Laureata in lingue e letterature occidentali e in lingue orientali, urdu e arabo. Laurea anche in filosofia, pedagogia clinica. E' antropologa trasformazionale e psico terapeuta

Il degrado della lingua italiana

La lingua italiana ha ormai intrapreso un percorso di caos linguistico irreversibile a tutti i livelli. E’ vero che le lingue subiscono nel tempo cambiamenti per adattarsi alle nuove situazioni sociali, economiche e culturali, che poi inevitabilmente si riflettono anche sul parlare quotidiano, ma lo stravolgimento che sta subendo l’italiano è davvero inspiegabile se non si giustifica attraverso un imbarbarimento di tipo culturale che si riflette anche nel comportamento di persone autorevoli, le quali, invece, dovrebbero dare esempio di civiltà, di buon costume e di alto livello culturale. Dovrebbero, in altre parole, essere i nostri punti di riferimento. Assistiamo, attraverso vari programmi televisivi, infatti, a dibattiti che si calano in atteggiamenti e turpiloqui inaccettabili, tanto più se provengono da personaggi che dovrebbero guidare i cittadini. Di conseguenza, le nostre scuole sono frequentate da studenti indisciplinati, i quali diventano sempre più svogliati, disattenti e demotivati. Studenti che si ribellano, affiancati dai genitori, ad ogni minimo richiamo che ha il solo scopo di aiutarli a crescere in maniera corretta sia dal punto di vista dell’istruzione che da quello educativo vero e proprio. Perché l’educazione e la cultura sono indispensabili non solo per un vivere civile, ma soprattutto perché aiutano a formarci delle opinioni, a discutere sulle nostre idee e a sostenere un parere invece di un altro, abbattendo quell’appiattimento di pensiero che sembra caratterizzare i nostri giorni. Ma, per discutere abbiamo bisogno di un pensiero ‘onesto’ e di un linguaggio chiaro; purtroppo due caratteristiche che sono ormai lontane dai nostri costumi. Si teme sempre di esporsi troppo, e si preferisce rimanere nel vago e nell’incerto; e così anche il linguaggio si impoverisce così come la mente si appiattisce. Dal punto di vista strettamente linguistico, le frasi che oggi riusciamo a formulare sono approssimative sia per carenza di lessico che di sintassi e di grammatica. L’inglese, con il suo stile snello ed essenziale, è diventato il nostro modello comunicativo. Ma la grammatica e la sintassi di questa lingua si sono ridotte per esigenze di comunicazione finanziaria e commerciale; vale a dire che per essere fruibile ai parlanti di tutto il mondo ha dovuto ridurre gran parte delle sue regole linguistiche tramutandosi da English (la vera lingua del Regno Unito) a Plain English (la lingua della comunicazione internazionale, quella usata all’interno del Parlamento Europeo). Poi abbiamo il linguaggio settoriale relativo alle transazioni bancarie o ai rapporti di lavoro per scambi di merce. Altra cosa è, invece, il linguaggio letterario e descrittivo relativo alle discipline umanistiche, linguaggio che si presenta ancora oggi ricco di sfumature legate ai tempi verbali e alla semantica. Quindi, l’inglese che noi prendiamo a modello e usiamo per comunicazioni specifiche ma frettolose, è un inglese ridotto all’essenziale che poco bada a costrutti complessi e molto articolati, perché lo scopo principale è quello di raggiungere in minor tempo possibile comunicazioni settoriali. Al contrario, la lingua italiana non serve per scambi commerciali internazionali, e di conseguenza, anche se inclusa in un contesto familiare e conosciuto sia dal parlante che dall’ascoltatore, dovrebbe far uso di tutta la ricchezza che questa lingua possiede. I tempi e modi verbali ci permettono di passare con disinvoltura dal modo indicativo al congiuntivo, dal presente al futuro (semplice e remoto), al passato (passato prossimo, imperfetto, passato remoto, ecc. ecc.), dagli accordi di genere e di numero, ecc. ecc..Tutta questa varietà sintattico-grammaticale viene oggi ignorata e i tempi verbali sembrano ridotti all’osso, dando la priorità al solo presente indicativo che sostituisce al 99% il presente congiuntivo. Non si fa più differenza tra linguaggio formale e informale, così che la lingua si è cristallizzata, come si diceva prima, su un solo tempo e un solo modo (presente indicativo). Inoltre, l’accordo tra soggetto e verbo quasi non esiste più, le preposizioni si usano impropriamente (vicino a Roma), e la ricerca semantica