Tommaso Braccini: secoli di credenze e di teorie complottiste
Di Massimiliano Priore
INTRODUZIONE AL SAGGIO DI BRACCINI
Gli abitanti di un paesino della Valle del Lys deliberarono di costruire un ponte sopra un torrente. Lo volevano solido, ma non erano disposti a spendere molti soldi.
Martino di Tours decise di dar loro una mano e chiese aiuto al Diavolo. Questi accettò, ma pose una condizione: “Quando sarà terminato, mi porterò all’Inferno il primo che lo attraverserà”. Fecero l’accordo. Il Maligno, grazie anche all’aiuto di altri demoni, ci mise davvero poco a finire i lavori: una notte.
Giunse il momento del pagamento. Il Diavolo aspettava. Finalmente arrivò la vittima e lui, a malincuore, si dovette accontentare. Di un cane. Il futuro santo aveva deciso di sacrificare un animale. Questo escamotage gli permise di gabbare l’Arcinemico e di non far morire nessuna persona umana. Certo, dispiace per il cane e non tutti condivideranno la sua scelta.
Esistono altre due versioni di questa leggenda. Una è ambientata a Cividale del Friuli e una riguarda il Devil’s Bridge di Kirkby (Inghilterra). Cambia, però, qualche elemento. Ad esempio, nelle altre due non troviamo San Martino.
Questa storia, che non compare nel libro recensito, è utile per introdurre il concetto centrale dell’opera di Tommaso Braccini, docente di filologia classica e di lingua greca all’Università di Siena.
Qual è questo concetto, che l’autore riprende da uno studio del folklorista americano Bill Ellis, De legendis urbis. Modern legends in Ancient Rome, pubblicato nel 1983?
Molte leggende metropolitane dei nostri tempi circolavano già nel Medioevo, nella Roma imperiale, nella Grecia ellenistica e in quella classica o addirittura prima. Non solo: le ritroviamo anche in luoghi molto distanti tra loro (ma questo già si sapeva).
Tuttavia, non sono sempre identiche. Infatti, uno degli elementi che l’autore sottolinea più di una volta è la loro capacità di cambiare forma in base alla sensibilità e alla cultura antropologica del tempo e del luogo.
È come se ci fossero degli archetipi e le loro manifestazioni fenomeniche. Queste manifestazioni fenomeniche si chiamano ecotipi. Ecotipo è un termine preso in prestito dalla biologia. Il dizionario della Hoepli spiega che è l’aspetto che può prendere una specie animale o vegetale quando si adatta all’ambiente in cui vive.
Invece, gli archetipi sono i nuclei e si chiamano folktales.
Per capire meglio questo concetto basta sapere che esistono più versioni di favole come Biancaneve, Cappuccetto Rosso, il Gatto con gli Stivali e Cenerentola. Per esempio, nella versione di Perrault di Cappuccetto Rosso non arriva nessun cacciatore a tirar fuori la bambina e la sua nonna dalla pancia del lupo. La favola si conclude con un monito:
“La storia […] fa vedere ai giovani e alle giovinette […] che non bisogna mai fermarsi a discorrere per strada con gente che non si conosce: perché di lupi ce n’è dappertutto e di diversa specie, e i più pericolosi sono appunto quelli che hanno faccia di persone garbate e piene di complimenti e di belle maniere”. Charles Perrault, Cappuccetto Rosso e altri racconti, Traduzione di Carlo Collodi, . Giunti, Firenze, 1971 (p. 10).
Sebbene significhi racconti popolari, il termine si utilizza anche per le barzellette. Oltreché, naturalmente, per le favole, le fiabe e le leggende.
A questo proposito, è utile precisare che Braccini reputa più corretta l’espressione leggende contemporanee rispetto a leggende metropolitane perché non circolano o non circolavano solo nelle città. L’aggettivo contemporanee indica soprattutto una cosa: hanno come argomento un fatto coevo a chi le racconta. Al contrario, quelle classiche sono ambientate nel passato (spesso in un passato molto remoto).
ESEMPI TRATTI DA MITI VAGANTI
Una carrellata di esempi presi dal libro chiarirà meglio il concetto di ecotipo in relazione ai folktales.
