avanzo di canile metropolitano che ha giurato fedeltà a lei e alle ruote fluorescenti dei suoi roller.
“Vu-vu!” La Kikka fa una scartata, frena. Si guarda intorno, nessuno. Sta per ridarsi la spinta, quando vede le enormi canne dell’aiuola- che non tagliano finché non diventano giurassiche – scuotersi. Sbuca una pelata. E’ quella di un tizio che ha visto spesso durante le sue ronde notturne coi pattini. Anche lui col cane, un incrocio imprecisato ma due taglie più grande di IM, l’addome sferico come quello del suo padrone e qualcosa che somiglia a uno strabismo di Venere che gli dà un’aria da fumetto disegnato male. “Pepe!” sussurra la Kikka. Quando era cucciolo, lo aveva anche accarezzato. Il tipo, tra chiacchiere di collisione accidentale con proprietari di cani, sosteneva che era di razza Gol Retrù, intendendo Golden Retriew. Poi, in una notte di un polarissimo gennaio, facendo a Venere anche il suo sguardo, il tizio le fa: “Io però allei un peccio di pizza glieloffrirei”. Al che la Kikka , commossa per la sincerità anticonsumistica che non ammette locali ma ricerca romanticismo dickensiano di strada, ringrazia e precisa che ha già mangiato. Saluti e arrivederci, da ‘sta sera che ognuno accarezzi il cane suo. Il tempo passa e nelle sue rollerate notturne nota che l’aiuola in fondo alla strada comincia a riempirsi di pane, pizza, ma anche di pasta cruda e riso, spaghettini a pezzi, stelline di pastina. Quello di offrire l’omino ce l’ha nel sangue. E ora è lì che sbuca dalle canne con in mano classico plateau di pasticceria, media grandezza, pieno di crostini per minestra, dicendo rivolto al tetto dell’edificio di fronte, come se chiamasse qualcuno : “Vu-vu!”
I piccioni planano a stormo sull’aiuola. La Kikka dà di gamba, riparte a scatto da centometrista, chissà mai che la riconosca e voglia offrire i crostini anche a lei. Continua la pattinata notturna con IM, e il tipo, svuotato il plateau, riprende il suo giro, dietro alla sua pancia. Ha uno strano modo di essere grasso. E’ un grasso obliquo. A guardarlo di profilo si vede una linea pendente a cui è attaccata la pancia, e tutto il resto, che tendono vertiginosamente verso il basso in sfida perpetua alla forza di gravità. Forse è diventato così a furia di sporgersi per vedere che fortuna può capitargli tra i piedi, chissà mai che qualcuno abbia perso un cinque euro, o frugando nelle immondizie, perché lui è uno di quelli che seminano ma soprattutto uno che raccoglie. La Kikka lo vede risbucare nella via parallela. Lo segue, sente che il meglio deve ancora arrivare. L’uomo infila il braccio a tentacolo in un bidoncino verde. Una rapida frullata con mano polipesca e via. Tira dritto verso corso Sempione: di cestini non ne salta uno. Si avvicina, rallenta, frulla e riparte. Pepe sferico e paziente lo segue. Solo l’ultimo cestino salta. La Kikka non fa in tempo a chiedersi il perché, quando scorge un residuo di cabina telefonica, un reperto archeologico sopravvissuto su un metro quadro di strada miracolato a parcheggi e asfaltamenti stagionali. L’omino ci si fionda in automatico: la memoria dei bei tempi andati di cabine e schede dimenticate, di corsette al telefono libero con le infradito d’agosto, ha il sopravvento sullo smartphone che ha messo in tasca tre secondi prima. Per una frazione di secondo cranio e baricentro pancia si allineano col disegno universale.
Ziz zagando sull’asfalto tra i binari del tram, la Kikka torna a casa. Riflette. “Chissà se ce l’ha un’omina che gli lava e gli stira”. Ogni tanto vede Pepe a spasso con una bimbetta, poco più che teen, ordinata, pulita e un fisico da insetto stecco. “Vero è che in città il tempo bisogna ammazzarlo, prima che ti ammazzi lui, ma possibile che per omini di semplici e nobili risorse ‘sto posto offra solo spazzatura e piccioni?”
Arriva al portone, attraversa l’atrio, apre il portoncino e si fa quattro piani a piedi coi roller, sentendosi leggera e astronauta, un gene smarrito in terra della Cristoforetti. Un giro di chiave e si butta direttamente sul divano prima che lo occupi IM. Giornata lunga, caldo appiccicoso con sottofondo di zanzara, il ventilatore già acceso. Apre il tablet. Sente che le è venuta un’intensità che non vuole le scappi via a velocità di lucertola. “Cara diaria”, scrive “ho rincontrato Pepe con l’omino del Vu-Vu’, quasi scrivo la storia come si deve e la mando a qualcuno firmandomi ‘Comitato residenti, via Bramante 20, seconda porta in fondo al cortile, quarto piano c/o architetto Michele Pecoretti’. Così anche lui si ricorda che esiste, e le mie buone azioni diventano due.”
Per oggi le sue Cronache dal mondo d’asfalto sono finite. E’ una notte di mezza estate e di tram verso l’ultimo capolinea. IM si è acciambellato in poltrona, la Kikka si addormenta vestita, senza togliere i roller, in un sogno di cosmonauti a rotelle. Nel cielo del monolocale le ruote fluorescenti diventano una nebulosa sull’eco del Vu-Vu.
L’immagine di copertina è Tram, di Giuseppe Solenghi. Foto presa da stagniweb.it