L’America ci ha colonizzato l’inconscio e l’immaginario. Che la cosa piaccia o meno rientra nella categoria del soggettivo che, in letteratura, è importante e secondaria al contempo. Come il dire che questa influenza sia buona o cattiva. La colonizzazione c’è e, talvolta, capita che porti ad esperimenti interessanti con cui la scrittura si confronta con essa, volutamente. In una sorta di gioco di specchi. Ed è quello che accade in questa raccolta di racconti, America!, appunto, con tanto di punto esclamativo, non a caso di Alessandro Maradini
Sette racconti di cui quattro di “ambientazione” americana. Ed è su questi, a nostro parere i più interessanti, che ci vogliamo soffermare. Technicolor, Rettiliani, Papaveri, Dave! Questi i titoli e questi i quattro archetipi, le quattro ossessioni americane. O, meglio, quelle che un europeo ritiene siano quattro ossessioni americane: la negritudine, gli alieni, la retorica della guerra e lo showbiz.
Nel primo racconto un nativo americano si trova, prima dell’incidente che lo porterà in ospedale e che ce lo farà conoscere, in auto a parlare, o meglio ad ascoltare, discorsi sul grado di negritudine di personaggi dello sport e dello spettacolo. La sua posizione in auto (seduto dietro e praticamente muto) è metafora di ciò che un europeo “immagina” sia la questione dei nativi americani in un paese che del genocidio degli stessi mai si potrà liberare. E allora sposta l’attenzione su quella che è la percezione del numero di neri presenti nel paese. Un senso di colpa mai sopito che ha, come rovescio della medaglia, una questione raziale e razzista con cui l’America non vuole fare i conti.
In Rettiliani un cane viene rapito dagli alieni e il protagonista del racconto, a partire da questo, rimette in discussione tutte le sue certezze. Lui è il tipico elettore repubblicano, nutrito e cresciuto con la mitologia della frontiera che, negli USA, ha trovato la sua apoteosi con la frontiera più lontana: lo spazio. Tutto sembra essersi fermato a quel 20 luglio del 1969 quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin, scendono saltellando in assenza di gravità sul suolo lunare, aggiungendo una stella alle stelle della bandiera americana. Lo Sputnik sovietico era nulla al confronto e Cape Canaveral era il centro del mondo. Ma i miti sono destinati a dissolversi, talvolta e, con essi, le certezze e le bugie che tengono in vita un sogno. IL sogno americano? Forse.
Papaveri, va dritto al punto, proprio come le strade del North Dakota tanto evocate nel racconto stesso. E mette in luce, ferocemente anche, la retorica della guerra, tanto cara agli americani, che sono buoni e vanno a combattere in luoghi che non sanno nemmeno identificare su una carta geografica, per esportare la democrazia. Ma lo fanno fare alle persone più semplici, quelle più marginali e disadattate. Quelle a cui le immense praterie non danno più sostentamento e neanche le industrie. Ma l’esercito sì. Vai ragazzo, impugna un fucile per la gloria del tuo paese e per il bene del mondo. E se non sai perché lo fai, è meglio. Raccontato da un militare alla fine della sua carriera, stanco e disgustato forse, questo è, secondo noi, il racconto più riuscito, quello che meglio mette insieme clichè, grandi spazi e retorica da far west
Dave!, divertente e ironico ritratto di un’icona televisiva americana, quel Dave Letterman, finto fustigatore dei costumi ma, lui per primo, macchina da dollari, “eroe americano” dello showbiz, protagonista di quella colossale industria televisiva americana che plasma e distorce a suo piacimento una realtà che si limita a trasformare in una merce. Altra ossessione dell’America è la parola business infilata ovunque, criterio e misura di goni cosa tanto che, anche il buon Dave, era solito introdurre i suoi ospiti quantificando i biglietti venduti al botteghino per il loro spettacolo o il numero di copie vendute del loro libro. Business is business, sei nella terra in cui se hai volontà i sogni si realizzano e tutto si contabilizza.
La scrittura di questi racconti rende bene il gioco dichiarato dallo stesso autore, che dice senza nascondersi come si debba parlare di colonizzazione. E non è la scrittura di uno scrittore americano, ne del resto può esserlo. Ma è un curioso gioco letterario attraverso cui uno scrittore europeo, italiano per giunta, si appropria di miti e luoghi comuni americani e li racconta sapendo di essere, inevitabilmente, lui per primo colonizzato. Un curioso e interessante gioco di specchi in cui non è importante stabilire quanto si ami ciò che si sta, in un certo senso criticando, ma quanto di quell’immaginario sia più della cara vecchia Europa che non dell’America.
Racconti
Gattomerlino
2017
102