1 Appuntamento al cimitero
Partiamo da una storia che tutti, più o meno, abbiamo sentito, quella dell’autostoppista fantasma. Una persona, quasi sempre una ragazza, si fa dare un passaggio da uno sconosciuto. Poi si scopre che è morta da anni. Ne esistono molte versioni.
Il capitolo s’intitola “Appuntamento al cimitero” (pp 85-102) e si apre con il riassunto del cortometraggio A curva del regista portoghese David Rebordão, ispirato nella forma e nella tecnica a The Blair Witch Project.
La trama: due ragazzi e una ragazza di notte danno un passaggio a Teresa Fidalgo, che poco dopo mostra loro il punto in cui ebbe un incidente e morì.
Braccini spiega che David Rebordão ha ripreso una leggenda diffusa nella penisola iberica, quella del fantasma-autostoppista che appare in prossimità di una curva.
Poi espone due casi presunti reali che sarebbero avvenuti in Italia. Il più interessante lo ha ripreso dal settimanale Cronaca Vera. Eccolo a grandi linee.
Un ragazzo diede un passaggio a una ragazza e, siccome era infreddolita, le lasciò la propria giacca, anche per avere la scusa per rivederla. Ma presto scoprì che si era suicidata anni prima. Secondo una versione della storia, sulla tomba hanno trovato la giacca.
1.2 Le prove
L’elemento della giacca è importante. Non tanto in sé ma in quanto testimonianza dell’interazione tra la morta e la persona entrata in contatto con lei. Pertanto, la prova è un fattore che troviamo in altri ecotipi della leggenda. E così, ad esempio, la ragazza si può sporcare il vestito con il vino e quando aprono la bara trovano l’abito macchiato proprio di rosso.
1.2.1 Filinnio e Macate
A questo proposito, vediamo la storia di Filinnio, una ragazza di Anfipoli. La città esiste ancora e si trova nella Macedonia Centrale (Grecia).
Flegonte di Tralle, storico, liberto e segretario di Adriano, nel Libro delle meraviglie ne parla come un fatto accaduto davvero. La sua fonte è una raccolta precedente, forse di epoca ellenistica. Secondo questa fonte, Ipparco, un magistrato locale, mandò una relazione sull’accaduto al suo superiore Arrideo. Arrideo a sua volta ne inviò una a re Filippo.
Filinnio morì poco dopo le nozze con Cratero. Forse addirittura il giorno stesso del matrimonio.
Sei mesi dopo la sepoltura, uscì dalla tomba e tornò nella casa dei genitori, dove conobbe Macate, un giovane che era loro ospite, e ci andò a letto per due notti. Alla terza, venne scoperta a causa della sua nutrice, che aveva visto tutto. La ragazza se ne lamentò e poi cadde inerme.
Le autorità fecero aprire la bara e non trovarono il corpo. In compenso, trovarono una coppa e un anello di ferro che le aveva regalato Macate. Il quale non sapeva di essere andato a letto con una morta vivente. Alla fine, bruciarono il cadavere e il ragazzo si suicidò.
1.2.2 L’opera di Gran Bao
Ritroviamo una storia simile nel racconto Le notti di nozze fantasma, che fa parte del libro Ricordi di ricerche nel campo del sovrannaturale. Lo scrisse Gran Bao, autore cinese del IV secolo dopo Cristo. Secondo Braccini, Gran Bao crede alla veridicità di quello che narra.
Una donna morta da 23 anni ebbe un figlio da un viaggiatore capitato nella sua casa e con il quale volle giacere. Dopo tre giorni insieme, lei gli disse di andarsene. Gli fece un regalo: un cuscino dorato. Quando lui andò al mercato per venderlo, lo vide la madre della donna morta e sospettò che lo avesse rubato. Ma l’uomo riuscì a dimostrare la propria innocenza. Infatti, lei fece ispezionare la tomba e appurò che mancava solo il cuscino.
A questo punto, lo ricompensò per averle dato un nipotino conferendogli una carica importante (era una regina).