è ormai lontanissima dalla nostra pratica. Ma ciò che mi sembra più grave è il sovrapporsi di vocaboli inglesi a parole italiane, distruggendo in questo modo tutte e due le lingue. L’inglese, perché viene inserito e usato in contesti inappropriati, e pronunciato in modo scorretto, l’italiano perché lo si lascia impoverire e di lessico e di strutture linguistiche. Ritornando sulla pronuncia delle parole inglesi, si deve ricordare che questa lingua, essendo non fonetica, si scrive in un modo e si legge in un altro. Inoltre non ci sono regole che stabiliscono una volta per tutte la pronuncia dei fonemi, ma questi cambiano a seconda delle combinazioni tra vocali e consonanti all’interno della parola (turn over /t:/ /ouv/ e non /turn/tarn over, Santa Claus /Snt kl:z/ e non /Santa Klaus/, Australian /streiljn/ e non Australian, Media world /med† w:ld/ e non media uorld/, Tv talk /Ti vi t:k/ e non Tvutolk/, color /kl/ e non color, etc.). Anche se per quanto riguarda la lingua inglese, ci sono state varie richieste di cambiamento della pronuncia (spelling reforms) – Bertrad Russel fu uno dei suoi fautori – per rendere più accessibile la comprensione della lingua orale ed eliminare le lettere silenti, in modo da avere una alternanza quasi paritaria tra lettere e suoni (44 fonemi su 26 lettere), non si è arrivati mai ad una conclusione, soprattutto perché una riforma dello spelling avrebbe oscurato l’origine delle parole, rendendo in questo modo il loro significato molto meno chiaro. Inoltre, l’inglese ha anche una fonologia particolare e i toni di voce sono regolati soprattutto dalla struttura della frase, che a seconda se affermativa o interrogativa cambia intonazione, e la voce sale o scende variando l’altezza dei suoni, in modo contrario all’italiano. Sono moltissimi gli esempi di espressioni inglesi usate impropriamente o arbitrariamente in italiano, ma ne citerò solo due perché mi hanno colpito in modo particolare: Made in Sud (riferito a prodotti alimentari tipici del meridione) e Infanzia Days (riferito a delle giornate dedicate a giochi e svaghi infantili). Ma perché si vuole applicare il principio linguistico basato sull’economia del linguaggio (caratteristica dell’inglese che si è diffuso in tutto il mondo a causa dello sviluppo commerciale legato al Commonwealth) ad una lingua come l’italiano, soprattutto quando serve per diffondere i nostri prodotti all’interno del mercato del nostro paese o per promuovere svaghi e giochi per l’infanzia durante le sagre di paese? Forse per mostrare che mastichiamo tutti un poco di inglese, quando è risaputo che siamo un popolo negato per l’apprendimento delle lingue straniere? Vogliamo forse dimostrare che il nostro rifiuto per le lingue tocca anche l’italiano che non riusciamo più ad usare correttamente? Quanto diventa più lunga la frase ‘Alimenti dal Sud’ o ‘Giornate per l’infanzia’ rispetto al ‘miscuglio’ tra italiano e inglese? Dall’impoverimento linguistico che si impone attraverso il linguaggio scorretto che ci bombarda da tutte le parti, è poi facile scivolare nell’imbarbarimento culturale e comportamentale visto che i tre elementi sono strettamente connessi l’uno con l’altro. Ma non è forse ancora più ampio il concetto riferito all’imbarbarimento della lingua italiana, vale a dire che noi italiani siamo negati all’apprendimento linguistico generale sia se riferito alle lingue straniere e sia riferito alla lingua madre? Il noto psichiatra Sergio Piro, appassionato e studioso soprattutto di linguistica, ricerca che poi applicava all’interno della ricerca psichiatrica (Il Linguaggio Schizofrenico), diceva sempre, durante i nostri incontri all’ospedale di salute mentale di Napoli ‘Frullone,’ che non ci sono limiti all’apprendimento delle lingue straniere né per età né per attitudine, e aggiungeva che tutti coloro che sono in grado di apprendere la lingua madre potranno senza difficoltà apprendere anche più di una lingua straniera. Ma, oggi, alla luce del degrado palese in cui è sprofondata la lingua italiana, mi viene da affermare che gli italiani hanno comunque un rifiuto verso tutte le lingue e madre e straniere. Sono anni che vado sventolando ai quattro venti che i nostri studenti universitari non conoscono l’italiano e che hanno carenze di tutti i tipi nella loro lingua, carenze che coprono sia il campo semantico che fonetico-fonologico e sia sintattico-grammaticale. Finalmente