Il mio migliore amico è fascista di Takoua Ben Mohamed: un libro a fumetti per superare l’ombra del pregiudizio e condividere la propria storia
di Laura Vargiu
Suona spassosamente originale e incuriosisce non poco il titolo di questo libro a fumetti edito nel 2021 da Rizzoli e a firma di un’affermata fumettista e illustratrice italo-tunisina che ha già all’attivo diverse pubblicazioni interessanti e da tempo apprezzate da critica e lettori.
Classe 1991, Takoua Ben Mohamed è giunta nel nostro Paese con la famiglia a soli otto anni per ricongiungersi al padre, costretto alla via dell’esilio politico durante il regime di Ben Ali.
Il mio migliore amico è fascista è destinato anzitutto a un pubblico di ragazzi, ma ha molto da dire anche a quello di noi adulti. Un graphic novel (come si tende a chiamare oggi questo genere letterario) che fin dalle primissime pagine si rivela accattivante e straordinariamente coinvolgente, raccontando con semplicità una storia – quella della stessa autrice – che induce a sorridere, ridere, riflettere; una storia autobiografica e “tragicomica”, fatta di un bellissimo connubio di parole e tavole artistiche che non potrà non lasciare un segno nel cuore del lettore e che alla fine, come si auspica, farà sì che si guardi l’altro, lo straniero, il “diverso” (dal compagno di classe al venditore ambulante) con occhi nuovi.
«All’epoca non sapevo di essere una “MIGRANTE”, non sapevo nemmeno cosa significa la parola “immigrata”, ed è per questo che non mi sono mai definita così. Ero solo una BAMBINA […]».
La vicenda personale di Takoua prende qui avvio con l’inizio degli studi superiori in una periferia romana e la costrizione a condividere il banco con un ragazzino che si professa “fascista” e indossa una maglietta con la svastica. Lei non vuole stare accanto a un “troglodita fascista” e lui, a sua volta, rifiuta la presenza di una “terrorista”: insomma, guerra aperta!
Tra variegati epiteti, molti dei quali riflettono, ahinoi, luoghi fin troppo comuni quando si tratta di immigrati arabo-musulmani, il racconto della Takoua adolescente procede a ritroso verso l’infanzia, nel corso della quale tanta è stata la sofferenza dovuta alla mancanza della figura paterna in Tunisia e non meno rilevante è risultato il successivo spaesamento per via del trasferimento in Italia della numerosa famiglia, dapprima in una piccola cittadina e poi nella caotica capitale dove diventava difficile conoscere persino i propri vicini di casa. Inutile sottolineare quanto i pregiudizi e la diffidenza altrui abbiano pesato, ancor più dopo la tragica data dell’11 settembre 2001, allorché, come purtroppo sappiamo bene, la percezione dell’Islam e dei musulmani in generale è radicalmente mutata, e non certo in positivo. A rendere tutto meno semplice, nella storia della giovanissima e ribelle Takoua fa la sua comparsa il velo, scelto in piena libertà (addirittura in contrasto con il parere dei genitori) e via via con maggiore consapevolezza.
«Terrorista, beduina, immigrata. DIVERSA. Da tutto e da tutti. Per i bianchi sono nera e per i neri sono bianca. Sono tunisina e sono italiana. Sono TUTTO e sono NIENTE. […] Non sono parte del Paese che sento mio, dell’identità che sento mia […]».
E intanto lei e Marco, questo il nome del compagno forzato di banco, sembrano giurarsi accanita inimicizia a vita. Talvolta, però, quando ogni cosa appare irrecuperabile, accadono miracoli inattesi e gli alti muri dell’incomprensione, eretti con il contributo di ambo le parti, finiscono per crollare miseramente. Non è impossibile: basta una sola parola, un gesto gentile, la semplice volontà di conoscersi.
Un’istruttiva lettura che dona speranza, di cui abbiamo oggi un infinito bisogno, in particolare per le nuove generazioni che devono imparare a far parte di un mondo sempre più multiculturale dove la diversità non dovrebbe divenire causa di scontro, ma ricchezza per tutti quanti. Numerosi i temi toccati in un colpo solo in queste splendide pagine contraddistinte, inoltre, da uno stile grafico e narrativo degno di nota: dall’immigrazione all’integrazione, dall’amicizia al mondo della scuola dove forse non tutti gli insegnanti si approcciano in modo corretto agli alunni che provengono dall’estero (sarebbe già un buon punto di partenza chiamare questi ultimi con i loro nomi per intero, senza insensate semplificazioni come Ben al posto di Ben Mohamed), dalla vexata quaestio del velo islamico alla laicità.
«Quando si dice che la scuola è LAICA, si intende proprio questo: che rispecchia la società mista in cui viviamo e che rispetta la libertà religiosa dei suoi studenti. La scuola è e deve essere un luogo d’INCONTRO tra diverse etnie e religioni, tra culture differenti, un luogo interculturale aperto e accogliente dove potersi conoscere e dove far conoscere la propria identità. Perché la scuola ti prepara a vivere nella società e ad affrontare la vita reale. Se a scuola si sopprimono le LIBERTÀ personali degli studenti e dei professori, che società possiamo aspettarci dalle prossime generazioni?»
Quello di Takoua Ben Mohamed è un grande talento con alle spalle un vissuto, personale e familiare, ammirevole. Oltre all’attività di fumettista e illustratrice, si dedica pure alla produzione cinematografica e al giornalismo a fumetti occupandosi di tematiche politiche e sociali; vari i riconoscimenti che le sono stati finora assegnati. Una ventina d’anni fa ideò il progetto online “Fumetto Intercultura”, mentre nel 2019 ha prodotto un docufilm per un canale di Al Jazeera. Tra le sue pubblicazioni, La rivoluzione dei gelsomini (2018) e Crescere in Mozambico (2022), entrambe uscite con la casa editrice veneta BeccoGiallo.
Fumetti
Rizzoli
2021
252 p.,