In un altro racconto presente nella raccolta, uno studioso già avanti con gli anni si vide arrivare in camera una donna giovanissima, che gli si concesse. I due si sposarono ed ebbero un figlio.
Lei gli chiese di non guardarla mai alla luce di una torcia o di una lampada. Purtroppo, una notte, mentre la moglie dormiva, lui lo fece lo stesso e scoprì che era uno scheletro. La consorte se ne accorse e gli disse: “Se tu avessi aspettato ancora un anno, avrei riacquistato un aspetto umano”.
Prima di sparire, gli regalò un abito e si prese in cambio un pezzo del vestito di lui. Da qui in avanti, a parte alcuni fattori (per esempio, il padre dal posto della madre), la vicenda ricorda molto quella esposta poco fa.
1.2.3 Un confronto
Braccini fa notare che tra la storia di Filinnio e le due vicende raccontate da Gran Bao vi sono sia delle analogie sia delle differenze.
L’autore ipotizza che le somiglianze possano derivare dai contatti che spesso hanno avuto luogo tra la Cina e l’area mediterranea. Contatti avvenuti sulle vie dei commerci in occasione di pellegrinaggi o di semplici viaggi. Sia via mare sia via terra.
Per quanto concerne le differenze, constatiamo che la reazione delle famiglie cinesi è completamente diversa rispetto a quella della comunità greca. Questo è un esempio calzante di come gli ecotipi cambino a seconda della sensibilità locale.
2 AIDS, FURTI DI ORGANI E COSE SIMILI
2.1 Tempi moderni
Uno passa una notte di fuoco in hotel con una bella sconosciuta. La mattina quando si sveglia lei è già andata via. Va in bagno e vede una scritta sullo specchio. Benvenuto nell’Aids.
Ne esiste un’altra abbastanza simile, solo che in questo caso la donna non è un’untrice ma fa da esca per una banda che esporta i reni ai malcapitati.
In una variante della seconda storia, i donatori non consenzienti venivano rapiti dopo essere entrati in quello che all’apparenza era il camerino di un negozio di vestiti.
Questo tipo di leggenda nel XIX secolo era molto diffuso in Grecia e sull’isola indonesiana di Celebes (oggi si chiama Sulawesi). Solo che l’organo asportato era quasi sempre il fegato.
Entrambe le leggende metropolitane circolavano molto tra la metà degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Tuttavia, l’autore cita due casi simili avvenuti nel 1994 e nel 1995. In entrambi il protagonista è un prete. Nel primo, un sacerdote di Novara ha parlato di una ragazza che adescava gli uomini in discoteca per consentire agli altri membri della banda di rubare loro gli organi.
Nel secondo, un prete di Dungavan (Eire) durante l’omelia ha detto che una giovane donna, dopo aver vissuto a Londra (città peccaminosa per antonomasia) e aver contratto l’hiv, era ritornata per infettare i suoi ex concittadini.
Inutile dire che nessuno dei due religiosi si era preoccupato della veridicità delle notizie. D’altra parte, visto il loro intento moralistico, possiamo capire che ci abbiano creduto senza metterle in dubbio.
2.2 Antichità e Medioevo
Dubbi che, invece, non sono mancati a Luciano di Samostata. Anzi, diciamo che non ci credeva proprio. Nel suo racconto Storia Vera prende in giro delle credenze analoghe a quelle che abbiamo appena visto. Solo che al posto delle ragazze ci sono diavolesse o altri esseri mostruosi. Queste credenze erano diffuse nel mondo mediterraneo e non solo lì. Infatti, le troviamo anche nel mondo arabo (pre-islamico nda). Secondo Braccini la causa è l’influsso che quest’ultimo ha avuto su quello greco.
Luciano di Samostata narra che a Coubalusa vivevano delle donne bellissime dette onoscelee. Per chi non lo sapesse, significa che al posto delle gambe avevano delle zampe asinine (dal greco ónos asino e skélos gamba). Le donne si mostrano ospitali e disponibili, ma il loro intento è quello di uccidere i marinai che approdano sulla loro isola. Il riferimento all’Odissea (sirene e Circe) è palese. Forse ce n’è anche uno alle Rane di Aristofane, in cui compare Empusa, una donna con una gamba di bronzo e una di sterco.