ora il problema, divenuto ormai macroscopico, sembra riconosciuto da tutti fino a promuovere la stesura di un documento firmato da docenti, professori universitari ed esperti di lingua italiana, che attesta tale degrado. In quanto professore di lingue straniere e di linguistica inglese all’università, ho dato sempre una importanza rilevante allo studio della grammatica, e, delle quattro abilità linguistiche (ascolto, parlato, lettura e scrittura), enfatizzando soprattutto la lettura e l’esposizione scritta attraverso la traduzione e il riassunto. Perché questa scelta? La risposta è semplice: la lettura stimola la conoscenza della cultura di un popolo e, inoltre, impegna nella ricerca di come un autore sfrutti il costrutto linguistico e la ricchezza semantica per trasferire al lettore le proprie emozioni, le proprie esperienze, le proprie reazioni e i propri punti di vista. La traduzione di un brano dalla lingua straniera alla lingua madre, poi, vede impegnato lo studente su una riflessione riguardo alla lingua formale, perché deve trasferire un messaggio in uno stile chiaro e corretto, tanto comprensibile nella lingua di arrivo così come lo era nella lingua di partenza. Ma il risultato di queste traduzioni, specialmente all’inizio del corso è sempre disastroso. La diagnosi e la cura? Lo studente non conosce abbastanza la propria lingua madre. E’ approssimativo nella descrizione dei fatti, molto confuso per quanto riguarda la costruzione di un testo, il tutto condito da forti carenze semantico-grammaticali in ambedue le lingue. Quante volte mi trovo a dire che le traduzioni dall’inglese all’italiano più che mostrare una deficienza della lingua straniera mostrano una forte carenza nella lingua italiana. Nelle versioni si evincono non solo errori di ortografia, ma anche di lessico, di costruzione del periodo, di semplice applicazione di tempi verbali e di accordi di genere e di numero. La conseguenza? Il testo tradotto risulta incomprensibile e senza senso. Di solito prendo una traduzione a caso e la faccio leggere ad uno studente ad alta voce, poi chiedo di farne un riassunto in italiano a viva voce. Impresa insostenibile, poiché nessuno riesce a capire il significato del brano così come è stato tradotto. Infatti, il testo nella lingua di arrivo ha frasi sospese, dove se è enunciato il verbo, questo ha tempi che non rispettano la così detta ‘consecutio temporum’, poi, non esiste accordo tra soggetto e verbo (verbo al singolare e soggetto al plurale o viceversa), non esiste accordo tra sostantivo e aggettivo, le preposizioni sono messe a caso, i pronomi personali oggetto vanno per conto loro ed, infine, si nota un ripetersi estenuante del soggetto. Ne risulta un linguaggio scritto, che dovrebbe, invece, essere formale, non solo completamente colloquiale, ma soprattutto sconnesso e, quindi, privo di significato e tanto meno di senso. Come riparare a tutti questi inconvenienti linguistici, senza dare la colpa ai telefonini o ai mezzi più sofisticati di comunicazione? Questi mezzi rivoluzionari della comunicazione fanno parte di un fascia specifica che, pur condizionando il linguaggio, non dovrebbero interferire nella pratica formale della formazione linguistica. Nella mia esperienza, infatti, questo problema di deficienza di espressione in lingua madre, era presente anche quando i telefonini non esistevano o erano molto limitati. Rispetto alla cura, la lettura e l’apprendimento almeno di una lingua straniera potrebbero fare al caso. Ho sempre messo in evidenza che lo studio delle lingue straniere dovrebbe aiutare anche ad approfondire l’apprendimento della lingua madre, perché l’analisi contrastiva tra due lingue mette in evidenza ciò che della lingua madre è stato appreso a livello inconscio. Quindi, comparare due lingue, ci rende più coscienti e consapevoli di certe strutture o di certi meccanismi e sfumature linguistiche che animano e regolano anche la nostra lingua madre. Un altro vantaggio che offre l’analisi contrastiva tra lingua madre e lingua straniera è quello di mettere in luce che le somiglianze tra le due lingue superano le diversità, rendendo in questo caso la lingua straniera molto più familiare e accessibile. Quando si affronta lo studio di una lingua straniera, specialmente a livello elementare, si fa ricorso a dialoghi che contemplano situazioni di vita giornaliera, con vocaboli e