Il romanzo di un’analisi
Di Geraldine Meyer
Vincitore del premio Campiello nel 1986, torna in libreria con Apogeo La donna dei fili, di Ferdinando Camon. Che libro è questo? Il romanzo di una analisi? Un rispecchiamento? Uno dei modi con cui un uomo si avvicina all’universo femminile? Forse un po’ di tutto questo, sebbene, non vi è dubbio, il filo dei fili sia proprio l’analisi. La donna dei fili è Michela, una quarantenne seguita tra le pagine per dieci anni. Tre di analisi preliminare e sette di analisi vera e propria. Il resoconto di quello che, senza drammaticità, può definirsi un percorso al massacro. Michela è ossessionata dalla morte, ne ha paura e la desidera al contempo. Ed è ossessionata dai fili, dal loro evocare altro: il cordone ombelicale, una sciarpa al collo, il filo del telefono, i binari dei treni. La sua vita è un groviglio di fili attorno al suo cuore. Un marito, una figlia, un lavoro. E, dentro di sé, cadute, inciampi, panico, pianti, disorientamento. Eppure. Eppure, sebbene da più parti sia stato definito come una discesa all’inferno, questo libro sembra essere (forse a sua insaputa) il racconto di una donna che, nonostante tutto, ha l’ardire e l’ardore di andare avanti proprio tenendosi stretta a quegli stessi fili che la legano
Diceva San Paolo: “Ed è proprio quando sono più debole che sono più forte”. Michela è frantumata dalle sue paure, incapace di rapportarsi con le luci e le ombre della sua vita. Eppure. Eppure, ad un certo punto capisce che da sola non può farcela. L’analisi, per lei, è non tanto il bisogno di trovare risposte quanto, semmai, il rischio di una domanda.
In alcuni punti La donna dei fili si legge trovandosi, all’improvviso, una lacrima sulla guancia, come quando racconta di essere stata accusata di furto in un grande magazzino, come quando racconta di avere preso il treno sbagliato, come quando racconta di essere entrata in una classe (Michela è insegnante) convinta fosse la sua e invece no. E in quei momenti la senti tutta la sua confusione, la vita che non riesce a tenere insieme.
Ogni seduta una paura, un vuoto, uno smarrimento. Lo psicanalista, seduto dietro di lei, in silenzio. E lei che si arrabbia, che si affida, che reagisce e si abbandona. Un silenzio che non è un tacere ma uno dei modi con cui si crea lo spazio perché lei possa dirsi, raccontarsi, mentirsi e dirsi la verità. Un modo per sentire che può farcela, che ci sta arrivando. Michela cerca un padre, quel padre che ha perso da bambina e che, finalmente, decide di andare a trovare al cimitero. Per capire, all’improvviso, come se non ci avesse mai pensato prima, che in quella tomba c’è un padre che però è morto a ventotto anni e che, quindi, lei si ritrova “davanti” come fosse un figlio. Ma forse è da lì che i pezzi cominciano a rimettersi a posto. È da lì che Michela comprende che i fili possono tagliarsi senza cadere ancora. Imparerà ad accettare la separazione dal marito e l’allontanamento, naturale, di sua figlia. Michela potrà “guarire” e bruciare i quaderni della sua analisi redatti, lungo dieci anni, dallo psicanalista. Che, con gesto simbolico, glieli consegna proprio perché lei ne faccia ciò che vuole. Ciò che ha attraversato è stato scritto e ciò che è stato scritto si può bruciare per andare oltre.
È, questo La donna dei fili, un libro di freddo acciaio eppure bollente come la lava. Michela è qualcosa di ciascuno di noi.
èstra narrativa
Letteratura
Apogeo
2024
214 p., brossura