Al contrario, Dione di Prusia dava per certa l’esistenza delle lamie, donne con la coda di serpente che abitavano sulle spiagge libiche e il cui obiettivo era attirare uomini per poi sbranarli.
E nella Jataka, una collezione di storie buddiste di origine indiana, troviamo scritto che sull’isola di Tambapanni, e più precisamente nella città di Sirisavatthu, vivevano le Yakkhini, diavolesse antropofaghe belle, eleganti e apparentemente disponibili.
Invece, le Ghoules erano diavolesse avvenenti ma con zampe asinine della tradizione araba. Volevano attirare chi attraversava il deserto. Lo racconta il geografo e viaggiatore Al-Mas’udi (X secolo) e lo dà per vero.
2.3 Zampe
Ritroviamo le donne onoscelee anche in alcune leggende metropolitane ambientate nell’Arabia Saudita dei giorni nostri. In un paio di storie vengono smascherate durante un ballo.
Anche in Occidente abbiamo dei racconti in cui le cattive sono delle donne con delle zampe al posto delle gambe o dei piedi. Con la differenza che sono caprine (un riferimento a Satana, probabilmente). Alcune leggende contemporanee sono abbastanza recenti. L’autore cita un episodio che sarebbe accaduto in Spagna nel 2004. Un giovane incontra una tipa molto carina, ma poi si accorge di questo problema. Un po’ più vecchia è la storia, sempre ambientata in Spagna, di un ragazzo senza fidanzata che passa una serata con una donna molto avvenente, ma quando le vede i piedi capisce che si tratta di una diavolessa (lei lo uccide proprio con quegli artigli).
Poi parla di fate con zampe di capra che a Montefortino durante le feste in cui si ballava seducevano i maschi dei paesi dei Monti Sibillini (Marche) per poi mangiarli o trasformarli in rospi o serpenti. Anche questa leggenda è sopravvissuta per molto tempo e fino agli anni 90 qualcuno la considerava una vicenda reale e attuale.
2.4 Diffidenza e senso del peccato
Ancora due considerazioni prima di chiudere il capitolo.
1) Braccini fa notare inoltre come ci sia spesso anche una paura verso i luoghi esotici.
2) Sovente questi episodi hanno come scenario un luogo in cui si balla. San Giovanni Crisostomo dice: “ubi saltatio, ibi diabolus”. Dove si danza c’è il diavolo. Sant’Ambrogio la pensava più o meno allo stesso modo.
Molti altri cristiani hanno avuto questa idiosincrasia. Uno su tutti: Giovanni Calvino, che fece condannare un suo amico reo di aver ballato. Cesare Marchi cita questa locuzione in Siamo tutti latinisti (Rizzoli, 1992).
3 FEDE E SECOLARIZZAZIONE
Il fatto che nelle nostre leggende contemporanee spesso le seduttrici malvagie siano ragazze normali e non semi-mostri o diavolesse non è un aspetto secondario perché dimostra come alcuni ecotipi abbiano saputo adattarsi alla secolarizzazione.
3.1 Primo esempio
Nel XVI secolo qualcuno si chiese quale fosse il contenuto del libro scritto da Lazzaro dopo la resurrezione, gelosamente custodito in Vaticano e accessibile a pochissime persone. Oggi, invece, le domande riguardano scandali, corruzione, pedofilia e casi di cronaca nera. O, eventualmente, il matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena e la loro discendenza.
3.2 Secondo esempio
Secondo molti complottisti, i testi di alcune canzoni rock contengono dei messaggi subliminali. Il nostro orecchio non li percepisce, ma il nostro cervello sì. Invece, nell’X secolo si diceva che i Fundagiagiti agissero come segue.
Fingevano d’impartire una benedizione, ma in realtà pronunciavano una formula magica che convertiva la persona che l’ascoltava e la faceva diventare seguace di Satana. Inoltre, secondo la leggenda, queste parole avevano il potere di sostituire la grazia dello Spirito Santo, ricevuta al momento del battesimo, con un’energia diabolica. Parole pronunciate in greco antico. È un elemento importante.