strutture semplici che arricchiscono il vocabolario essenziale per espletare funzioni che ricorrono nella quotidianità e, quindi, nel linguaggio informale. Se si affiancano a queste letture una esposizione anche in lingua madre e un riassunto scritto che ingloba le situazioni descritte in lingua straniera, si passerà da un linguaggio orale a uno scritto facendo notare la differenza tra il registro formale e quello informale. Questa pratica serve per sviluppare nello studente la capacità di esporre in modo esaustivo differenti situazioni, mettendo in rilievo tutti i dettagli riferiti ad un determinato argomento. Abituare gli studenti ad essere precisi nella descrizione e a non essere evasivi e impliciti, poiché si presume che tutti conoscano l’argomento, rafforza la mente quando si cerca di costruire un testo coeso, dove le situazioni si susseguono con lo scopo preciso di creare un contesto reale che abbia un inizio, uno svolgimento e una fine. Anche a livello elementare si possono affiancare ai dialoghi, brevi brani di prosa letteraria, in modo da avvicinare gli studenti alla pratica della lettura e, quindi, alla traduzione e al riassunto, nonché alla conoscenza di dettagli culturali che si riscontrano numerosi in passi di letteratura. La lettura diventa elemento fondamentale per l’apprendimento linguistico sia per quanto riguarda la lingua madre che per quella straniera. Attraverso la lettura si sviluppa la lingua in senso completo, vale a dire si arricchisce il lessico, la grammatica e si riflette su come costruire prima una frase semplice e poi un periodo più complesso arricchito da subordinate. La lettura mette in moto le facoltà immaginative e percettive del lettore. Infatti, alcuni testi richiedono al fruitore di concludere la storia a seconda del proprio punto di vista. Affrontare anche molto presto testi di lettura abitua lo studente e/o il bambino a raggiungere una buona capacità di sintesi, quindi di comprensione, specie se si fa seguire il racconto da domande che attestino anche la capacità di sviluppare a parole proprie gli eventi principali che costituiscono il testo. In questo modo il lettore partecipa attivamente e non si pone come lettore passivo che legge solo per conoscere lo sviluppo degli avvenimenti. Bisogna considerare anche la lettura ad alta voce, che è un momento importantissimo per lo sviluppo cognitivo, poiché abitua oltre che all’identificazione di parole, soprattutto a modulare la voce e il proprio tono espressivo, in modo da dare maggiore significato al testo in generale e maggiore enfasi a particolari tratti linguistici, così da metterne in luce non solo il significato ma anche quel senso intimo che si evince da tutto il contenuto inserito in un determinato contesto. La lettura, quindi, persegue quattro scopi: 1) imparare nuovi vocaboli isolati, 2) per poi apprenderne tutte le loro sfumature all’interno di una determinata situazione, facendo passare la mente del lettore da una analisi linguistica individuale ad una analisi contestualizzata, che immette direttamente in passaggi di tipo culturale. Infatti, la lettura è un mezzo molto diretto per dare accesso a modi di vita, a costumi e ad usanze, che attraverso i personaggi descritti, riflettono quelli più ampi e generici di un popolo. 3) Un terzo scopo è quello di aiutare la memoria, attraverso uno schema che riassuma gli eventi principali del brano. Infatti, il lettore, per poter essere in grado di enunciare il contenuto del testo, deve selezionare gli avvenimenti a seconda della loro importanza e disporli in modo coerente per dare un senso alla propria esposizione riassuntiva. 4) La lettura abitua anche alla concentrazione, perché distrarsi fa perdere la sequenza degli avvenimenti, sequenza che è molto importante per rendersi conto delle conseguenze delle azioni e delle parole che si sviluppano in un contenuto che deve prendere forma non solo a seconda del punto di vista dell’autore, ma anche rispettando il punto di vista del fruitore, il quale deve adattare le altrui esperienze alle proprie esperienze sia di costume che di lingua. Infatti, è attraverso la cultura e le proprie abitudini che, confrontate con quelle di altri personaggi appartenenti ad altri popoli, all’interno di un nuovo contesto, prendono forma i contenuti del testo. La lettura in lingua straniera di brani che sono molto rappresentativi della cultura dell’autore