Laura Vargiu è nata a Iglesias, nel sud della Sardegna. Laureata in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Cagliari con una tesi in Storia e istituzioni del mondo musulmano, è presente con poesie e racconti in diverse raccolte antologiche nazionali. Vincitrice del Premio Letterario “La Mole” di Torino nel 2013 e autrice di alcune pubblicazioni di poesia e prosa, tra cui “Il cane Comunista e altri racconti” (L'ArgoLibro Editore), fa parte della redazione della rivista di poesia e critica letteraria “Nuova Euterpe” e della giuria di alcuni concorsi letterari.

Khat di Ximo Abadía: storia di un rifugiato tra ordinari orrori d’emigrazione

Di Laura Vargiu

Tra i vincitori del prestigioso Premio Andersen di questo 2024, l’opera a fumetti Khat. Storia di un rifugiato non è passata inosservata nemmeno in ambito internazionale già al suo primo apparire un paio d’anni fa con le edizioni svizzere La Joie de lire. A portarla in Italia nel 2023, con traduzione di Loredana Serratore, è stata una giovane e promettente casa editrice con sede a Napoli, Il Gatto Verde, che ha così fatto ulteriormente conoscere nel nostro Paese il talento dell’illustratore spagnolo Ximo Abadía (Joaquim Abadía Pérez).

Come si intuisce dal sottotitolo, il libro è ben lungi dal raccontare una vicenda per così dire leggera e di pura evasione. In verità, Khat è un pugno nello stomaco, una narrazione ruvida e dura che non risparmia granché al lettore. Pagine intense che, attraverso parole e immagini, ci costringono ad addentrarci in ferite che forse non smetteranno mai di sanguinare del tutto; sono quelle di Natan, il giovane protagonista africano, e di un esercito di disperati come lui che continua il proprio ineluttabile esodo tra umiliazioni e sofferenze, in una discesa agli inferi che spesso ha fine solo con la morte.

Arrivare dall’Eritrea nei sobborghi di lamiera e cartone di Addis Abeba è già un viaggio di per sé pericoloso e traumatico. Natan vi giunge ancora bambino insieme a suo padre, in fuga dal regime del loro Paese. Ma, come talvolta accade, il pane del vicino è amarissimo, e lo si può per giunta trovare soltanto negli immondezzai dove frotte di esuli cercano ogni giorno scarti con cui riempire la pancia. E così si cresce e ci si spoglia di una fanciullezza mai vissuta per diventare d’improvviso uomini nel fetore di un carcere, mentre qualcuno, per reprimere fame e dolore, si abbandona all’illusoria sensazione di benessere che proviene dalle foglie del khat.

«Ci lavavamo con un secchio d’acqua fredda, sporca. Mangiavamo una scodella di minestra al giorno, e anche quella sembrava acqua sporca. Passai quell’anno a spaccare pietre che servivano a fare le strade. Avevo 14 anni».

Ma anche quando si esce fuori dalle sbarre, si sa, la vita può prendere svolte incontrollabili che portano alla fuga continua. Sudan, Ciad, Egitto, Libia: deserti da attraversare, centri di prigionia in cui sopravvivere, nuove estenuanti marce per sfuggire all’unica legge della violenza e dell’abuso.

«Poi fu solo silenzio».

E infine il mare, quel Mediterraneo divenuto ormai un cimitero senza lapidi, ultimo tributo di sangue da pagare per accedere a quella che il giornalista ed esperto di migrazioni Gabriele Del Grande ha chiamato “fortezza Europa”. È il 17 giugno del 2018 quando ben tre navi entrano nel porto spagnolo di Valencia con un carico complessivo di seicento persone raccolte in mare, tra cui anche lo stesso Natan. La fine di un incubo e l’inizio di un nuovo viaggio.

Con uno stile grafico dai tratti ora sfumati ora un po’ più nitidi, l’autore fa viaggiare anche noi lettori insieme al ragazzo protagonista, riducendo talvolta le figure umane a ombre e macchie indistinte. Colori accesi si alternano, spegnendosi di colpo, all’abisso di notti infinite e tremende in cui precipitano senza scampo fame, paura, rabbia; alcune pagine, pur in assenza di testo scritto, trasmettono un greve silenzio che esprime più di tante parole. “Inquadrature” perfette, in particolare nell’ultima parte del volume durante la traversata al largo delle coste libiche, rendono con sconcertante realismo tutta la drammaticità del momento che si contorce nella lunga agonia dell’attesa. Pagine da mettere a forza davanti agli occhi di chi, ai piani alti di una politica sempre più fredda e disumana, nega l’accesso ai porti.

Un libro prezioso sul tema costantemente attuale dei migranti, del quale l’editore consiglia la lettura da parte di un bambino (o di un ragazzo entro i quattordici anni d’età)  in compagnia di un adulto; al tempo stesso, però, raccomanda anche quella da parte di un adulto insieme a un bambino, che ancora non conosce pregiudizi di sorta né luoghi comuni.

“Per la forza e l’intensità di una narrazione necessaria, esplicita e conturbante, libera da indugi, conformismi e sentimentalismi; per la capacità di rendere immediatamente universale una vicenda particolare, esemplare di un fenomeno del nostro tempo; per l’originale declinazione della forma fumetto in dialogo con l’arte dell’illustrazione”: questa la significativa motivazione con cui, mesi fa, è stato attribuito il Premio Andersen, giunto alla sua quarantatreesima edizione, aKhat. Storia di un rifugiato come miglior libro a fumetti.

Classe 1983, Ximo Abadía ha già all’attivo diverse pubblicazioni. Negli Stai Uniti, tra i dieci migliori testi illustrati selezionati nel 2019 dal New York Times e dalla New York Public Library è rientrato anche uno dei suoi lavori.

Per seguire l’attività e gli aggiornamenti de Il Gatto Verde Edizioni: https://ilgattoverde.com/ .

Le immagini sono tratte dal libro e prese dal sito della casa editrice

Khat Book Cover Khat
Ximo Abadia
Fumetti
Il Gatto Verde Edizioni
2023
144 p.,