Leggiamo un passo del libro (p. 147) per capire perché:
“In effetti, i Fundagiagiti cominciavano a salmodiare alcuni versetti ben noti dei Vangeli…ma poi, approfittando anche del distacco tra la lingua del Nuovo Testamento, scritto in greco antico, e quella parlata dalla popolazione, sempre più vicina al greco moderno, senza farsi accorgere scandivano un incantesimo satanico”.
Insomma, secondo l’ecotipo contemporaneo di questo folktale, i cantanti rock, come i Fundagiagiti, adorano Satana, vogliono fare proselitismo e per raggiungere lo scopo utilizzano parole oscure. Tuttavia, la storia della formula che inficia l’effetto del battesimo oggi non farebbe presa. Allora, ecco che entrano in gioco la pseudo-psicologia e la teoria pseudo-scientifica dei messaggi subliminali.
Inoltre, stando a queste voci, il fine dei messaggi subliminali dei nostri tempi non è sempre convertire le persone (i giovani, soprattutto) al culto del Maligno, ma possono mirare anche a indurre all’uso di droghe, al suicidio, alla violenza eccetera.
3.3 Terzo esempio
Durante il periodo della pandemia del covid, alcuni hanno dato la colpa a Bill Gates, accusato di voler eliminare parte dell’umanità (quella più povera). Nell’800 e all’inizio del XX secolo, quando imperversava il colera (dal 1830 al 1911 vi furono diverse epidemie), in molti credevano che i responsabili fossero i medici, le autorità, gli infermieri, la Croce Rossa e i farmacisti.
Nel 1910-11, in Puglia, addirittura si arrivò ad assaltare gli ospedali per liberare i malati perché si pensava che venissero avvelenati. Nel 1855 e nel 1911, a Verbicaro (Cs) ci furono delle rivolte perché la popolazione era convinta che il morbo venisse diffuso dai medici e dalle autorità tramite lo spargimento di una “polverella”. Lo scopo? Far fuori i poveretti perché sono troppi.
Viene in mente la storia di Giangiacomo Mora e della colonna infame, anche se nel libro non se ne parla.
Invece, nel poema babilonese Atrahasis c’è scritto che il dio Enlil vuole eliminare l’umanità con epidemie, diluvi e carestie (pp. 28-30).
4 LE SPIEGAZIONI DI TOMMASO BRACCINI
4.1 Sopravvivenza nei secoli
Quali sono le cause di questa longevità?
Braccini suddivide le leggende contemporanee in quattro categorie:
1) Quelle che circolano solo oggi.
2) Quelle che oggi non circolano più.
3) Quelle che hanno continuato a circolare nel corso dei secoli.
4) Quelle che sono state risvegliate da una situazione particolare.
Le prime due non ci interessano. E, infatti, nel libro non se ne parla e se ne fa solo un cenno.
Le leggende che appartengono alla terza categoria danno una risposta a disagi che ritroviamo in ogni epoca, come la diffidenza verso le minoranze (gli stranieri, chi ha uno stile di vita non in linea con la maggioranza o segue un’altra religione eccetera), lo sgomento di fronte a una morte prematura (soprattutto se il trapasso è stato causato da un episodio violento come un incidente o un suicidio) o l’idea che chi detiene il potere voglia danneggiare il popolo e nascondergli qualcosa.
Il primo capitolo è incentrato sulle analogie tra la voce secondo cui esisterebbe il motore ad acqua e le leggende inerenti all’invenzione del vetro infrangibile. Le seconde hanno come protagonista negativo ora Nerone, ora Tiberio, ora Richelieu, ora Napoleone.
Quali sono le analogie tra queste due credenze? Una, fondamentalmente: i potenti vogliono celare al mondo questi prodigi della tecnologia. Torna il leitmotiv della diffidenza contro chi comanda o comunque occupa una posizione predominante. Ovviamente, il potere non è solo di tipo politico. Anzi, oggi ci si scaglia soprattutto contro quello finanziario.