diventa così fonte indispensabile di arricchimento di modi ed usanze appartenenti ad altri mondi, arricchendo di contenuti il brano e facendo scoprire al lettore mondi nuovi ed affascinanti. Il fruitore, quindi, immettendosi in altre situazioni antropologiche cambia il proprio punto di vista, ampliandolo per riuscire a immettersi in un pensiero e in un modo diverso di sviluppare ed affrontare nuove situazioni. Abituare alla pratica e al fascino della lettura sviluppa, quindi, non solo la fantasia, ma soprattutto la lingua e la cultura antropologica relativa a eventi fino allora sconosciuti. Inoltre, la lettura è una abilità indispensabile per formare il pensiero e spingere verso la curiosità. La curiosità, infatti, pur essendo una caratteristica propria dell’essere umano, ha continuo bisogno di ricevere stimoli, per non far piombare lo studente nell’apatia e nella noia di un apprendimento schematico. Attraverso la curiosità l’allievo, come il bambino, sviluppa la capacità di ricerca del mondo, e, di conseguenza, di ricerca linguistica durante il percorso che lo porterà ad appropriarsi in modo completo ed effettivamente comunicativo del processo che accompagna lo sviluppo del linguaggio. Il linguaggio tecnico ed implicito, e il linguaggio familiare, vale a dire quello che si usa all’interno di un ristretto e conosciuto contesto, deve essere affiancato da un linguaggio esplicito e grammaticalmente ben costruito ed arricchito da una varietà di vocaboli che, all’interno delle loro sfumature, sono non solo portatori di informazioni, ma fanno percepire al fruitore anche le sensazioni, le esperienze, gli umori, i punti di vista e le personali reazioni del parlante o dello scrivente. L’abilità di lettura, naturalmente, deve essere valutata da due punti di vista: 1) se riferita alla comprensione di un testo in lingua madre, 2) se riferita ad un brano che possa essere sfruttato per l’apprendimento di una lingua straniera. Ma nonostante i due approcci si prefiggano scopi differenti, leggere implica, comunque, una analisi testuale che, partendo da un contesto, inserisce la situazione (trama di un testo) in uno scenario che dà significato al contenuto descritto. La lettura all’interno della didattica delle lingue straniere è una riflessione esplicita sull’uso della grammatica e sull’apprendimento di nuovi vocaboli riferiti ad una determinata situazione, mentre la lettura in lingua madre è vista di solito per seguire le vicende e le trasformazioni di determinati personaggi. Se, al contrario, si potessero sfruttare le capacità analitiche di un testo anche per una analisi linguistica di come un determinato autore usi il linguaggio per costruire un contenuto che è popolato da personaggi che si alternano per dare vita ad una situazione specifica, forse anche la lingua madre ne trarrebbe benefici sia dal punto di vista grammaticale che lessicale. Inoltre, la traduzione da ambedue i versanti (da lingua straniera a lingua madre e viceversa) renderebbe non solo esplicite queste conoscenze linguistiche, ma le rafforzerebbe impegnando lo studente in una esposizione scritta e orale che resti fedele al testo di partenza. Mettendo in evidenza la diversa raffigurazione sintattico-grammaticale propria delle due lingue, si renderebbero esplicite quelle caratteristiche di costrutto formale tipiche della lingua madre. Il principio basilare, che rafforza il principio dell’importanza dello studio di una o addirittura più lingue straniere, oltre ad offrire tutti i vantaggi possibili e immaginabili a chi si può permettere di interagire in differenti situazioni con parlanti stranieri, si basa sul fatto che la lingua madre migliora, perché il parlante diventa consapevole di tutti gli intrighi e i giochi linguistici che gli offre la propria lingua. In conclusione lo studio delle lingue straniere, abbinato all’analisi contrastiva e all’esercizio della lettura, della traduzione e del riassunto, arricchisce la lingua madre oltre ad offrire nuovi mondi culturali, nuove attitudini, nuovi comportamenti, nuovi orizzonti e nuove emozioni. Creare un lungo percorso unico che vada dal primo ciclo delle scuole italiane fino alla soglia dell’università, facendo leva su questi suggerimenti, dettati dall’esperienza oltre che da una ricca ricerca scientifica, forse potrebbe aiutare a risolvere il grande problema del “collasso progressivo della scuola italiana.”