Invece, quelle della quarta categoria riemergono come risposta a uno schock causato da un evento sconvolgente e inaspettato. In molti sono convinti che l’attentato alle Torri Gemelle sia stato organizzato da qualcuno del governo statunitense (o dei servizi segreti americani). Addirittura Bush, secondo alcuni.
Allo stesso modo, qualche complottista pensò che Alarico avesse fatto il Sacco di Roma (410 dopo Cristo) su richiesta dell’imperatore Onorio.
Onorio si sarebbe risentito in seguito a una contestazione innescata da una decisione riguardante i giochi gladiatori.
Circa il parallelo tra i due fatti, l’autore scrive (p. 37): “Dopo il 24 agosto 410, così come dopo l’11 settembre 2001, nulla fu più come prima. […] E così, com’è accaduto dopo l’11 settembre, qualcuno […] pensò a un inside job”.
Perché? In entrambi i casi, la vittima era molto più forte e organizzata di chi l’ha colpita.
” [..] di fronte alla caduta di un gigante che pareva invulnerabile […] si può pensare che non sia stato davvero un nemico o un avversario […], ma che sia stato il gigante stesso […] a decidere di farsi colpire al cuore” (p. 35).
Una considerazione finale. Benché simili, è improbabile che i complottisti dell’11 Settembre conoscano la teoria della cospirazione inerente al Sacco di Roma e l’autore che più di tutti ha contribuito a diffonderla, cioè Malala.
Pertanto, si tratta di un caso di poligenesi, due storie che sono nate in contesti simili, ma senza che la più vecchia abbia avuto qualche ruolo.
Altre volte, invece, la conoscenza e la circolazione della leggenda contemporanea del passato ha pesato.
Secondo Braccini, la bufala dell’esistenza del motore ad acqua potrebbe essere nata sulla scia dell’altra. Infatti, della storia del vetro infrangibile ne parlano Petronio (che nel Satyricon prende in giro chi ci crede) e Plinio il Vecchio. Insomma, due autori un po’ più noti di Malala. Inoltre, come abbiamo visto, è continuata a circolare almeno fino al XIX secolo e la ritroviamo anche in un’enciclopedia tardomedievale (Etimologie di Isidoro di Siviglia).
4.2 Risposte alternative
Alcune leggende svolgono una funzione eziologica, cioè cercano di spiegare le cause di qualcosa perché le versioni ufficiali o sono troppo complesse o sono difficili da accettare o non ci si fida di chi le fornisce o tutte e tre le cose. Non sono quasi mai storielle innocue diffuse solo per il gusto della narrazione.
Ecco allora che le scie chimiche sono costituite da sostanze velenose irrorate dal governo (non sempre) e dai poteri forti per alterare il clima o per diffondere malattie.
I complottisti sostengono che le scie chimiche diffondano le malattie tramite dei filamenti.
Qualcuno ha fatto notare loro che in realtà sono fili di ragnatele, ma non ci credono.
nche in passato non tutti pensavano che questo fenomeno, chiamato ballooning oppure kitting, fosse legato agli aracnidi. Però ne davano spiegazione più poetiche: la Madonna che tesse (da sola o con le 11000 vergini di Colonia o con creature mitologiche come gli elfi o i nani), i capelli della Maddalena, soprattutto quando sono molto lunghi, o di Maria. Ma anche degli angeli o di santi come Remigio e Martino.
La più bella è una leggenda delle Ardenne: sono fili che cadono dalla luna, dove è stata esiliata una ragazza che cuce sempre.
Invece, secondo gli Etruschi avevano a che fare con i demoni.
Tuttavia, va detto anche che alcune pagine social ultracattoliche parlano di messaggi della Madonna.
Tornando alle scie chimiche che diffondono malattie o alterano il clima, è evidente lo scopo destabilizzante o, almeno, di critica verso il potere e le autorità.
Uno dei primi casi di cui si parla in Miti vaganti ha come protagonista un parroco anziano e all’antica. L’autore fa notare che tante leggende contemporanee vogliono attaccare personaggi in vista. Molti ricorderanno quelle su politici di spicco di livello nazionale.