Inglese versus Italiano

In questa seconda parte si vuole mettere in evidenza come, in genere nel parlare quotidiano, e in particolare negli inserti pubblicitari, in Italia si fa uso non solo di parole inglesi accostate a quelle italiane, ma addirittura di brevi frasi inglesi. Questo fenomeno, a mio parere, ha contribuito e continua a contribuire a ridurre e a sintetizzare la lingua italiana; fenomeno che non si limita solo al linguaggio pubblicitario, che ovviamente deve colpire e suggestionare il fruitore in pochi secondi, ma che coinvolge e si propaga anche al linguaggio della comunicazione giornaliera, che a sua volta influenza anche la struttura formale della lingua italiana. Desidero puntualizzare quanto questo fenomeno sia diffuso, infatti lo si sente dai giornalisti alla televisione, lo si legge sui quotidiani e lo si vede in strada sui cartelloni pubblicitari. Prima di analizzare la pubblicità nei manifesti stradali installati nelle nostre città, è importante sapere un po’ della storia di come si sia sviluppato questo importante mezzo commerciale.
ll manifesto pubblicitario nasce in Francia nella seconda metà dell’800 grazie a due artisti che dedicarono il loro talento alla creazione di vignette pubblicitarie: Pierre Bonnard e Henry de Toulouse Lautrec. Il padre del manifesto moderno, Jules Chéret intorno al 1850, perfeziona le tecniche litografiche e cromolitografiche, scoperete nel 1796 dal cecoslovacco Aloys Senefeld, eseguendo prove a più colori cercando di contenere i costi anche nei grandi formati facendo raggiungere ai manifesti francesi un tale grado di perfezione che non trova riscontro né in Inghilterra né in Germania. L’influenza di William Morris sostenuta da Roger Marx, fa in modo che si possa diffondere la cultura nelle masse attraverso la pubblicità di oggetti comuni. Quindi le nuove tendenze artistiche vengono applicate alla pubblicità. L’arte per l’arte viene sostituita dall’arte applicata, vale a dire che artisti famosi (Giovanni Mataloni, Leopoldo Metlicoviz, Leonetto Cappiello, Franz laskoff, Aleardo Terzi, Aleardo Villa) dedicano il loro talento per pubblicizzare prodotti industriali, sempre inserendoli in un contesto familiare di vita quotidiana. La pubblicità era uno dei mezzi maggiormente legato alla cultura locale e ci faceva conoscere i prodotti del nostro paese o ancor di più quelli regionali o di una più ristretta zona.

Ancora oggi, specialmente per i prodotti alimentari si fa uso del dialetto per evidenziare certi alimenti tipici di uno specifico luogo. Questo dettaglio sembra rendere più appetibile il piatto che viene realizzato secondo i criteri strettamente legati alla culinaria di una data regione; linguaggio, tradizione e gusto si mescolano attraverso le mani sapienti del cuoco. Un esempio di pubblicità culinaria molto significativa che si trova nei menu delle trattorie venete è l’espressione: Moeche e masanete. Questa specialità gastronomica si riferisce ad un piccolo granchio la cui produzione è localizzata prevalentemente nella laguna di Venezia e la cui preparazione segue uno specifico rituale che fa risaltare le sue proprietà dal basso contenuto calorico. Ma questo piccolo granchio non si è limitato alla degustazione di piatti prelibati, ma ha arricchito la lingua dando al dialetto veneto prestigio linguistico. Infatti, queste due parole hanno creato varie espressioni metaforiche con un significato completo e preciso (andare inbrodo de masanete = dileguarsi, sparire). Certo, queste espressioni dialettali sono molto più efficaci del ‘Made in Sud’ usato per propagandare alimenti tipici del Sud d’Italia. Potremmo includere quest’ultima espressione in quella pubblicità che segue il ritmo della globalizzazione, pubblicità che non arricchisce nè il nostro linguaggio, nè l’inglese, ma anzi, come dicevo nella prima parte, li deturpa e li impoverisce sia dal punto di vista semantico, stravolgendo il significato originale (nell’espressione open-day) che nella pronuncia, nella sintassi e nella scrittura (we lovs).