4.3 Stessa epoca, luoghi diversi
Adesso rispondiamo a una domanda simile: perché ritroviamo ecotipi della stessa leggenda in luoghi lontani tra di loro, non solo geograficamente ma anche culturalmente? L’autore dà due spiegazioni. La prima l’abbiamo già vista: viaggi, contatti e commistioni. La seconda è un po’ più complessa, nel senso che unisce più fattori. Ecco un passo del libro (p.127).
“Forse non c’è un’unica spiegazione che possa dar conto […] della capacità di questa antica leggenda contemporanea di riaffiorare a grande distanza di tempo e di spazio. Possono essere evocati una circolazione orale sotterranea, l’influsso dei testi scritti, magari di argomento profetico o millenaristico, il riattivarsi spontaneo di un complesso di motivi finalizzati a dare una cornice […] (a qualcosa), e naturalmente nulla vieta che questi elementi possano intrecciarsi tra loro”.
Certo, la loro capacità di mutare forma in base al contesto culturale è una delle cause principali del loro successo, della loro diffusione, della loro sopravvivenza o della loro riattivazione. Per esempio, riprendendo la leggenda della morta rediviva, laddove le ragazze non fanno l’autostop perché è ritenuto disdicevole, l’incontro può avvenire con un taxista. In ambito studentesco può avere luogo in biblioteca.
4.4 Fiducia
Comunque sia, tutte queste leggende hanno la capacità di fare una presa collettiva. A pagina 48 del libro troviamo una citazione di Jan Harold Brunvad: “Solo i temi che risultano appetibili per il gusto popolare vengono inglobati nella cultura popolare”.
Jans Harold Brunvand è un folklorista americano in pensione. Ha raccolto le leggende contemporanee per decenni e ha creato una summa, nonché un sistema di catalogazione.
Del resto, Jean Noel Kapfereer nel saggio Le voci che corrono. I più antichi media del mondo ha scritto che la base del successo di alcune leggende metropolitane è proprio la fiducia nelle persone nella propria comunità: se gli altri membri ci credono, deve essere vero.
4.5 Non accettazione
A proposito di malattie e di credenze false inerenti alla cura della salute, Braccini scrive (p. 28): “Si tratta di credenze vecchissime, che ciclicamente riemergono per spiegare e razionalizzare quello che fa paura o che, in fondo, non si vuole accettare: che le malattie esistono, che ne emergono di nuove, e che se le autorità promuovono una cura di norma non lo fanno per un fine oscuro, o addirittura per propagare il male, ma per curarlo”.
5 MORALISMO E COMPLOTTISMO
Braccini continua dicendo che il fatto che le fogne siano oscure e malsane (e quindi inquietanti) le rende il luogo perfetto in cui ambientare delle leggende.
Qualcuno avrà intuito che in questo capitolo si parla dei coccodrilli di New York. Più che sulle analogie con le leggende del passato, è opportuno soffermarsi su un altro aspetto: effettivamente, a volte hanno trovato qualche alligatore nelle fogne della Grande Mela, ma da qui a dire che pullulino di rettili ce ne passa. È interessante che la base di partenza possa anche essere vera. Non lo è la storia che ci viene costruita sopra.
Allo stesso modo, non è errato invitare alla precauzione contro le malattie a trasmissione sessuale o a non fidarsi subito delle persone per salvare la propria incolumità (cfr supra, p. 2).
Ma purtroppo molte volte l’intento è di tipo moralistico.
Braccini fa notare che spesso queste storie vengono diffuse da movimenti ultraconservatori (lui utilizza i termini perbenismo, moralism-p11- e oscurantismo- p. 162) ) che usano come arma la disinformazione per influenzare le persone (quando non invitano a fare qualcosa: “le narrazioni tradizionali, osserva sempre Ellis, spesso costituiscono un invito all’azione, anche drastica”- p. 162). O a non fare qualcosa.
5.1 Oltre Tommaso Braccini e Miti Vaganti: Valentina Petrini
In questi casi, entra in gioco il concetto di fake news.
A questo proposito, ecco quello che scrive Valentina Petrini.
“Condivido la tua antipatia (è un’intervista a David Quammen, nda) per l’espressione fake news. […] anche il titolo l’ho scelto per sottolineare che non sono solo false notizie quelle che circolano su fatti come la pandemia da Sars-CoV-2 o l’immigrazione. Se così fosse, sarebbero più innocue. Sono invece armi di distrazione di massa, fenomeno più complesso e preoccupante, strategia per la raccolta del consenso”.
E in un altro capitolo (pp. 174-175) dice:
Non chiamatele fake news, ma disinformazione. Acque torbide per confondere le persone, insinuare loro il dubbio, manovrarle come marionette. È la matematica della manipolazione. Nulla è casuale. Tutto è funzionale al controllo delle masse, alla loro profilazione, per indurle all’azione”.
Teniamo conto anche del fatto che spesso leggende metropolitane e fake news hanno molto successo all’interno di gruppi circoscritti, per quanto ampi. Gruppi che diffidano dei canali ufficiali.
6 LE FONTI
Emerge, nel saggio recensito, anche un problema inerente alla verifica dei fatti (fact checking) e delle fonti. Innanzitutto, Braccini scrive: “non sono mai fatti successi a chi le racconta ma ad amici di suoi amici o a conoscenti di suoi conoscenti”.
Non a caso, l’incipit del libro recita (P. 9):
“La conoscente di un’amica di un cugino […]”
E poco dopo (ibidem):
“Mescolare Coca Cola e Aspirina crea un composto più potente dell’LSD, giurano altri sulla base di esperienze di amici di amici”.
Anche Kapfereer ha detto che la fonte non è mai diretta.
Questo aspetto può sembrare buffo eppure non è così innocuo perché consente di mantenersi nell’anonimato del vox populi, del si dice, di storie capitate a persone non ben individuate.
In secondo luogo, riprendendo il caso del prete irlandese, che poi si è scusato, dobbiamo fare una considerazione: chi ha il potere di influenzare molte persone in quanto depositario della loro fiducia ha il dovere, più degli altri, di controllare che una notizia sia vera prima di diffonderla. Soprattutto se può avere ripercussioni sulla società. Sempreché agisca in buona fede.
A proposito di buona fede, un elemento del libro che lascia perplessi è che a volte le fonti erano serie. Ad esempio, il liberto di Adriano era uno storico.
Questo induce a essere ancora più scrupolosi nella verifica delle fonti, a consultarne più di una e fare un check con il cervello. Anche quella più seria e affidabile può sbagliare.
6.2 Il ruolo dei seo copywriter e degli altri creatori digitali
Pure i creatori di contenuti digitali hanno il dovere di farlo. Soprattutto quando inseriscono un link esterno o menzionano qualcuno.
Credere alle fake news e affidarsi a fonti inattendibili è dannoso per tutti. Per questo motivo, chi scrive deve stare ancora più attento perché rischia di contribuire alla loro circolazione.
A maggior ragione se scrive testi su Internet. Sia perché su Internet le notizie viaggiano più velocemente (le leggende contemporanee sono brave a sfruttare i mezzi di comunicazione e la tecnologia) sia perché i link verso questi siti possono dargli forza (link juice).
Inoltre, possono rendere meno credibile i siti da cui partono. E, quindi, danneggiare se stessi e i propri committenti.
Pertanto, impedire la diffusione delle bufale è sia un obbligo morale sia un atto vantaggioso.
Bibliografia
Tommaso Braccini. Miti Vaganti, Edizione Il Mulino Bologna, 2021.
J.J Christilin, Storie e leggende della Valle del Lys, Edizioni Guindani, Aosta, 1988
Barbara Gizzi-Irene Pellegrini, Il gusto di camminare, Slow Food Editore, Bra (Bi), 2022
Jean Noel Kapfereer Le voci che corrono. I più antichi media del mondo, Longanesi & C, Milano, 1988.
Cesare Marchi, Siamo tutti latinisti, Rizzoli, Milano, 1992.
Charles Perrault, Cappuccetto Rosso e altri racconti. Giunti, Firenze, 1971. Traduzione di Carlo Collodi.
Valentina Petrini, Non chiamatele fake news, Chiarelettere, 2021
Sitografia
Saggistica
Il Mulino
2021
192 p., brossura