La pubblicità che segue i canoni della globalizzazione va bene per quei prodotti di diffusione universale, ma non per tutto, per il solo scopo di seguire una moda che impone l’inglese come lingua della comunicazione internazionale. Che senso ha il manifesto relativo alla festa d’autunno per l’infanzia, svoltasi in un piccolo comune, che fa seguire days ad Infanzia? Anche perché se avessimo voluto tradurre ‘Infanzia’ non avremmo mai potuto dire Infancy days, quindi sarebbe stato meglio scrivere sul manifesto ‘Giornate per l’infanzia’.

Coloro che preparano la pubblicità dovrebbero tenere conto del prodotto che vogliono mettere in evidenza, del luogo di produzione e di quello di diffusione, soprattutto considerando gli utenti ai quali si rivolgono, la loro età anagrafica, e nel caso della pubblicità televisiva, anche della fascia oraria. Se non si tiene conto di questi elementi, si rischia di cadere nella confusione linguistica e culturale. L’elemento culturale, le tradizioni di un luogo sono dettagli molto importanti, poiché riflettono non solo l’ambiente circostante ma soprattutto sono l’evidenza di tradizioni e modi di vivere e di pensare. Con questo non dico che bisogna bandire la lingua inglese dalla pubblicità, ormai anzi bisogna avere una certa dimestichezza con questa lingua, ma bisogna distinguere il prodotto e adattarlo nel miglior modo possibile, mai unendo nella stessa espressione lessemi inglesi a lessemi italiani. E’ preferibile introdurre una intera espressione inglese piuttosto che unire parole di diverse lingue per costruire un concetto completo, anche perché le due lingue seguono dei ritmi costruttivi differenti (‘Infancy days’). Quindi, la pubblicità degli anni addietro era, strettamente riferita a prodotti locali e la lingua usata era soltanto l’italiano. Oggi, al contrario, la globalizzazione ha portato i prodotti di tutto il mondo nelle nostre case e di conseguenza anche la lingua e il contesto sono cambiati, e l’inglese, che è la lingua franca della comunicazione internazionale, fa da padrone indiscriminato nella pubblicità locale; poi ci sono i turisti, per cui si sente la necessità di esprimersi in questa lingua.

I manifesti pubblicitari, così come in genere tutta la pubblicità, devono colpire con le loro immagini, con le loro piccole storie, con i giochi di parole, con i personaggi che recitano, con i loro nomi famosi, in modo da convincere sulla bontà del prodotto. Infine, mi preme mettere in luce un’ altra differenza che caratterizza la pubblicità contemporanea rispetto a quella dei secoli passati, vale a dire che l’immagine della donna che dominava nei vecchi cartelloni è stata sostituita da descrizioni del prodotto o da immagini che si riferiscono strettamente alla merce da reclamizzare. Questo ci fa capire che un passo avanti sulla parità dei sessi è stato raggiunto e la donna non viene più strumentalizzata, usata come elemento principale che con la sua seduzione riesce a convincere il probabile fruitore sulla bontà del prodotto. In breve, ben venga la pubblicità in lingua inglese, ma attenzione a non distruggere ed annientare la lingua italiana usando all’impazzata i tempi verbali come in questa recentissima pubblicità.

Quali sono le aspettative di colui che ha ideato questo manifesto? Spera in una futura ed evoluta tecnologia, perché quella odierna non è ancora all’altezza, o si riferisce ad una tecnologia che già oggi è un fatto ampiamente attestato ed è evolutissima? Parla di una ipotesi o di un fatto concreto? Oppure, vuole solo mettere in evidenza la sua scioltezza ad usare il modo congiuntivo?

L’immagine di copertina è presa dal sito Portale Letterario

Il degrado della lingua italiana
Maria Teresa D'Acierno
Linguistica
2018